PCI

Stenosi aortica severa a rischio chirurgico intermedio: confronto a 5 anni dei risultati ottenuti con TAVI e con sostituzione valvolare

Gli studi di confronto tra TAVI e chirurgia (SAVR), nei pazienti anziani con stenosi aortica severa e rischio intermedio (mortalità operatoria stimata a 30 giorni tra 3% e 15%), hanno mostrato risultati clinici simili per le due procedure. Tra questi, lo studio SURTAVI ha mostrato una non-inferiorità di TAVI rispetto a TAVR per un endpoint di morte per ogni causa e stroke invalidante a distanza di due anni dall’intervento. Tuttavia sono stati avanzati dubbi sulla durata nel tempo delle protesi impiantate per via percutanea, sottolinenando la necessità di follow-up prolungati per accertare eventuali differenze che si manifestino con il passare del tempo.

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Multivessel vs. culprit-only percutaneous coronary intervention strategy in older adults with acute myocardial infarction.

Background: The optima revascularization strategy for senior patients admitted with acute myocardial infarction (AMI) in the context of multivessel coronary artery disease (MVCAD) remains unclear. We aimed to compare a strategy of culprit-vessel (CV) vs. multi-vessel percutaneous coronary intervention (MV-PCI) in older adults (≥75 years) with AMI.

Methods: We analyzed four randomized controlled trials designed to include older adults with AMI. The primary endpoint was all-cause death. The secondary endpoint was the composite of all-cause death, myocardial infarction, stroke and major bleeding (Net Adverse Clinical Events, NACE). A nonparsimonious propensity score and nearestneighbor matching was performed to account for bias.

Results: A total of 1,334 trial participants were included; of them, 770 (57.7%) underwent CV-PCI and 564 (42.3%) a MV-PCI strategy. After a median follow-up of 365 days, patients treated with MV-PCI experienced a lower rate of death (6.0% vs. 9.9%; p=0.01) and of NACE (11.2% vs. 15.5%; p=0.016). After multivariable analysis, MV-PCI was independently associated with a lower hazard of death (hazard ratio [HR]:0.65; 95% confidence interval [CI]:0.42- 0.96; p=0.03) and NACE (NACE 0.72[0.53- 0.98]; p=0.04). These results were confirmed in a matched propensity analysis, were consistent throughout the spectrum of older age and when analyzed by subgroups and when immortaltime bias was considered.

Conclusions: In the setting of older adults with MVCAD who were managed invasively for AMI, a MV-PCI strategy to pursue complete revascularization was associated with better survival and lower risk of NACE compared to a CV-PCI. Adequately sized RCTs are required to confirm these findings.

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Infarto STEMI in pazienti senza fattori modificabili di rischio coronarico: qual è la sua prognosi?

L’infarto miocardico STEMI può verificarsi in assenza di fattori di rischio cardiovascolari noti modificabili (SMuRF), in proporzioni che variano tra l’11% e il 27%. Tali percentuali sarebbero in aumento nelle casistiche più recenti. Inoltre, è stato descritto un aumento della mortalità in questo gruppo di pazienti rispetto agli STEMI che si verificano nei pazienti con SMuRF.

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Infarto miocardico di tipo 2: la prognosi è differente da quella dell’infarto di tipo 1?

L’infarto miocardico di tipo 2 (T2MI), definito in accordo con la quarta Universal Definition of Myocardial Infarction (UDMI) è causato da condizioni cliniche che determinano un “mismatch” tra apporto e consumo di ossigeno, quali tachicardia, ipotensione, crisi ipertensive. Nonostante il quadro fisiopatologico sia ben distinto dall’infarto miocardico di tipo 1 (T1MI), vi sono ancora incertezze riguardo al trattamento e alla prognosi di questa tipologia di infarto miocardico.

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One-Month Dual Antiplatelet Therapy After Bioresorbable Polymer Everolimus-Eluting Stents in High Bleeding Risk Patients. 

Background: It is unknown whether contemporary drug-eluting stents have a similar safety profile in high bleeding risk patients treated with 1-month dual antiplatelet therapy following percutaneous coronary interventions.

Methods and Results: We performed an interventional, prospective, multicenter, single-arm trial, powered for noninferiority with respect to an objective performance criterion to evaluate the safety of percutaneous coronary interventions with Synergy bioresorbable polymer everolimus-eluting stent followed by 1-month dual antiplatelet therapy in patients with high bleeding risk. In case of need for an oral anticoagulant, patients received an oral anticoagulant in addition to a P2Y12 inhibitor for 1 month, followed by an oral anticoagulant only. The primary end point was the composite of cardiac death, myocardial infarction, or definite or probable stent thrombosis at 1-year follow-up. The study was prematurely interrupted because of slow recruitment. From April 2017 to October 2019, 443 patients (age, 74.8±9.2 years; women, 29.1%) at 10 Italian centers were included. The 1-year primary outcome occurred in 4.82% (95% CI, 3.17%-7.31%) of patients, meeting the noninferiority compared with the predefined objective performance criterion of 9.4% and the noninferiority margin of 3.85% (Pnoninferiority<0.001) notwithstanding the lower-than-expected sample size. The rates of cardiac death, myocardial infarction, and definite or probable stent thrombosis were 1.88% (95% CI, 0.36%-2.50%), 3.42% (95% CI, 2.08%-5.62%), and 0.94% (95% CI, 0.35%- 2.49%), respectively. Conclusions: Among high bleeding risk patients undergoing percutaneous coronary interventions with the Synergy bioresorbable- polymer everolimus-eluting stent, a 1-month dual antiplatelet therapy regimen is safe, with low rates of ischemic and bleeding events.

