Marzo 12, 2024

Tachiaritmie atriali asintomatiche in corso di monitoraggio elettrocardiografico: giustificata la terapia anticoagulante?

Con il termine di AHRE (Atrial Heart Rate Arrhythmias) si intendono degli episodi asintomatici di tachiaritmia atriale, frequentemente individuati in pazienti, soprattutto se anziani (in cui tali aritmie si presentano in circa il 30% dei pazienti), portatori di pacemaker e defibrillatori o altri sistemi di monitoraggio, spesso indistinguibili da parossismi di fibrillazione atriale (e infatti da alcuni definiti come episodi di “fibrillazione atriale sublinica”). La loro presenza è stata considerata un fattore di rischio per eventi tromboembolici suggerendo la necessità di una profilassi con anticoagulante quando tali episodi sono prolungati, soprattutto se individuati in pazienti con caratteristiche cliniche favorenti lo stroke. Tuttavia, non ci sono studi randomizzati che ne abbiano provato l’efficacia. Peraltro, la maggior parte degli AHRE registrati con il monitoraggio continuo sono di breve durata, lasciando spesso il clinico incerto su quale decisione assumere.

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Il trattamento prolungato con empagliflozin in pazienti scompensati induce il fenomeno della “tolerance”?

Gli studi EMPEROR-Reduced (Empagliflozin Outcome Trials in Chronic Heart Failure With Reduced Ejection Fraction) e EMPERORPreserved (Empagliflozin Outcome Trials in Chronic Heart Failure With Preserved Ejection Fraction) hanno mostrato l’efficacia di empagliflozin 10 mg sia nelle forme di scompenso (CHF) a frazione di eiezione (FE) ridotta, che nelle forme a FE preservata. Non è noto, tuttavia, se l’efficacia del farmaco persista negli anni di trattamento o se piuttosto si verifichi una attenuazione dei benefici per un fenomeno di “tolerance”. Questo quesito può essere risolto con uno studio di “withdrawal”, cioè con la verifica degli effetti clinici e laboratoristici della sospensione in cieco sia del farmaco attivo che del placebo nei pazienti sottoposti alla iniziale randomizzazione.

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Valutazione del rischio ischemico ed emorragico in pazienti ACS: fondamentale per una medicina personalizzata.

La composizione e durata della doppia terapia antiaggregante nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), deve essere commisurata al rischio emorragico e ischemico dei pazienti. Gli score di più ampio utilizzo hanno tuttavia alcune limitazioni: essi sono basati su casistiche che includono anche gli eventi del primo mese successivo all’evento indice (periodo nel quale, pur essendo gli eventi più numerosi, non esistono incertezze sulla composizione della DAPT) e non sono stati derivati da simili popolazioni target.

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De-escalation or abbreviation of dual antiplatelet therapy in acute coronary syndromes and percutaneous coronary intervention: a Consensus Statement from an international expert panel on coronary thrombosis.

Documento di consenso di un panel di esperti di trombosi coronarica volto a fare chiarezza su due strategie di doppia antiaggregazione piastrinica utilizzate quali alternative (“short DAPT”, “de-escalation”) alla durata standard della DAPT di 12 mesi, ribadita quale prima scelta nei pazienti con sindrome coronarica acuta nelle ultime Linee Guida ESC.

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Clinical and prognostic implications of heart failure hospitalization in patients with advanced heart failure.

L’ospedalizzazione è un noto predittore di rischio nei pazienti con scompenso cardiaco, ma il suo ruolo prognostico nello scompenso cardiaco avanzato è ancora incerto. In questo studio dal registro multicentrico HELP-HF (che ha incluso pazienti consecutivi con insufficienza cardiaca e almeno un marker “I NEED HELP” ad alto rischio), l’endpoint primario era il composito di mortalità per tutte le cause e il primo ricovero per insufficienza cardiaca. Nella popolazione totale (1.149 pazienti, età media 75 ± 11.5 anni, 67% uomini, frazione di eiezione ventricolare sinistra [LVEF] mediana 35%), 777 (67.6%) erano ricoverati al momento dell’arruolamento. Rispetto ai pazienti ambulatoriali, i pazienti ricoverati presentavano una LVEF inferiore e peptidi natriuretici più elevati. L’endpoint primario dello studio si è verificato nel 51% dei pazienti ricoverati rispetto al 37% dei pazienti ambulatoriali (hazard ratio 1.70, intervallo di confidenza (CI) al 95% 1.39-2.07, P<0.001) a 1 anno. All’analisi multivariata, l’ospedalizzazione era associata a un rischio più elevato dell’endpoint primario (hazard ratio aggiustato 1.54, 95% CI 1.23-1.93, P<0.001). Nei pazienti ricoverati, l’età avanzata, l’ipotensione arteriosa, i criteri di definizione di scompenso cardiaco avanzato e la disfunzione renale sono risultati predittori indipendenti dell’endpoint primario. In conclusione, l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca nei pazienti con almeno un marker “I NEED HELP” ad alto rischio è associata a una prognosi estremamente sfavorevole che supporta la necessità di interventi specifici in questi pazienti, come il supporto circolatorio meccanico o il trapianto cardiaco.

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Abbreviated or Standard Dual Antiplatelet Therapy by Sex in Patients at High Bleeding Risk: A Prespecified Secondary Analysis of a Randomized Clinical Trial.

I pazienti ad alto rischio di sanguinamento (HBR) rappresentano una proporzione considerevole (fino al 40%) dei soggetti sottoposti a rivascolarizzazione percutanea (PCI). Nonostante le crescenti evidenze abbiano dimostrato un beneficio di una duplice terapia antiaggregante (DAPT) abbreviata, in questi pazienti (N Engl J Med. 2021;385(18):1643-1655; doi:10.1056/NEJMoa2108749), l’impatto del sesso sugli outcome clinici dopo la PCI rimane sconosciuto. In questa analisi pre-specificata del MASTER DAPT, abbiamo analizzato gli outcome clinici nei pazienti maschi e femmine ad alto rischio di sanguinamento sottoposti a PCI e l’efficacia/sicurezza di una DAPT abbreviata versus terapia standard in base al sesso. I principali risultati della nostra analisi…

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