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Le linee guida raccomandano l’utilizzo di FFR per stabilire il significato fisiopatologico di una stenosi, ritenuta all’angiografia di grado intermedio, prima di eseguire una PCI in assenza di una documentazione di ischemia miocardica. Tuttavia, l’uso di FFR è ancora modesto (circa il 10% delle procedure di PCI) verosimilmente per il costo addizionale che esso comporta. Lo studio RIPCORD ha dimostrato come, eseguendo una FFR prima di indirizzare un paziente verso un intervento di rivascolarizzazione, la decisione clinica venga mutata nel 26% dei casi. In quello studio tutti i vasi coronarici venivano testati con FFR (“RIPCORD concept”). Non è chiaro, tuttavia, quale siano le conseguenze di tale condotta, in particolare se conduca a vantaggi o svantaggi sui costi ospedalieri e sulla qualità di vita dei pazienti.

Nel 1993 Brutsaert e coll definirono lo scompenso cardiaco ad origine diastolica una condizione derivante da una resistenza al riempimento ventricolare di uno o entrambi i ventricoli con conseguenti sintomi di congestione e spostamento verso l’alto della curva pressione/volume. Il termine “scompenso cardiaco diastolico” fu sostituito da quello, tuttora in uso, di scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata (HFpEF). La prima, relativamente ampia serie di pazienti HFpEF fu pubblicata da Dougherty et al nel 1984: essi rappresentavano circa un terzo di tutti i pazienti ricoverati con scompenso di cuore riportati in quell’articolo. L’incidenza nelle casistiche più recenti è di circa il 50%. La diagnosi può essere facilitata dall’uso di uno score proposto in un documento di consenso dell’Heart Failure Association della Società Europea di Cardiologia (vedi Figura). La terapia si è basata per anni sull’uso di diuretici e sul controllo delle patologie concomitanti (ipertensione, obesità). Studi che hanno proposto l’utilizzo di spironolattone e di sacubitril/valsartan non hanno dato esito positivo. Al contrario, lo studio Emperor-Preserved ha mostrato che empaglifozin, un inibitore di SGLT2, ha ridotto del 21% rispetto a placebo l’endpoint composito di morte cardiovascolare e ospedalizzazione per scompenso in una ampia popolazione di pazienti con HFpEF[4]. Risultati simili sono stati recentemente ottenuti con dapaglifozin nello studio DELIVER.

L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale (AFCA) rappresenta una potenziale strategia di trattamento per evitare l’impianto di pacemaker (PM) nei pazienti con sindrome bradicardia-tachicardia (BTS). Tuttavia, solide evidenze in questo campo sono ancora limitate. In questa meta-analisi gli Autori hanno analizzato in 776 pazienti con BTS l’efficacia e la sicurezza della AFCA (371 pazienti) versus impianto di PM (405 pazienti). Ad una mediana di follow-up di 67.5 mesi, minori recidive di FA (odds ratio [OR] 0.06; intervallo di confidenza al 95% [95% CI]:0.02-0.18; p<0,001), progressione di FA (OR 0.12, 95% CI:0.06-0.26, p<0.001), insufficienza cardiaca (OR 0.12, 95% CI 0.04-0.34, p<0.001) e ictus (OR 0.30, 95% CI 0.15-0.61, p=0.001) sono stati osservati nel gruppo AFCA. Non sono state documentate differenze per quanto riguarda la morte e l’ospedalizzazione cardiovascolare, sebbene la maggiore necessità di procedure aggiuntive nel gruppo AFCA. L’impianto di PM è stato evitato nel 91% dei pazienti con BTS sottoposti ad AFCA. In conclusione, l’AFCA sembra essere più efficace dell’impianto di PM nel ridurre le recidive di FA nei pazienti con BTS e l’impianto di PM può essere evitato nella maggior parte dei pazienti trattati con ablazione transcatetere.

