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Con il termine di AHRE (Atrial Heart Rate Arrhythmias) si intendono degli episodi asintomatici di tachiaritmia atriale, frequentemente individuati in pazienti, soprattutto se anziani (in cui tali aritmie si presentano in circa il 30% dei pazienti), portatori di pacemaker e defibrillatori o altri sistemi di monitoraggio, spesso indistinguibili da parossismi di fibrillazione atriale (e infatti da alcuni definiti come episodi di “fibrillazione atriale sublinica”). La loro presenza è stata considerata un fattore di rischio per eventi tromboembolici suggerendo la necessità di una profilassi con anticoagulante quando tali episodi sono prolungati, soprattutto se individuati in pazienti con caratteristiche cliniche favorenti lo stroke. Tuttavia, non ci sono studi randomizzati che ne abbiano provato l’efficacia. Peraltro, la maggior parte degli AHRE registrati con il monitoraggio continuo sono di breve durata, lasciando spesso il clinico incerto su quale decisione assumere.

Gli studi EMPEROR-Reduced (Empagliflozin Outcome Trials in Chronic Heart Failure With Reduced Ejection Fraction) e EMPERORPreserved (Empagliflozin Outcome Trials in Chronic Heart Failure With Preserved Ejection Fraction) hanno mostrato l’efficacia di empagliflozin 10 mg sia nelle forme di scompenso (CHF) a frazione di eiezione (FE) ridotta, che nelle forme a FE preservata. Non è noto, tuttavia, se l’efficacia del farmaco persista negli anni di trattamento o se piuttosto si verifichi una attenuazione dei benefici per un fenomeno di “tolerance”. Questo quesito può essere risolto con uno studio di “withdrawal”, cioè con la verifica degli effetti clinici e laboratoristici della sospensione in cieco sia del farmaco attivo che del placebo nei pazienti sottoposti alla iniziale randomizzazione.

La composizione e durata della doppia terapia antiaggregante nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), deve essere commisurata al rischio emorragico e ischemico dei pazienti. Gli score di più ampio utilizzo hanno tuttavia alcune limitazioni: essi sono basati su casistiche che includono anche gli eventi del primo mese successivo all’evento indice (periodo nel quale, pur essendo gli eventi più numerosi, non esistono incertezze sulla composizione della DAPT) e non sono stati derivati da simili popolazioni target.

Documento di consenso di un panel di esperti di trombosi coronarica volto a fare chiarezza su due strategie di doppia antiaggregazione piastrinica utilizzate quali alternative (“short DAPT”, “de-escalation”) alla durata standard della DAPT di 12 mesi, ribadita quale prima scelta nei pazienti con sindrome coronarica acuta nelle ultime Linee Guida ESC.

L’ospedalizzazione è un noto predittore di rischio nei pazienti con scompenso cardiaco, ma il suo ruolo prognostico nello scompenso cardiaco avanzato è ancora incerto. In questo studio dal registro multicentrico HELP-HF (che ha incluso pazienti consecutivi con insufficienza cardiaca e almeno un marker “I NEED HELP” ad alto rischio), l’endpoint primario era il composito di mortalità per tutte le cause e il primo ricovero per insufficienza cardiaca. Nella popolazione totale (1.149 pazienti, età media 75 ± 11.5 anni, 67% uomini, frazione di eiezione ventricolare sinistra [LVEF] mediana 35%), 777 (67.6%) erano ricoverati al momento dell’arruolamento. Rispetto ai pazienti ambulatoriali, i pazienti ricoverati presentavano una LVEF inferiore e peptidi natriuretici più elevati. L’endpoint primario dello studio si è verificato nel 51% dei pazienti ricoverati rispetto al 37% dei pazienti ambulatoriali (hazard ratio 1.70, intervallo di confidenza (CI) al 95% 1.39-2.07, P<0.001) a 1 anno. All’analisi multivariata, l’ospedalizzazione era associata a un rischio più elevato dell’endpoint primario (hazard ratio aggiustato 1.54, 95% CI 1.23-1.93, P<0.001). Nei pazienti ricoverati, l’età avanzata, l’ipotensione arteriosa, i criteri di definizione di scompenso cardiaco avanzato e la disfunzione renale sono risultati predittori indipendenti dell’endpoint primario. In conclusione, l’ospedalizzazione per insufficienza cardiaca nei pazienti con almeno un marker “I NEED HELP” ad alto rischio è associata a una prognosi estremamente sfavorevole che supporta la necessità di interventi specifici in questi pazienti, come il supporto circolatorio meccanico o il trapianto cardiaco.

