Agosto 25, 2022

Pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) sottoposti a PCI con impianto di stent a rilascio di everolimus: quanto può essere abbreviata la DAPT?

Le Linee Guida stabiliscono una durata di 6 mesi nei pazienti con coronaropatia stabile, tuttavia nei pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) la durata può essere ridotta. Gli studi XIENCE Short DAPT hanno dimostrato che nei pazienti HBR sottoposti ad impianto di DES a piattaforma in cobalto-cromo e rilascio di everolimus, una DAPT di 1/3 mesi è risultata non inferiore per quanto riguarda gli eventi ischemici e ha ridotto il bleeding rispetto ad una DAPT di 6/12 mesi. Non esistono invece studi di confronto tra strategie di DAPT abbreviata (1 mese verso 3 mesi) nei pazienti HBR.

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Pazienti ad alto rischio emorragico sottoposti a PCI: vantaggi di una DAPT abbreviata.

Le linee Guida Europee attuali raccomandano le prescrizione di una duplice terapia antipiastrinica (Dual Antiplatelet Therapy, DAPT) dopo un intervento coronarico percutaneo (PCI) per un periodo di tempo variabile in relazione alla presentazione clinica (sindrome coronarica acuta o cronica) e al rapporto individuale tra fattori di rischio trombotico ed emorragico. Negli ultimi anni, diversi studi randomizzati hanno testato i possibili benefici derivanti da un breve periodo di DAPT (1-3 mesi) seguito da interruzione dell’acido acetilsalicilico e prosecuzione di monoterapia antiaggregante con un inibitore del recettore piastrinico P2Y12 (clopidogrel o ticagrelor) rispetto a un tradizionale ed empirico periodo prolungato di DAPT (12 mesi). L’utilizzo di una monoterapia con un inibitore P2Y12, dopo un breve periodo di DAPT, potrebbe comportare un notevole beneficio in termini di riduzione di sanguinamento senza concomitante incremento degli eventi ischemici. Infatti, grazie ad una DAPT abbreviata, il rischio di sanguinamento atteso è inferiore rispetto ad una DAPT prolungata e grazie alla maggiore efficacia anti-trombotica dell’inibitore P2Y12 rispetto all’ASA il rischio di eventi cardiovascolari, in un periodo in cui la re-endotelizzazione dello stent impiantato è pressoché completa (1-3 mesi), è probabilmente trascurabile. Tra gli studi condotti per validare questa nuova ipotesi terapeutica, il TWILIGHT (Ticagrelorwith Aspirin or Alone in High-Risk Patients after Coronary Intervention) ha confrontato 3 mesi di DAPT (acido acetilsalicilico e ticagrelor) seguiti da monoterapia con ticagrelor con 15 mesi di DAPT (acido acetilsalicilico e ticagrelor) in 7.119 pazienti con variabili fattori di rischio ischemico ed emorragico sottoposti ad angioplastica percutanea. Al follow-up, l’endpoint composito primario, che includeva sanguinamenti Bleeding Academic Research Consortium (BARC) tipo 2, 3, o 5, risultava significativamente meno frequente nei pazienti assegnati a DAPT abbreviata seguita da ticagrelor rispetto ai pazienti assegnati a DAPT prolungata (4.0% vs 7.1%, p<0.001; hazard ratio [HR] 0.56, intervallo di confidenza [CI] del 95% 0.45-0.68). L’incidenza dell’endpoint composito secondario maggiore, che includeva morte da qualunque causa, infarto miocardico non fatale, e stroke non fatale, risultava non inferiore tra le due strategie antitrombotiche (3.9% vs. 3.9%. Pnoninferiority<0.001; HR 0.99, 95% CI 0.78-1.25). Il setting dei pazienti ad alto rischio di sanguinamento (High Bleeding Risk, HBR) è probabilmente quello che potrebbe trarre maggiore beneficio prognostico da un trattamento abbreviato con DAPT. Recentemente, l’Academic Research Consortium (ARC) ha definito dei criteri maggiori e minori identificati mediante una revisione dell’evidenza disponibile per definire pragmaticamente le condizioni comportanti un maggiore rischio emorragico nei pazienti sottoposti a PCI. Il paziente HBR è generalmente complesso perché spesso oltre all’aumentato rischio emorragico coesiste un incrementato rischio ischemico. Alla luce di queste problematiche cliniche e prognostiche, il subset dei pazienti HBR potrebbe trarre un maggiore beneficio da una DAPT abbreviata seguita da monoterapia con potente inibitore P2Y12 dopo PCI.

