Abstract
Background: The occurrence of acute kidney injury (AKI) among patients with acute coronary syndrome (ACS) undergoing invasive management is associated with worse outcomes. However, the prognostic implications of transient or in-hospital persistent AKI may differ.
Objectives: The aim of this study was to evaluate the prognostic implications of transient or in-hospital persistent AKI in patients with ACS.
Methods: In the MATRIX (Minimizing Adverse Haemorrhagic Events by Transradial Access Site and Systemic Implementation of Angiox) trial, 203 subjects were excluded because of incomplete information or end-stage renal disease, with a study population of 8,201 patients. Transient and persistent AKI were defined as renal dysfunction no longer or still fulfilling the AKI criteria (>0.5 mg/dL or a relative >25% increase in creatinine) at discharge, respectively. Thirty-day coprimary outcomes were the out-of-hospital composite of death, myocardial infarction, or stroke (major adverse cardiovascular events [MACE]) and net adverse cardiovascular events (NACE), defined as the composite of MACE or Bleeding Academic Research Consortium type 3 or 5 bleeding.
Results: Persistent and transient AKI occurred in 750 (9.1%) and 587 (7.2%) subjects, respectively. After multivariable adjustment, compared with patients without AKI, the risk for 30-day coprimary outcomes was higher in patients with persistent AKI (MACE: adjusted HR: 2.32; 95% CI: 1.48- 3.64; P<0.001; NACE: adjusted HR: 2.29; 95% CI:1.48-3.52; P<0.001), driven mainly by all-cause mortality (adjusted HR: 3.43; 95% CI: 2.03-5.82; P<0.001), whereas transient AKI was not associated with higher rates of MACE or NACE. Results remained consistent when implementing the KDIGO (Kidney Disease Improving Global Outcomes) criteria.
Conclusions: Among patients with ACS undergoing invasive management, in-hospital persistent but not transient AKI was associated with higher risk for 30-day MACE and NACE. (Minimizing Adverse Haemorrhagic Events by Transradial Access Site and Systemic Implementation of Angiox [MATRIX]; NCT01433627).
Intervista ad Antonio Landi
Fondazione Cardiocentro Ticino, Lugano, Svizzera
Dottor Landi quali sono i messaggi principali del vostro studio?
Il nostro studio è focalizzato sull’impatto prognostico della persistenza di danno renale residuo in seguito all’insufficienza renale acuta (AKI) nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) sottoposti a una strategia invasiva. Ci sono solide evidenze in letteratura che dimostrano come l’insorgenza di AKI nei pazienti sottoposti a coronarografia e/o angioplastica percutanea (PCI) si associ a un rischio maggiore di eventi avversi fatali e non fatali. Tuttavia, l’impatto prognostico della persistenza di danno renale residuo alla dimissione è stato meno studiato con risultati discordanti in letteratura. Alcuni studi hanno dimostrato che sia l’AKI transitoria che persistente siano associate a un rischio maggiore di mortalità, mentre altri non hanno identificato una simile associazione. In questo contesto, il nostro lavoro è il più ampio studio che si è occupato di analizzare questa associazione utilizzando criteri di AKI attualmente raccomandati dalle Linee Guida internazionali. I principali messaggi possono essere riassunti nei seguenti punti:
- L’AKI persistente alla dimissione (mediana: 6 giorni dall’ospedalizzazione) è risultata associata a un rischio più elevato di major adverse cardiovascular events (MACE) o net adverse clinical events (NACE) a 30 giorni e a 1 anno, dovuto principalmente a tassi di mortalità di oltre 3 volte maggiore rispetto ai pazienti senza AKI.
- L’AKI transitoria non è risultata associata a un tasso più elevato di MACE o NACE dopo aggiustamento all’analisi multivariata.
- Questi risultati sono rimasti consistenti dopo l’implementazione dei criteri KDIGO (Kidney Disease Improving Global Outcomes) e nei pazienti che presentavano AKI solo in accordo alla definizione primaria dello studio (ossia escludendo quelli che presentavano AKI-KDIGO).
- I fattori di rischio clinici e procedurali per AKI transitoria o persistente sono risultati ampiamente sovrapponibili.
Quali sono gli aspetti innovativi della vostra ricerca rispetto alla letteratura recente?
