Abstract
Aims: To establish the safety and efficacy of different dual antiplatelet therapy (DAPT) combinations in patients with acute coronary syndrome (ACS) according to their baseline ischaemic and bleeding risk estimated with a machine learning derived model [machine learning-based prediction of adverse events following an acute coronary syndrome (PRAISE) score].
Methods and results: Incidences of death,re-acute myocardial infarction (re-AMI), and Bleeding Academic Research Consortium 3-5 bleeding with ASA plus different P2Y12 inhibitors (clopidogrel or potent P2Y12 inhibitors: ticagrelor or prasugrel) were appraised among patients of the PRAISE data set grouped in four subcohorts: low-to-moderate ischaemic and bleeding risk; low-to-moderate ischaemic risk and high bleeding risk; high ischaemic risk and low-to-moderate bleeding risk; and high ischaemic and bleeding risk. Hazard ratios (HRs) for the outcome measures were derived with inverse probability of treatment weighting adjustment. Among patients with low-to-moderate bleeding risk, clopidogrel was associated with higher rates of re-AMI in those at low-to-moderate ischaemic risk [HR 1.69, 95% confidence interval (CI) 1.16-2.51; P=0.006] and increased risk of death (HR 3.2, 1.45-4.21; P=0.003) and re-AMI (HR 2.23, 1.45- 3.41; P<0.001) in those at high ischaemic risk compared with prasugrel or ticagrelor, without a difference in the risk of major bleeding. Among patients with high bleeding risk, clopidogrel showed comparable risk of death, re-AMI, and major bleeding vs. potent P2Y12 inhibitors, regardless of the baseline ischaemic risk.
Conclusion: Among ACS patients with non-high risk of bleeding, the use of potent P2Y12 inhibitors is associated with a lower risk of death and recurrent ischaemic events, without bleeding excess. Patients deemed at high bleeding risk may instead be safely addressed to a less intensive DAPT strategy with clopidogrel.
Intervista a Giuseppe Patti
Direttore Dipartimento Ospedaliero Toraco-Cardio-Vascolare, Azienda Ospedaliero-Universitaria Maggiore della Carità di Novara
Professor Patti, qual è il take home message di questo studio?
Il nostro studio è focalizzato sulla stratificazione del rischio di eventi ischemici ed emorragici post-sindrome coronarica acuta, in modo da individualizzare le strategie antipiastriniche post-intervento di angioplastica in funzione di tale rischio e ottenere, nel singolo paziente, un adeguato beneficio clinico netto del trattamento antiaggregante, rappresentato da un’adeguata protezione anti-ischemica, senza pagare un prezzo elevato in termini di incremento di sanguinamenti. I nostri risultati indicano che, utilizzando uno score (PRAISE score) di stratificazione del rischio derivato dall’intelligenza artificiale, in pazienti con sindrome coronarica acuta e rischio emorragico non elevato, l’utilizzo di una duplice terapia antipiastrinica con inibitore P2Y12 più potente (ticagrelor o prasugrel) in associazione ad ASA rispetto alla combinazione clopidogrel + ASA, è associato a 1 anno di follow-up a una riduzione del rischio di re-infarto, indipendentemente dal rischio ischemico basale, senza significativo incremento dei sanguinamenti. Da rilevare che in pazienti con rischio emorragico non alto, ma concomitante elevato rischio ischemico, l’uso di clopidogrel era caratterizzato da un incremento di 3 volte di mortalità a 1 anno. Viceversa, in pazienti con alto rischio di sanguinamento, l’utilizzo di clopidogrel, rispetto a ticagrelor/prasugrel, era associato a una simile protezione dagli eventi ischemici trombotici a 1 anno di follow-up, e questo avveniva indipendentemente dal rischio ischemico basale.
Nel vostro studio i pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) sono poco meno del 10% della casistica globale. Questo dato contrasta con altre casistiche (che si basano su differenti definizioni di HBR) che mostrano percentuali più elevate di questa popolazione. Una corretta definizione di HBR è molto importante perché questi pazienti potrebbero necessitare di DAPT abbreviate. Quali sono le sue considerazioni in proposito?