Background: The optima revascularization strategy for senior patients admitted with acute myocardial infarction (AMI) in the context of multivessel coronary artery disease (MVCAD) remains unclear. We aimed to compare a strategy of culprit-vessel (CV) vs. multi-vessel percutaneous coronary intervention (MV-PCI) in older adults (≥75 years) with AMI. Methods: We analyzed four randomized controlled trials designed to include older adults with AMI. The primary endpoint was all-cause death. The secondary endpoint was the composite of all-cause death, myocardial infarction, stroke and major bleeding (Net Adverse Clinical Events, NACE). A nonparsimonious propensity score and nearestneighbor matching was performed to account for bias. Results: A total of 1,334 trial participants were included; of them, 770 (57.7%) underwent CV-PCI and 564 (42.3%) a MV-PCI strategy. After a median follow-up of 365 days, patients treated with MV-PCI experienced a lower rate of death (6.0% vs. 9.9%; p=0.01) and of NACE (11.2% vs. 15.5%; p=0.016). After multivariable analysis, MV-PCI was independently associated with a lower hazard of death (hazard ratio [HR]:0.65; 95% confidence interval [CI]:0.42- 0.96; p=0.03) and NACE (NACE 0.72[0.53- 0.98]; p=0.04). These results were confirmed in a matched propensity analysis, were consistent throughout the spectrum of older age and when analyzed by subgroups and when immortaltime bias was considered. Conclusions: In the setting of older adults with MVCAD who were managed invasively for AMI, a MV-PCI strategy to pursue complete revascularization was associated with better survival and lower risk of NACE compared to a CV-PCI. Adequately sized RCTs are required to confirm these findings.

La trombosi endoventricolare è una complicanza dell’infarto miocardico a ST sopraslivellato (STEMI), soprattutto a sede anteriore, che è andata riducendosi negli ultimi anni con l’utilizzo delle terapie riperfusive. La sua incidenza oscilla nelle varie casistiche tra il 4% ed il 26%. Un trattamento antitrombotico profilattico composto da doppia terapia antipiastrinica (DAPT) associata ad antagonista della vitamina K è stato abbandonato per l’elevato rischio emorragico ad esso correlato. Non sono disponibili, attualmente, dati controllati sull’utilizzo di anticoagulanti orali diretti in associazione ad antipiastrinici per questa condizione clinica.

L’infarto miocardico STEMI può verificarsi in assenza di fattori di rischio cardiovascolari noti modificabili (SMuRF), in proporzioni che variano tra l’11% e il 27%. Tali percentuali sarebbero in aumento nelle casistiche più recenti. Inoltre, è stato descritto un aumento della mortalità in questo gruppo di pazienti rispetto agli STEMI che si verificano nei pazienti con SMuRF.

L’infarto miocardico di tipo 2 (T2MI), definito in accordo con la quarta Universal Definition of Myocardial Infarction (UDMI) è causato da condizioni cliniche che determinano un “mismatch” tra apporto e consumo di ossigeno, quali tachicardia, ipotensione, crisi ipertensive. Nonostante il quadro fisiopatologico sia ben distinto dall’infarto miocardico di tipo 1 (T1MI), vi sono ancora incertezze riguardo al trattamento e alla prognosi di questa tipologia di infarto miocardico.

Recidive di pericardite si verificano nel 15-30% dei pazienti dopo un episodio iniziale e in oltre il 40% di essi dopo una prima recidiva. Spesso questi nuovi episodi sono di difficile trattamento in quanto refrattari alla terapia anti-infiammatoria tradizionale. In questi casi (pazienti dipendenti da steroidi e refrattari alla colchicina) le Linee Guida ESC(1) contemplano l’uso dell’antagonista del recettore dell’interleuchina-1 anakinra, sulla base di alcune esperienze aneddotiche positive. Recentemente anakinra si è dimostrato efficace nel ridurre significativamente le recidive di pericardite in pazienti dipendenti da steroidi e refrattari alla colchicina (AIRTRIP trial -2-). È stato sufficiente randomizzare 21 pazienti per ottenere un significativo risultato clinico. È stata dimostrata efficacia clinica anche per rinolacept, un farmaco con analogo meccanismo d’azione. Se da un lato questi farmaci rappresentano un vero “paradigm shift” nel trattamento delle recidive di pericardite resistenti alla colchicina e dipendenti dall’uso di steroidi, restano problemi ancora aperti, quali la durata della terapia e il loro potenziale utilizzo in alternativa all’uso dei corticosteroidi per evitarne gli effetti collaterali. In realtà questa possibilità è avanzata in un’altra recente review (Sachin Kumar, MD; Shameer Khubber, MD; Reza Reyaldeen, MD; Ankit Agrawal, MD; Paul C. Cremer, MD; Massimo Imazio, MD; Deborah H. Kwon, MD; Allan L. Klein, MD Advances in Imaging and Targeted Therapies for Recurrent Pericarditis A Review. JAMA Cardiol. doi:10.1001/jamacardio.2022.2584. Published online August 17, 2022). In essa si propone una flow chart basata sulla presenza di un fenotipo infiammatorio che utilizza l’imaging (presenza di “late gadolinium enhancement” alla risonanza magnetica) e il laboratorio (innalzamento della PCR) per introdurre più precocemente (dalla seconda recidiva) una terapia con antagonisti del recettore della interleuchina-1 anzichè utilizzare i corticosteroidi.

