Controllo del ritmo o controllo della frequenza nella fibrillazione atriale non valvolare a elevato rischio? Dipende anche dal momento dell’intervento

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Indice

Inquadramento

La problematica della strategia del trattamento nella fibrillazione atriale non valvolare è da sempre di attualità: se cioè sia meglio perseguire l’ottenimento del ritmo sinusale mediante cardioversioni anche ripetute, uso di farmaci antiaritmici per il mantenimento del ritmo e, attualmente, procedure di ablazione transcatetere, ovvero ci si possa limitare a controllare i sintomi, utilizzando farmaci per il controllo della frequenza, accettando che la fibrillazione possa persistere. Agli inizi degli anni 2000 fu pubblicato lo studio AFFIRM (Atrial Fibrillation Follow-up Investigation of Rhythm Management)[1] Wyse DG, Waldo AL, DiMarco JP, et al. A comparison of rate control and rhythm control in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2002;347:1825-33., seguito da una metanalisi di 5 studi randomizzati che vertevano sulla stessa problematica[2]de Denus S, Sanoski CA, Carlsson J, Opolski G, Spinler SA. Rate vs rhythm control in patients with atrial fibrillation: a meta- analysis. Arch Intern Med 2005;165:258-62.: le conclusioni di questi studi erano concordi nel non evidenziare differenze fra controllo del ritmo e controllo della frequenza in termini di mortalità e di incidenza di stroke. I migliori predittori di buon outcome erano l’assunzione di terapia anticoagulante (allora con anti vit K) e la presenza di ritmo sinusale. Anche nelle linee guida, come conseguenza, non si esprime una chiara preferenza per l’una o l’altra strategia, e ampio spazio viene lasciato al solo controllo della frequenza[3]Kirchhof P, Benussi S, Kotecha D, et al. 2016 ESC guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS. Eur Heart J 2016;37: 2893-962.. Tuttavia, dal tempo dell’AFFIRM sono passati quasi vent’anni e, nel frattempo, si è consolidato l’uso dei farmaci anticoagulanti (compresi gli anticoagulanti diretti, DOAC) come trattamento di base e, imprescindibile, per la prevenzione dei fenomeni tromboembolici, sono parzialmente cambiati i farmaci antiaritmici usati per il controllo del ritmo e, soprattutto, si è diffuso l’uso dell’ablazione transcatetere, manovra interventistica ma altamente efficace nel mantenere il ritmo sinusale. Un reassessment delle strategie appare quindi quanto mai opportuno.

Lo studio in esame

In questo studio multicentrico internazionale, ideato dagli sperimentatori, in aperto, ma in cieco per quanto riguarda gli outcome, sono state valutate due differenti strategie terapeutiche in pazienti con fibrillazione atriale di recente riscontro (meno di un anno) che avessero più di 75 anni, oppure avessero avuto un pregresso TIA o ictus, oppure avessero due o più dei seguenti criteri: età superiore a 65 anni, sesso femminile, scompenso cardiaco, ipertensione, diabete mellito, malattia coronarica severa, insufficienza renale cronica di grado 3 o 4, ipertrofia ventricolare sinistra. Le strategie messe in confronto, cui i pazienti venivano randomizzati, erano una “early rhythm control” che prevedeva cardioversione quando appropriato e utilizzo di farmaci antiaritmici per il mantenimento del ritmo e, semmai, l’ablazione transcatetere. I pazienti randomizzati a “usual care” ricevevano inizialmente farmaci per il controllo della frequenza e, eventualmente, farmaci per il controllo del ritmo solo per mitigare o abolire i sintomi secondari alla fibrillazione atriale. Tutti i pazienti venivano scoagulati secondo le vigenti linee guida. Il primo outcome primario era un combinato di morte per cause cardiovascolari, stroke (ischemico o emorragico), o ospedalizzazione per scompenso cardiaco o SCA. Il secondo outcome primario era il numero di notti trascorse in ospedale per anno. Erano previsti, inoltre, una serie di outcome secondari, principalmente costituiti dai singoli fattori dell’outcome primario, e da parametri riguardanti la qualità di vita e il deterioramento cognitivo. Vi era poi un outcome primario di sicurezza incentrato, soprattutto, sugli eventi avversi dei trattamenti. La maggior parte dei pazienti randomizzati a “early rhythm control” seguirono la terapia con farmaci antiaritmici e, a due anni di follow-up, il 65,1% dei pazienti ancora assumeva i farmaci per il controllo del ritmo: i farmaci usati erano flecainide (35%), amiodarone (19,6%), dronedarone (16,7%), propafenone (7%). L’ablazione transcatetere fu utilizzata nell’8% dei casi come trattamento iniziale, complessivamente nel 19,4% dei casi a due anni. Dei pazienti randomizzati a “usual care”, l’85,4% non assumeva, a due anni, nessun trattamento per il controllo del ritmo. A due anni di follow-up il ritmo sinusale era presente nell’82,1% dei pazienti “early rhythm control” e nel 60,5% nei pazienti “usual care”. Il trial è stato interrotto dopo la terza analisi intermedia e, dopo 5,1 anni di follow-up medio, per manifesta efficacia della strategia di “early rhythm control”: un evento di primary outcome fu registrato nel 3,9%, contro il 5% del gruppo “usual care” (HR 0,79, 95%CI 0,66-0.94). Significativamente minore fu la morte per cause cardiovascolari e stroke, mentre non è stata evidente la differenza nelle ospedalizzazioni e nel numero di notti passate in ospedale. Infine non vi è stata differenza sostanziale negli outcome di sicurezza (eventi avversi).