Nei precedenti studi di validazione degli score di sanguinamento attualmente disponibili in pazienti con sindrome coronarica acuta e derivati in maniera “tradizionale”, la capacità di predire complicanze emorragiche era generalmente risultata di grado moderato, con “area under the curve” <0.70. Viceversa il PRAISE score, grazie all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la sua derivazione, ha presentato un’“area under the curve” di 0.86 nella validazione esterna per sanguinamenti maggiori, con in particolare una specificità molto alta. Questo è spiegabile con i vantaggi dell’impiego dell’intelligenza artificiale in termini sia di elevata accuratezza nell’identificazione dei predittori indipendenti di “outcome”, sia di maggior capacità di valutazione differenziata dei “rischi competitivi”. Avere uno score di stratificazione di rischio caratterizzato da un’elevata sensibilità ha comportato una minore percentuale di pazienti identificati ad alto rischio emorragico, ma ha permesso di selezionare in maniera accurata gli individui a elevato rischio di sanguinamento con probabilità elevata di avere complicanze emorragiche maggiori, soprattutto se trattati con terapie antipiastriniche più potenti.
I vostri dati sottolineano come la valutazione del rischio ischemico ed emorragico nel singolo paziente possa determinare una scelta diversa di DAPT, sia nella composizione che nella durata. Lo score PRAISE è una lodevole iniziativa in questo senso. Tuttavia lo score si costruisce su 25 variabili e il cardiologo spesso rifugge dall’uso di questi punteggi. Qual è il suo consiglio nella pratica clinica giornaliera?
Ci sono variabili che sono più importanti da considerare rispetto ad altre? Il PRAISE score ha inizialmente considerato 25 variabili come potenziali predittori di “outcome”, ma i parametri indipendentemente associati a un maggior rischio di sanguinamenti maggiori sono risultati, in ordine decrescente, il livello attuale di emoglobina, l’età, la presenza di disfunzione ventricolare sinistra, insufficienza renale, diabete e concomitante neoplasia. Sono questi i principali fattori da considerare nella pratica clinica come predisponenti a complicanze emorragiche serie. In medicina, però, non è sempre tutto così semplice, in quanto nell’analisi del PRAISE score, l’età, la presenza di disfunzione ventricolare sinistra, insufficienza renale e diabete sono risultati anche predittori indipendenti di re-infarto miocardico. Ne deriva, di conseguenza, che non infrequentemente i pazienti a elevato rischio emorragico sono anche a incrementato rischio ischemico.
I pazienti ad alto rischio sia ischemico che emorragico sono proprio i più “challenging” da trattare. Nel vostro lavoro in questi pazienti l’uso di una DAPT con clopidogrel sembra rappresentare un buon equilibrio rispetto all’utilizzo di inibitori di P2Y12 più potenti. Quali sono le sue considerazioni in proposito?
Nel nostro studio i pazienti ad alto rischio emorragico erano più frequentemente trattati mediante una duplice terapia antipiastrinica meno intensiva, con clopidogrel piuttosto che con ticagrelor/prasugrel. In questo ambito, l’utilizzo di clopidogrel, invece di un inibitore P2Y12 più potente, si è associato a una comparabile incidenza di infarto miocardico e mortalità per tutte le cause, indipendentemente dal rischio ischemico basale (cioè anche negli individui con elevato rischio ischemico basale). Vista la consolidata evidenza che i sanguinamenti post-dimissione per sindrome coronarica acuta hanno un impatto notevole sulla prognosi (probabilmente anche superiore a quello degli eventi ischemici, in caso di emorragie gravi), uno stato di elevato rischio di sanguinamento è da considerarsi prioritario rispetto al rischio trombotico. In tale contesto, questo dovrebbe condurre alla scelta di un approccio antipiastrinico “meno aggressivo” con clopidogrel, caratterizzato, indipendentemente dal rischio ischemico, da un più adeguato profilo di efficacia-sicurezza. Da notare che, in accordo con quanto detto precedentemente sulla coincidenza di alcuni fattori di rischio trombotico ed emorragico, un’analisi del nostro studio indipendente rispetto al rischio ischemico ha mostrato che l’incidenza di infarto miocardico aumentava con l’incremento del rischio di sanguinamento basale; nei pazienti con alto rischio di sanguinamento, l’utilizzo di clopidogrel riduceva in modo significativo il rischio di re-infarto miocardico, rispetto a ticagrelor/prasugrel, grazie a un ridotto tasso di sospensioni del trattamento antipiastrinico per episodi di sanguinamento minore.
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