Abstract
Background: Procedural success after transcatheter edge-to-edge mitral valve repair (TEER) is defined as a reduction of mitral regurgitation (MR) degree to <moderate (2+). However, post-procedural MR 0/1+ was found to be associated with a better outcome and a lower rate of MR recurrence compared to postprocedural MR 2+. Aim: To evaluate predictors and prognostic impact of optimal procedural result (MR 0/1+) after TEER.
Results: Among 950 patients enrolled, 637 (67%) had an optimal procedural result (MR 0/1+) and 313 (33%) had an acceptable procedural result (MR 2+) after TEER. Moderate-tosevere, rather than severe, MR, left ventricular end-systolic diameter (25.7% vs. 40%, p<0.001 and 16.3% vs. 24.8%, p=0.003, respectively) and HF hospitalizations (24% vs. 30%; p=0.035) at 2-year follow-up.
Conclusions: In patients with secondary MR undergoing TEER, an optimal procedural result is associated with favorable outcomes and can be achieved by selecting patients with moderate-to-severe MR, without severe left ventricular dilatation, and treated in highvolume centers. Classifications: mitral regurgitation, mitral valve repair, chronic heart failure.> < 0.001 and 16.3% vs. 24.8%, p=0.003, respectively) and HF hospitalizations (24% vs. 30%; p=0.035) at 2-year follow-up.
Intervista a Marianna Adamo
Laboratorio di Cardiologia e Cateterizzazione Cardiaca, ASST Spedali Civili di Brescia, Dipartimento di Specialità Mediche e Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Salute Pubblica, Università di Brescia
Dottoressa Adamo, qual è il take home message del vostro studio?
Il principale messaggio del lavoro è che, nei pazienti con insufficienza mitralica secondaria, è fondamentale ottenere un risultato ottimale della correzione percutanea edge-to-edge per poter avere un beneficio in termini di prognosi a lungo termine. In particolare non bisogna accontentarsi di ottenere un rigurgito postprocedurale moderato. Abbiamo infatti osservato una ridotta incidenza di morte per tutte le cause, morte cardiovascolare e ospedalizzazioni per scompenso cardiaco in pazienti con rigurgito residuo post-procedurale lieve o assente, rispetto a pazienti con rigurgito moderato. Questo può essere spiegato da due fattori. Il primo è che probabilmente anche il rigurgito moderato ha un impatto sul sovraccarico ventricolare sinistro. Effettivamente, alcuni studi epidemiologici riportano che la sopravvivenza di pazienti affetti da scompenso cardiaco si riduce progressivamente all’aumentare del grado di rigurgito mitralico funzionale (da assente a lieve, moderato e severo). L’altro fattore potrebbe essere la maggiore incidenza di recidiva di rigurgito severo nel follow-up di pazienti con rigurgito moderato rispetto a quelli con rigurgito assente o lieve. Questa ipotesi non è stata dimostrata nel nostro studio per la mancanza di dati ecocardiografici completi al follow-up, ma è riportata in altre casistiche e potrebbe spigare la maggior quota di eventi in pazienti con rigurgito mitralico residuo di grado moderato.
Un dato interessante della vostra analisi riguarda il miglior risultato finale (in termini di riduzione dell’insufficienza mitralica post-procedurale a grado 0-1) ottenuto dagli operatori di centri che abbiano una maggior esperienza. Il dato assume importanza pratica se si considera che dei 66 centri che nel registro GISE hanno dichiarato di eseguire interventi di riparazione mitralica edge-to-edge nel 2020, solo 16 ne eseguivano almeno 20 all’anno. Quali sono le sue considerazioni in proposito?
Tutte le procedure interventistiche necessitano non solo di una “Learning curve” ma anche della successiva esecuzione di un adeguato numero di casi all’anno per avere dei risultati ottimali. In particolare, la procedura di riparazione percutanea edge-to-edge dell’insufficienza mitralica richiede conoscenze non solo di cardiologia interventistica, ma anche di anatomia ed ecocardiografia e richiede un intenso lavoro di squadra (interventista, anestesista, ecocardiografista) non solo in sala, ma anche nella fase di screening e di pianificazione della procedura. Questo aspetto è riconosciuto nelle recenti Linee Guida per il trattamento delle valvulopatie dove si può chiaramente evincere come pazienti affetti da patologie valvolari debbano essere riferiti per il trattamento a centri con specifiche caratteristiche. D’altra parte i risultati del nostro studio, da questo punto di vista, sono solo confirmatori. Alcune ampie casistiche, sia americane che tedesche, avevano già riportato il ruolo del volume dei centri nell’impatto sull’outcome di pazienti sottoposti a trattamento percutaneo edge-to-edge dell’insufficienza mitralica. I risultati dell’intervento sono risultati migliori nei pazienti con insufficienza mitralica 3+ piuttosto che 4+ e con diametro telesistolico del ventricolo sinistro <70mm. Secondo lei, questi dati pongono il problema di un’indicazione più precoce all’intervento nei pazienti scompensati con insufficienza mitralica secondaria? Il trattamento precoce è la chiave di riuscita di questo tipo di intervento. Lavorare su ventricoli eccessivamente rimodellati e/o jet eccessivamente estesi, può rappresentare un problema per la riuscita ottimale dell’intervento ma è anche, di per sè, un fattore prognostico negativo in quanto indice di patologia più avanzata. In realtà, se entriamo più nel dettaglio, mentre il concetto di dilatazione ventricolare come predittore di outcome avverso, dopo trattamento edge-to-edge dell’insufficienza mitralica funzionale è ormai consolidato (il cut-off utilizzato nel nostro studio è lo stesso utilizzato come criterio di esclusione nello studio COAPT), il concetto di rigurgito più esteso come predittore di outcome avverso è più dibattuto. Infatti, se da una parte alcuni studi (condotti anche dal nostro gruppo) riportano che una maggior area dell’orifizio rigurgitante correla con una maggiore incidenza di eventi avversi, altri riflettono l’ipotesi del professor Packer secondo la quale pazienti con un’insufficienza mitralica sproporzionata (rigurgito ampio rispetto alla dilatazione ventricolare) avrebbero un maggior beneficio dalla correzione percutanea dell’insufficienza mitralica. Sicuramente ulteriori studi sono necessari per approfondire quest’ultimo aspetto.
Nella discussione lei sottolinea la necessità di un’evoluzione tecnologica dei device che permetta di ottenere migliori risultati nei pazienti con insufficienza mitralica massiva. Può precisarci questi sviluppi tecnologici?
Diversi passi in avanti sono già stati fatti. La maggior parte dei pazienti inclusi nel registro, sono pazienti trattati con clip di vecchia generazione, con braccia strette (4 mm) e corte (9 mm l’una). Attualmente, abbiamo a disposizione device di quarta generazione con 4 misure di clip e braccia che arrivano a misurare 12 mm di lunghezza e 6 di larghezza, oltre che un sistema di cattura indipendente dei lembi. Questo permette una personalizzazione della terapia e il trattamento di jet anche molto ampi con risultati migliori. Abbiamo inoltre a disposizione un sistema edge-to-edge alternativo alla MitraClip, che ha il vantaggio di possedere uno spacer centrale e una maggior manovrabilità del sistema. Abbiamo altri sistemi di riparazione percutanea come quelli di anuloplastica. Infine, le bioprotesi mitraliche stanno finalmente comparendo sul mercato dopo anni di sperimentazioni. Queste ultime dovrebbero garantire risultati eccellenti in termini di riduzione del rigurgito anche se alcune caratteristiche, quali l’ingombro e l’ancoraggio, ne limitano attualmente l’utilizzo su ampia scala.
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