Il ruolo prognostico del ventricolo destro e, in particolare, dell’accoppiamento tra ventricolo destro e arteria polmonare (RV-PA), nei pazienti sottoposti a sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVR), è oggetto di intenso dibattito nella comunità scientifica. In 377 pazienti sottoposti a TAVR tra febbraio 2011 e agosto 2020, gli autori hanno analizzato il rapporto tra l’escursione sistolica del piano dell’anulus tricuspidalico e la pressione sistolica dell’arteria polmonare (TAPSE/PASP) come surrogato dell’accoppiamento RVPA, stratificando la popolazione in base al rapporto TAPSE/PASP pari a <0.36 mm/mmHg. Il successo procedurale è risultato simile tra i due gruppi. Un rapporto TAPSE/PASP <0,36 mm/mmHg è risultato associato ad un maggior rischio di morte per tutte le cause a 6 mesi (17.3% contro 5.3%; hazard ratio aggiustato 2.66; P=0.041). L’impatto prognostico del rapporto TAPSE/ PASP è risultato maggiore rispetto a TAPSE e PASP considerati separatamente, indipendentemente dal rischio chirurgico. Sia il TAPSE che la PASP sono migliorati al follow-up a 1 e 6 mesi dopo la TAVI. In conclusione, un rapporto TAPSE/PASP<0.36 mm/mmHg è fortemente associato a un aumento del rischio di mortalità dopo la TAVR. L’intervento di TAVR si associa a un miglioramento significativo di TAPSE, PASP e del loro rapporto.

Background: It is unknown whether contemporary drug-eluting stents have a similar safety profile in high bleeding risk patients treated with 1-month dual antiplatelet therapy following percutaneous coronary interventions. Methods and Results: We performed an interventional, prospective, multicenter, single-arm trial, powered for noninferiority with respect to an objective performance criterion to evaluate the safety of percutaneous coronary interventions with Synergy bioresorbable polymer everolimus-eluting stent followed by 1-month dual antiplatelet therapy in patients with high bleeding risk. In case of need for an oral anticoagulant, patients received an oral anticoagulant in addition to a P2Y12 inhibitor for 1 month, followed by an oral anticoagulant only. The primary end point was the composite of cardiac death, myocardial infarction, or definite or probable stent thrombosis at 1-year follow-up. The study was prematurely interrupted because of slow recruitment. From April 2017 to October 2019, 443 patients (age, 74.8±9.2 years; women, 29.1%) at 10 Italian centers were included. The 1-year primary outcome occurred in 4.82% (95% CI, 3.17%-7.31%) of patients, meeting the noninferiority compared with the predefined objective performance criterion of 9.4% and the noninferiority margin of 3.85% (Pnoninferiority<0.001) notwithstanding the lower-than-expected sample size. The rates of cardiac death, myocardial infarction, and definite or probable stent thrombosis were 1.88% (95% CI, 0.36%-2.50%), 3.42% (95% CI, 2.08%-5.62%), and 0.94% (95% CI, 0.35%- 2.49%), respectively. Conclusions: Among high bleeding risk patients undergoing percutaneous coronary interventions with the Synergy bioresorbable- polymer everolimus-eluting stent, a 1-month dual antiplatelet therapy regimen is safe, with low rates of ischemic and bleeding events.

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