DOAC

Paziente anziano fragile in fibrillazione atriale: anticoagulante orale diretto o warfarin?

L’efficacia e sicurezza della terapia anticoagulante con anticoagulanti diretti (DOAC) nei pazienti anziani fragili in fibrillazione atriale (AF), non è nota. Questi pazienti non sono stati inclusi nei trial di confronto con warfarin e non pochi dubbi sorgono nel praticare una terapia anticoagulante per la coesistenza di morbilità, spesso di deficit cognitivi e nell’alto rischio di bleeding e di cadute…

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Prognosi dei pazienti con stroke in terapia anticoagulante: analisi combinata dei trial di confronto tra anticoagulanti orali diretti e warfarin.

I pazienti con storia di stroke o ischemia cerebrale sono ad alto rischio di un nuovo evento ictale. Negli studi individuali di confronto tra antagonisti della vitamina K e anticoagulanti orali diretti, in pazienti con fibrillazione atriale (AF) non è possibile disegnare con precisione la storia clinica dei pazienti che subiscono uno stroke nonostante la terapia anticoagulante, perché questi eventi sono poco numerosi. È stata perciò intrapresa una collaborazione tra gli autori dei quattro studi di confronto con lo scopo di creare un database comune (COMBINE AF), che permettesse di valutare il decorso clinico dei pazienti che dopo la randomizzazione sono risultati affetti da stroke.

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Pazienti fragili in fibrillazione atriale trattati con antagonisti della vitamina K: proseguimento oppure “switch” a anticoagulanti orali diretti?

I pazienti anziani affetti da fibrillazione atriale (AF) hanno spesso sindromi geriatriche, tra cui la fragilità, una condizione rappresentata da una maggiore vulnerabilità a situazioni di stress (come malattie, traumi etc). Questi pazienti non sono stati inclusi nei grandi trial di confronto tra antagonisti della vitamina K (VKA) e anticoagulanti orali diretti (DOAC). Poiché spesso questi pazienti sono trattati con VKA ci si pone la domanda se si debba proseguire con questo trattamento oppure “switchare” a DOAC.

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Great debate: triple antithrombotic therapy in patients with atrial fibrillation undergoing coronary stenting should be limited to 1 week.

Cinque trial hanno confrontato doppia terapia antitrombotica (DAT: anticoagulante associato a inibitore P2Y12), rispetto alla triplice terapia antitrombotica (TAT: anticoagulante associato ad ASA e inibitore P2Y12) e cioè WOEST; REDUAL, PIONEER AF-PCI; ENTRUST-AF PCI; AUGUSTUS. La meta-analisi di questi studi ha mostrato una riduzione del 50% del rischio di bleeding clinicamente rilevanti nei pazienti in DAT rispetto a quelli in TAT [hazard ratio (HR 0.56, 95% CI 0.39–0.80)] senza significativo incremento degli eventi avversi cardiovascolari (HR 1.07; 95% CI 0.94–1.22).

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Anticoagulanti orali diretti a metà dose dopo chiusura dell’auricola: la scelta vincente?

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

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TAVI e necessità clinica di trattamento anticoagulante: a che punto siamo?

I risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF, mostrando un maggior rischio di sanguinamenti maggiori gastrointestinali (GI) con edoxaban rispetto a VKA, possono suscitare stupore in quanto apparentemente discordanti rispetto ai precedenti trial che hanno dimostrato un migliore profilo di sicurezza degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) nella FA, sia se assunti in monoterapia, sia in associazione a una terapia anti-aggregante piastrinica. Tuttavia, alcune considerazioni sono necessarie per un più corretto inquadramento clinico dei risultati. Innanzitutto è importante osservare che, nonostante questo dato, l’endpoint clinico netto dello studio si è mantenuto simile nei due gruppi, poiché l’incidenza annuale della mortalità, dell’ictus e anche delle emorragie cerebrali è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban. Il maggior tasso di emorragie GI nei pazienti con stenosi aortica e sottoposti a TAVI, arruolati nello studio ENVISAGE-TAVI AF, può dipendere da un differente profilo di rischio emorragico rispetto a quello dei pazienti arruolati nei trial relativi alla FA, come dimostrato da un CHADS-VASC score più elevato legato a un’età più avanzata e a un maggior carico di comorbidità. Inoltre, è ben noto che i pazienti con stenosi aortica presentano una intrinseca vulnerabilità dal punto di vista dei sanguinamenti GI, in quanto più frequentemente sono affetti da una malattia di von Willebrand acquisita e malformazioni arterovenose.

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Efficacia del trattamento delle emorragie in pazienti che assumono anticoagulanti orali diretti.

Sempre maggiore è l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti orali diretti (DOAC), ma anche più frequenti sono le urgenze rappresentate dalle emorragie nei pazienti trattati, forse per il maggior ricorso all’anticoagulazione nei pazienti in cui essa è indicata rispetto agli anni in cui solo gli inibitori della vitamina K erano disponibili [1]. È perciò essenziale, per il clinico, avere dati sull’efficacia del trattamento disponibile in questi casi, dal concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (4PCC) all’utilizzo di antidoti specifici come idarucizumab per dabigatran e andexanet alfa per gli inibitori del fattore Xa.

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