Diversi sono gli aspetti innovativi della nostra analisi dallo studio MATRIX con alcune pratiche implicazioni per la pratica clinica quotidiana. Innanzitutto, l’evidenza che l’AKI persistente (e non quella transitoria) sia risultata associata a un rischio più elevato di mortalità per tutte le cause e cardiovascolare dopo aggiustamento all’analisi multivariata è un dato innovativo. Questi risultati confermano le evidenze precedenti suggerendo che l’AKI rappresenta un fattore di rischio globale per eventi avversi fatali e dimostrando, per la prima volta, che il danno renale residuo (anche minimo) alla dimissione identifica un sottogruppo di pazienti in cui l’AKI contribuisce essa stessa al rischio aumentato di mortalità. Un ulteriore dato interessante è la consistenza di questi risultati utilizzando classificazioni diverse di AKI rispetto alla definizione primaria dello studio, come i criteri KDIGO oppure analizzando solo i pazienti che presentavano AKI in accordo alla definizione primaria. Anche utilizzando questi criteri, abbiamo evidenziato un rischio di mortalità più elevato solo nei pazienti con AKI persistente, suggerendo ancora una volta che anche modesti incrementi della creatinina alla dimissione rispetto al basale possono aiutare a identificare i pazienti in cui è necessario un monitoraggio clinico più stretto per il rischio elevato di eventi avversi fatali.
Leggendo i vostri dati si resta stupiti del fatto che i pazienti che hanno AKI transitoria non differiscano, per caratteristiche cliniche, angiografiche, funzione renale basale e quantità di contrasto dai pazienti che invece hanno AKI persistente. Quali fattori possono determinare la differente risposta renale?
Questo è davvero un punto cruciale del nostro studio. Come giustamente hai sottolineato non abbiamo evidenziato differenze significative nelle caratteristiche cliniche, di laboratorio e procedurali tra i pazienti con AKI transitoria o persistente, eccetto per un’età più avanzata e una maggiore prevalenza di donne nel gruppo con AKI persistente. Tuttavia, all’analisi multivariata, i fattori clinici e procedurali predittori di AKI transitoria o persistente sono risultati ampiamente sovrapponibili. A oggi, non sono stati individuati fattori di rischio specifici per AKI transitoria o persistente e gli score di rischio recentemente sviluppati come il Mehran II CA-AKI score (doi: 10.1016/S0140-6736(21)02326-6) possono essere considerati solo nella predizione del rischio globale di AKI. La loro utilità nella predizione di AKI persistente (l’unico sottotipo che ha un reale impatto prognostico) dovrà essere valutata in ulteriori casistiche. Sebbene non possiamo escludere la presenza di fattori che per limitazioni intrinseche dello studio non sono stati valutati, caratteristiche intrinseche del paziente (geneticamente determinate) possano contribuire a definire la differente risposta renale al danno acuto.
Spulciando tra i dati supplementari si nota come i pazienti con AKI transitoria avessero avuto, in modo significativo, più “staged procedures” rispetto ai pazienti con AKI persistente (26% versus 13%, p<.001). Pensa che nei pazienti con rischio pre-procedurale elevato di AKI e con anatomia complessa la PCI, quando possibile, debba essere effettuata in sessioni successive?
Come hai giustamente evidenziato, nello studio MATRIX, la prevalenza di staged PCI è risultata più del doppio nei pazienti con AKI transitoria rispetto a quelli con AKI persistente. La mia interpretazione di questi dati sta nella scelta degli operatori di non sottoporre a ulteriori procedure (anche “staged”) i pazienti con AKI persistente alla dimissione rispetto a quelli con AKI transitoria che sono stati, al contrario, sottoposti più comunemente a ulteriori procedure. Questo è anche dimostrato dal più elevato numero di lesioni trattate per paziente nel gruppo dei pazienti con AKI transitoria rispetto al gruppo con AKI persistente. In linea generale, nei pazienti ad alto rischio di AKI con disfunzione renale cronica al baseline e che accedono a studio coronarografico per ACS con anatomia coronarica complessa, credo che la strategia di trattare la culprit lesion nella procedura indice e di programmare successive PCI per le lesioni complesse rimanenti, rappresenti un’opzione valida nell’ottica di prevenire un danno renale acuto e, in particolare, la progressione verso forme terminali di disfunzione renale cronica.
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