Short Duration of DAPT Versus De-Escalation After Percutaneous Coronary Intervention for Acute Coronary Syndromes.

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Abstract

Objectives: The aim of this study was to compare short dual antiplatelet therapy (DAPT) and de-escalation in a network meta-analysis using standard DAPT as common comparator.

Background: In patients with acute coronary syndrome (ACS) undergoing percutaneous coronary intervention (PCI), shortening DAPT and de-escalating to a lower potency regimen mitigate bleeding risk. These strategies have never been randomly compared.

Methods: Randomized trials of DAPT modulation strategies in patients with ACS undergoing PCI were identified. All-cause death was the primary outcome. Secondary outcomes included net adverse cardiovascular events (NACE), major adverse cardiovascular events, and their components. Frequentist and Bayesian network meta-analyses were conducted. Treatments were ranked on the basis of posterior probability. Sensitivity analyses were performed to explore sources of heterogeneity.

Results: Twenty-nine studies encompassing 50,602 patients were included. The transitivity assumption was fulfilled. In the frequentist indirect comparison, the risk ratio (RR) for all-cause death was 0.98 (95% CI: 0.68-1.43). De-escalation reduced the risk for NACE (RR: 0.87; 95% CI: 0.70-0.94) and increased major bleeding (RR: 1.54; 95% CI: 1.07-2.21). These results were consistent in the Bayesian meta-analysis. De-escalation displayed a >95% probability to rank first for NACE, myocardial infarction, stroke, stent thrombosis, and minor bleeding, while short DAPT ranked first for major bleeding. These findings were consistent in node-split and multiple sensitivity analyses.

Conclusions: In patients with ACS undergoing PCI, there was no difference in all-cause death between short DAPT and de-escalation. De-escalation reduced the risk for NACE, while short DAPT decreased major bleeding. These data characterize 2 contemporary strategies to personalize DAPT on the basis of treatment objectives and risk profile.


Intervista a Davide Capodanno

Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico “G. Rodolico-San Marco”, Università di Catania

Professor Capodanno, qual è il take home message del vostro studio?
Le due strategie che le attuali Linee Guida europee per la gestione delle sindromi coronariche acute suggeriscono come strategie di riduzione del sanguinamento presentano specifici pro e contro. Il loro effetto sulla mortalità è simile, cosa che presupporrebbe la stessa forza di raccomandazione, ma l’accorciamento della DAPT riduce il sanguinamento più della de-escalation, che al contrario sembra rappresentare una strategia più efficace sul piano della prevenzione degli eventi trombotici.

I vostri dati indicano che una DAPT abbreviata riduce il bleeding mentre le strategie di deescalation tendono maggiormente (anche se non significativamente) a ridurre gli eventi ischemici, in particolare l’infarto miocardico, sia nei confronti della DAPT abbreviata che della DAPT standard di 12 mesi. Pensa che, in base a questi risultati, queste due strategie dovrebbero essere applicate a pazienti con profili di rischio ischemico ed emorragico differenti?
É una interpretazione plausibile. Siccome i fattori di rischio per trombosi e sanguinamento in alcuni casi coincidono, alcuni pazienti sono esposti a entrambe le eventualità, e cosa fare con la terapia antitrombotica è difficile particolarmente in questi soggetti. Serve quindi giudizio clinico per stabilire quale dei due rischi può prevalere sull’altro, assieme a tool sviluppati appositamente per questo scopo (es. ARC Trade-off model). I risultati di questo studio mi portano a dire che in un paziente dove il rischio trombotico prevale tenderei a propendere maggiormente per la de-escalazione, e in uno dove temo maggiormente il rischio emorragico propenderei maggiormente per l’accorciamento della DAPT.

Avete analizzato ben 29 studi comprendenti oltre 50.000 pazienti. Nonostante questa imponente serie di studi (e consumo di risorse) i dubbi sulla composizione e durata della DAPT nelle sindromi coronariche acute (ACS) persistono. Non le sembra che i trial dovrebbero essere rivolti a popolazioni più omogenee di quelle sinora studiate?
Non abbiamo riscontrato valori di eterogeneità tali da farci pensare che i risultati dipendono dal tipo di popolazione con ACS aggregata nella meta-analisi. Però alcuni degli studi inclusi si riferiscono a popolazioni asiatiche che sono note avere caratteristiche trombotiche ed emorragiche specifiche. Mi piacerebbe vedere uno studio randomizzato di confronto diretto tra de-escalazione e accorciamento della DAPT, ma temo che i pazienti da randomizzare per avere un potere statistico adeguato sarebbero molti, probabilmente troppi.

Dalla vostra analisi sembrerebbe che la “standard DAPT” di 12 mesi risulti inferiore rispetto a una “short DAPT” in termini di bleeding (dato prevedibile) senza alcun effetto negativo in termini di eventi ischemici. Eppure la maggior parte degli studi di confronto diretto in pazienti ACS (e non le analisi di ACS-subgroups) tra le due strategie (SMART DATE, STOPDAPT-ACS2, REDUCE) segnalano un maggior rischio di eventi ischemici, in particolare infarto miocardico, per la DAPT abbreviata. Qual è la sua opinione?
Credo sia ragionevole pensare che rinunciare precocemente a un antipiastrinico nel contesto di una sindrome coronarica acuta esponga a un aumento degli eventi ischemici. Questi però possono derivare anche come conseguenza della sospensione di entrambi gli antipiastrinici come conseguenza di un sanguinamento, per cui è ugualmente importante cercare strategie in grado di mitigare questo rischio. Credo che molto dipenda anche dal singolo farmaco antipiastrinico che si sceglie di mantenere: per esempio, in SMART DATE e STOPDAPT-2 ACS gli eventi trombotici sono aumentati con ASA e clopidogrel in monoterapia, ma lo stesso non si è visto in TICO che ha usato il ticagrelor in monoterapia. C’è indubbiamente bisogno di studi di confronto tra monoterapie dopo il periodo di DAPT.

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