Take home message

Nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, di insorgenza recente in presenza di fattori di rischio cardiovascolare, una strategia di precoce intervento che tende a mantenere il ritmo sinusale mediante farmaci antiaritmici, cardioversione ed eventuale ablazione transcatetere, risulta superiore rispetto a un endpoint combinato di morte, stroke e ospedalizzazione, rispetto a una strategia di “usual care” basata sostanzialmente sull’accertamento della sintomatologia con farmaci per il controllo della frequenza.

Commento

A un’analisi superficiale, potrebbe sembrare che lo studio EAST-AFNET 4 contraddica i risultati dello studio AFFIRM e degli altri studi che, agli inizi degli anni 2000, avevano affermato la sostanziale identità delle strategie di controllo del ritmo e di controllo della frequenza nella fibrillazione atriale non valvolare. In realtà si tratta di studi svolti a 20 anni di distanza, su casistiche sostanzialmente differenti: nell’AFFIRM, e altri studi degli anni 2000, si trattava di pazienti con fibrillazione atriale consolidata da molto tempo, si usavano alcuni antiaritmici oggi abbandonati, sicuramente più tossici (chinidina, disopiramide…). L’uso dell’anticoagulante in funzione antitrombotica era limitato, quando usato, al warfarin e, infine, non erano disponibili le procedure di ablazione transcatetere, oggi importante tool per il controllo del ritmo. I pazienti dello studio EAST-AFNET 4, per altro verso, sono pazienti con fibrillazione atriale di recente riscontro (meno di un anno) e, avendone l’indicazione, sono tutti trattati con farmaci anticoagulanti compresi i più recenti DOAC. Non stupisce, quindi, che una strategia di controllo del ritmo “early” dia risultati migliori rispetto a una modalità che tende solamente a controllare i sintomi (ma il 30% dei pazienti erano asintomatici) e che potremmo definire “wait and see”. L’utilizzo, inoltre, dell’isolamento delle vene polmonari come metodica interventistica attualmente consolidata nelle procedure e nelle indicazioni, è un altro elemento che favorisce la coorte dell’“early rhythm control”, anche se dobbiamo precisare che tale metodica è stata utilizzata nel 19,4% dei pazienti (nei due anni dall’arruolamento). A riprova delle diverse caratteristiche della popolazione dello studio in esame, l’incidenza di eventi, di mortalità cardiovascolare (1,0% e 1,3% nelle due coorti) e di stroke (0,6% e 0,9%) è sostanzialmente inferiore a quella dello studio AFFIRM (mortalità totale a 5 aa 26,3%, stroke 8,2%).

L’opinione di Massimo Mantica

Centro Aritmie ed Elettrofisiologia Clinica. Istituto Clinico Sant’Ambrogio – Gruppo Ospedaliero San Donato – Milano.

