Multivessel vs. culprit-only percutaneous coronary intervention strategy in older adults with acute myocardial infarction.

Keyword: , , , , , ,

Indice

Abstract

Background: The optima revascularization strategy for senior patients admitted with acute myocardial infarction (AMI) in the context of multivessel coronary artery disease (MVCAD) remains unclear. We aimed to compare a strategy of culprit-vessel (CV) vs. multi-vessel percutaneous coronary intervention (MV-PCI) in older adults (≥75 years) with AMI.

Methods: We analyzed four randomized controlled trials designed to include older adults with AMI. The primary endpoint was all-cause death. The secondary endpoint was the composite of all-cause death, myocardial infarction, stroke and major bleeding (Net Adverse Clinical Events, NACE). A nonparsimonious propensity score and nearestneighbor matching was performed to account for bias.

Results: A total of 1,334 trial participants were included; of them, 770 (57.7%) underwent CV-PCI and 564 (42.3%) a MV-PCI strategy. After a median follow-up of 365 days, patients treated with MV-PCI experienced a lower rate of death (6.0% vs. 9.9%; p=0.01) and of NACE (11.2% vs. 15.5%; p=0.016). After multivariable analysis, MV-PCI was independently associated with a lower hazard of death (hazard ratio [HR]:0.65; 95% confidence interval [CI]:0.42- 0.96; p=0.03) and NACE (NACE 0.72[0.53- 0.98]; p=0.04). These results were confirmed in a matched propensity analysis, were consistent throughout the spectrum of older age and when analyzed by subgroups and when immortaltime bias was considered.

Conclusions: In the setting of older adults with MVCAD who were managed invasively for AMI, a MV-PCI strategy to pursue complete revascularization was associated with better survival and lower risk of NACE compared to a CV-PCI. Adequately sized RCTs are required to confirm these findings.


Intervista a Claudio Montalto

Cardiologia Interventistica, Ospedale Niguarda, Milano

Dottor Montalto, ci può sottolineare i dati salienti della vostra analisi?

II messaggio più importante di questo articolo è sicuramente che anche in una popolazione di soggetti anziani (≥75 anni) con sindrome coronarica acuta, una rivascolarizzazione multivaso, dunque il più completa possibile, è associato a un miglioramento della prognosi clinica. Questo non è un risultato scontanto: nonostante numerosi trial abbiano testato questa ipotesi anche nel setting di trial randomizzati, l’età media dei soggetti arruolati è sempre relativamente bassa e il totale dei pazienti anziani inclusi in questi trial è sempre, in fin dei conti, minore. In ultima analisi questo articolo, così come altri della nostra collaborazione “elderly”, mira a testare e sfidare concetti già assodati in popolazioni di soggetti anziani provenienti da coorti di dati di alta qualità, dunque da trial randomizzati dedicati a soggetti anziani. Questo è anche il primo lavoro che espande la collaborazione a due studi inglesi dedicati (XIMA e RINCAL).

Gli anziani rappresentano almeno un terzo della popolazione ricoverata nei nostri reparti con sindrome coronarica acuta. Eppure l’evidenza che proviene dai trial randomizzatiin questi pazienti è modesta. Quali possono esserne le motivazioni?

Molteplici fattori. In primis, possono esistere specifici criteri di esclusione dello studio, che vadano ad escludere soggetti anziani, o direttamente per età, o per maggiore probabilità di avere una o più comorbidità che controindicano lo studio. In secondo luogo, il livello di complessità e di fragilità dei pazienti cresce linearmente con l’età e questo può rappresentare una barriera all’arruolamento sia “psicologica” per il ricercatore, sia “materiale” per poi espletare il follow-up e le relative procedure richieste dal trial. Non credo ci siano dati a riguardo, ma credo che chiunque abbia arruolato per trial randomizzati possa avere avuto esperienze simili.

Molti pazienti anziani presentano, oltre a frequenti comorbilità, anche sindromi geriatriche come alterazioni delle funzioni cognitive e fragilità. Questi sono pazienti difficilmente includibili negli studi, anche se dedicati a pazienti anziani. Quali raccomandazioni possiamo quindi fornire
ai clinici per aiutarli nei processi decisionali?

Credo che il messaggio più importante per il clinico sia che l’età non deve da sola rappresentare una barriera alle cure, anche intensive e complete. Ovvero, restando nell’ambito dello studio in analisi, troppo spesso si rimanda il trattamento di lesioni coronariche non-culprit in pazienti anziani che però sarebbero state trattate senza difficoltà in soggetti giovani. Questo comporta l’esclusione di molti pazienti anziani dalla possibilità di ottenere una rivascolarizzazione completa, e dunque un beneficio concreto in termini di qualità e quantità di vita. Chiaramente, è poi da ponderare sulla base di ciascun paziente il rapporto rischio beneficio, e in particolare il beneficio atteso al netto della qualità di vita residua che può essere presunta perquel determinato paziente. Questo è un aspetto difficilmente quantificabile, poco compreso, e che richiede una valutazione individualizzata e anche il confronto con i caregivers.

Nell’analisi di questo studio gli effetti di una rivascolarizzazione multivasale sembrano differenti nei pazienti STEMI rispetto a quelli osservati nei pazienti NSTEMI, quali possono esserne le cause?

L’effetto è in realtà mantenuto in entrambi i sottogruppi, anche se appare più marcato nei soggetti con NSTEMI. Questo può essere dovuto a molteplici fattori, tra cui il fatto che la lesione colpevole in quest’ultimo gruppo può non essere chiara (al contrario dei pazienti STEMI). Da qui un possibile beneficio nel trattare in maniera estensiva la coronaropatia del soggetto versus un approccio conservativo che potrebbe comportare il rischio di “mancare” la lesione colpevole.

Lascia un commento