I pazienti ad alto rischio di sanguinamento (HBR) rappresentano una proporzione considerevole (fino al 40%) dei soggetti sottoposti a rivascolarizzazione percutanea (PCI). Nonostante le crescenti evidenze abbiano dimostrato un beneficio di una duplice terapia antiaggregante (DAPT) abbreviata, in questi pazienti (N Engl J Med. 2021;385(18):1643-1655; doi:10.1056/NEJMoa2108749), l’impatto del sesso sugli outcome clinici dopo la PCI rimane sconosciuto. In questa analisi pre-specificata del MASTER DAPT, abbiamo analizzato gli outcome clinici nei pazienti maschi e femmine ad alto rischio di sanguinamento sottoposti a PCI e l’efficacia/sicurezza di una DAPT abbreviata versus terapia standard in base al sesso. I principali risultati della nostra analisi...

La diagnosi di angina, in assenza di lesioni ostruttive, ha come base fisiopatologica una patologia microvascolare o uno spasmo coronarico. Le Linee Guida[1]Knuuti J, Wijns W, Saraste A, et al. ESC Scientific Document Group. 2019 ESC guidelines for the diagnosis andmanagement of chronic coronary syndromes. Eur Heart J. 2020;41:407–477. … Continua a leggere, oppure bisogna intervenire precocemente per evitare possibili complicanze che possono anche pregiudicare l’esito favorevole di una successiva sostituzione valvolare? Una serie di parametri clinici, ecocardiografici e laboratoristici (biomarker) sono stati proposti quali indicatori di possibili eventi nel paziente asintomatico, ma mancano dati che un intervento precoce, in loro presenza, possa migliorare la prognosi. La riduzione del rischio operatorio (sia per TAVI che per la sostituzione valvolare) potrebbe far propendere verso una scelta interventistica anche in assenza di sintomi, tuttavia non vanno dimenticate le problematiche connesse a questa strategia, quali la necessità di un reintervento nel futuro o di trattamento di eventuali patologie coronariche (soprattutto nei pazienti sottoposti a TAVI).

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Bibliografia

Bibliografia
1 Knuuti J, Wijns W, Saraste A, et al. ESC Scientific Document Group. 2019 ESC guidelines for the diagnosis andmanagement of chronic coronary syndromes. Eur Heart J. 2020;41:407–477. doi:10.1093/eurheartj/ehz425.() raccomandano una indagine invasiva che includa la misurazione della riserva coronarica (CFR) e/o della resistenza del microcircolo (classe IIa, evidenza B) e un test provocativo di spasmo, utilizzando acetilolina intracoronarica (classe IIa, evidenza B). Non è noto se tale valutazione fisiopatologica invasiva comporti benefici dal punto di vista clinico per il paziente, sia in termini di presenza di sintomi e di qualità di vita.

Il GRACE (Global Registry of Acute Coronary Events) score è un valido strumento prognostico nei pazienti con sindrome coronarica acuta . In accordo con le Linee Guida, esso viene utilizzato per stabilire il timing della strategia interventistica nei pazienti con ACS senza sopraslivellamento persistente del tratto ST (NSTE-ACS) e per una stratificazione del rischio immediato a distanza. . Lo score include la positività o meno della troponina quale biomarker di necrosi; tuttavia, è ipotizzabile che la capacità predittiva di eventi del GRACE score possa migliorare se si considerano i valori quantitativi di tale biomarker e non solamente la sua presenza o assenza.

Le Linee Guida raccomandano l’esecuzione di una coronarografia prima di un intervento di TAVI, sia per individuare lesioni prossimali che necessitino di un trattamento percutaneo, sia per dirimere se in alcuni casi la migliore modalità di trattamento del paziente debba essere piuttosto la sostituzione valvolare. . Uno studio angiografico, mediante tomografia computerizzata (CTA), è sempre effettuato prima dell’intervento per valutare l’anatomia dell’arco aortico e della valvola; non è noto se questa indagine possa essere anche utile per fornire informazioni adeguate sulla presenza di lesioni coronariche prossimali.

La stenosi aortica (AS) colpisce tra il 2% e il 6% della popolazione con età superiore a 65 anni. È una patologia lentamente progressiva, che spesso decorre in assenza di sintomi anche quando raggiunge i criteri emodinamici di severità. L’aspetto controverso è il trattamento di questi pazienti: bisogna attuare un “watchful waiting”, visto che globalmente la prognosi è considerata buona .