Questo studio fornisce un nuovo e importante contributo a uno dei dibattiti più irrisolti della cardiologia moderna: quando, come e in quali pazienti, affetti dalla più diffusa delle aritmie del cuore umano, la fibrillazione atriale (FA) parossistica o persistente, sia indicato perseguire il recupero e il mantenimento del ritmo sinusale con ogni strategia terapeutica possibile. Nonostante sia dimostrato che la FA si associ a un incremento di mortalità, a tutt’oggi i documenti di consenso più aggiornati definiscono la strategia di controllo del ritmo e ripristino del ritmo sinusale come fortemente consigliata solo nei soggetti sintomatici, per ottenere un miglioramento della qualità di vita, mentre la sola terapia anticoagulante, basata sugli ormai celeberrimi algoritmi di score di rischio cardio-embolico, è considerata una terapia di impatto su mortalità e stroke nei pazienti con FA. Tale assioma si basa su studi randomizzati multicentrici e metanalisi che non hanno mostrato differenze di mortalità in pazienti trattati con controllo del ritmo o il solo controllo della frequenza cardiaca, rendendo difficili da giustificare scelte terapeutiche che mirano al ripristino del ritmo sinusale con ablazione percutanea o farmaci antiaritmici in soggetti pauci o asintomatici. Lo studio EAST-AFNET 4 e altri recentissimi dati clinici [CABANA Randomized Clinical Trial[4]Packer DL, Mark DB, Robb RA, et al. Effect of catheter ablation vs antiarrhythmic drug therapy on mortality, stroke, bleeding and cardiac arrest among patients with atrial fibrillation. JAMA … Continua a leggere, CASTLE-AF study[5]Sohns C, Zintl K, Zhao Y, et al. Impact of Left Ventricular Function and Heart Failure Symptoms on Outcomes Post Ablation of Atrial Fibrillation in Heart Failure. CASTLE-AF Trial. Circulation … Continua a leggere] stanno ponendo in discussione questa affermazione, spostando gli equilibri verso una sempre più convinta e giustificata ricerca di recupero e mantenimento del ritmo sinusale, visti i benefici dimostrati su endpoint “forti” come mortalità cardiovascolare, stroke, ospedalizzazione e peggioramento dell’insufficienza cardiaca. Un’elevata percentuale di pazienti con FA riscontra eventi clinici maggiori nonostante l’uso di terapie “usual” ottimizzate per il controllo della frequenza cardiaca e per l’anticoagulazione. Quella che ci appariva come una scelta di buon senso clinico, cioè perseguire quando possibile il mantenimento del ritmo sinusale, dopo lo studio EAST-AFNET 4 si è dimostrata essere la strada da percorrere per migliorare sostanzialmente l’outcome di pazienti con FA di recente insorgenza e fattori di rischio cardiovascolari addizionali. E tra le possibili terapie di controllo del ritmo, l’ablazione percutanea ha fornito i migliori risultati per efficacia e miglioramento della qualità di vita, anche in un contesto di terapia first-line. Infine, in questo studio è particolarmente rilevante che le terapie di mantenimento del ritmo sinusale non abbiano comportato differenze in termini di complicanze o di giornate di degenza ospedaliera rispetto a terapie più conservative suggerendo che, una strategia di cura più completa, anche con tecniche interventistiche non paga un prezzo in termini di rischi per la sicurezza del paziente.

Bibliografia

Bibliografia
1 Wyse DG, Waldo AL, DiMarco JP, et al. A comparison of rate control and rhythm control in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2002;347:1825-33.
2 de Denus S, Sanoski CA, Carlsson J, Opolski G, Spinler SA. Rate vs rhythm control in patients with atrial fibrillation: a meta- analysis. Arch Intern Med 2005;165:258-62.
3 Kirchhof P, Benussi S, Kotecha D, et al. 2016 ESC guidelines for the management of atrial fibrillation developed in collaboration with EACTS. Eur Heart J 2016;37: 2893-962.
4 Packer DL, Mark DB, Robb RA, et al. Effect of catheter ablation vs antiarrhythmic drug therapy on mortality, stroke, bleeding and cardiac arrest among patients with atrial fibrillation. JAMA 2019;321:1261–1274.
5 Sohns C, Zintl K, Zhao Y, et al. Impact of Left Ventricular Function and Heart Failure Symptoms on Outcomes Post Ablation of Atrial Fibrillation in Heart Failure. CASTLE-AF Trial. Circulation Arrhythmia and Electrophysiology. 2020;13.

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