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Può una DAPT prolungata oltre l’anno essere utile nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico?

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.

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Bypass aortocoronarico (CABG) o angioplastica coronarica (PCI) nelle stenosi del tronco comune della coronaria sinistra (LM): per questo annoso problema è possibile raggiungere una soluzione condivisa?

Sono stati condotti quattro studi (SYNTAX LEFT MAIN: 705 pazienti; PRECOMBAT 600 pazienti, NOBLE 1.201 pazienti; EXCEL 1.905 pazienti) per dare una risposta al quesito posto dal titolo. I risultati di questi trial non sono stati tuttavia concordanti e hanno dato vita a un’accesa discussione (se non aspra contesa) tra cardiochirurghi e cardiologi interventisti. Le meta-analisi, sin qui effettuate, hanno utilizzato solo i dati aggregati dei vari trial e non i dati dei singoli pazienti, non hanno distinto tra infarti spontanei e peri-procedurali (questi ultimi peraltro diagnosticati con criteri differenti) e non hanno considerato un periodo di follow-up adeguato (almeno 5 anni).

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Pazienti ad alto rischio emorragico sottoposti a PCI del tronco comune: eventi ad 1 anno di follow-up.

I pazienti con stenosi del tronco comune della coronaria sinistra rappresentano un gruppo ad alto rischio di eventi se non adeguatamente rivascolarizzati. Benchè questa condizione anatomica sia stata considerata a lungo di pertinenza chirurgica, un numero consistente di pazienti con comorbilità o anatomia favorevole sono sottoposti a rivascolarizzazione percutanea con PCI. Questi erano più anziani (età media 75.5 versus 64 anni), con più comorbilità (diabete, arteriopatia periferica, nefropatia, scompenso cardiaco, presentazione con NSTEMI) Syntax score più elevato, più lesioni calcifiche e necessità di supporto circolatorio meccanico, rispetto ai pazienti non-HBR. Inoltre, i pazienti HBR venivano dimessi con inibitori del recettore P2Y12 meno potenti (25.1 vs 49.1%). A 1 anno di follow-up l’endpoint primario (morte per ogni causa, infarto miocardico, ictus), è stato osservato nel 20.5% dei pazienti HBR e nel 4.9% dei pazienti non-HBR (unadjusted hazard ratio 4.43, 95% confidence intervals 2.31 – 8.48) trascinato da un rischio più elevato di mortalità e nuovo infarto miocardico. I dati relativi agli eventi che compongono l’endpoint sono espressi nella Tabella. Anche il bleeding (valutato con la scala National Cardiovascular Data CathPCI Registry: bleeding ospedaliero associato ad una perdita di 3g di emoglobina, con necessità di trasfusione o intervento; bleeding post-dimissione che ha necessitato di ricovero o trasfusione) è risultato più elevato nei pazienti HBR con ampia differenza soprattutto nel bleeding ospedaliero (10.2% vs 2.5%). Nessuna differenza, invece, è stata osservata per necessità di nuove rivascolarizzazioni o per trombosi di stent.

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Instantaneous wave-free ratio eseguita dopo procedura di angioplastica coronarica (PCI): quali informazioni ci può dare? Un’analisi dello studio Define PCI.

La fractional flow reserve (FFR) e la instantaneous wave-free ratio (iFR) sono utilizzate per valutare il significato fisiopatologico delle stenosi coronariche, e individuare quelle per le quali il trattamento invasivo con PCI è clinicamente indicato. Sono invece raramente utilizzate per esaminare il risultato finale della PCI. Lo studio DEFINE PCI ha dimostrato come, in circa un quarto delle procedure, il valore finale di iFR sia patologico (iFR ≤0.89) nella maggior parte dei casi (81.6%) per la presenza di una stenosi focale non trattata (definita come una variazione di iFR >0.03 unità entro un segmento di 15 mm). Non è chiaro, tuttavia, quale sia il correlato clinico a distanza di questo dato e quale sia il valore soglia di iFR post-procedurale per il quale si possa prevedere un rischio di eventi nel successivo anno di follow-up.

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Pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) sottoposti a PCI con impianto di stent a rilascio di everolimus: quanto può essere abbreviata la DAPT?

Le Linee Guida stabiliscono una durata di 6 mesi nei pazienti con coronaropatia stabile, tuttavia nei pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) la durata può essere ridotta. Gli studi XIENCE Short DAPT hanno dimostrato che nei pazienti HBR sottoposti ad impianto di DES a piattaforma in cobalto-cromo e rilascio di everolimus, una DAPT di 1/3 mesi è risultata non inferiore per quanto riguarda gli eventi ischemici e ha ridotto il bleeding rispetto ad una DAPT di 6/12 mesi. Non esistono invece studi di confronto tra strategie di DAPT abbreviata (1 mese verso 3 mesi) nei pazienti HBR.

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