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Stenosi aortica severa associata a coronaropatia: meglio la TAVI e la PCI o la sostituzione valvolare chirurgica associata al bypass aortocoronarico?

La coesistenza di una coronaropatia moderato/ severa ha rappresentato un criterio di esclusione all’arruolamento dei pazienti con stenosi aortica severa sintomatica nei trial di confronto tra TAVI e sostituzione valvolare chirurgica (SAVR). Tuttavia molti pazienti con stenosi aortica ed età avanzata presentano una coronaropatia significativa e non è noto quale sia il loro destino quando alla TAVI si associa la PCI piuttosto che alla SAVR un intervento di bypass aortocoronarico (CABG).

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Diagnostic Traps – Noteworthy Electrocardiogram Patterns.

Il case report descrive un paziente con dolore toracico e un elettrocardiogramma eseguito in ambulanza durante il trasporto in ospedale con evidenza di ritmo giunzionale accelerato e sopraslivellamento di ST in aVR e in V1 e sottoslivellamento in derivazione I e da V2 a V6 (frecce). L’unico dato clinico rilevante all’esame obbiettivo era la presenza di turgore giugulare. Un elettrocardiogramma eseguito in PS mostrava sopraslivellamento di ST nelle precordiali destre. All’ecocardiogramma la funzione ventricolare sinistra era buona, mentre il ventricolo destro mostrava una severa acinesia della parete libera. Alla coronarografia era presente una isolata occlusione del tratto prossimale di una coronaria destra non dominante. È stata posta diagnosi di infarto miocardico isolato del ventricolo destro. Il pattern ECG, in questo caso, potrebbe essere confuso con il quadro di ischemia miocardica da coronaropatia multivasale o da lesione del tronco comune. In quest’ultimo caso, tuttavia, a differenza del paziente sopra presentato, gli elementi distintivi sono un sopraslivellamento in aVR>V1 e un sottoslivellamento di ST in almeno 8 derivazioni((Ibanez B, James S, Agewall S, et al; ESC Scientific Document Group. 2017 ESC guidelines for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation: the Task Force for the management of acute myocardial infarction in patients presenting with ST-segment elevation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J. 2018;)). Una diagnosi precoce di infarto del ventricolo destro è importante per iniziare una terapia a base di somministrazione di fluidi, evitando diuretici e nitrati che, riducendo il preload, possono aggravare la condizione emodinamica del paziente.

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Renal function and mortality in patients with atrial fibrillation (published online ahead of print, 2022 Jun 23).

L’impatto della disfunzione renale cronica (CKD) e dei corrispondenti valori di velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) sulla mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale rimane sconosciuto. In questa analisi post-hoc di uno studio randomizzato controllato che ha incluso 1.064 pazienti ospedalizzati con fibrillazione atriale, 465 (43.7%) presentavano CKD. La presenza di CKD è risultata associata a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause e cardiovascolare dopo l’ospedalizzazione [hazard ratio aggiustato (adj.HR): 1.60; intervallo di confidenza al 95% (CI 95%): 1.25-2.05 e adj.HR: 1.74; CI 95%: 1.30-2.33, rispettivamente]. Rispetto allo stadio 1 della CKD, gli adj.HR per la mortalità per tutte le cause negli stadi 2-5 della CKD erano rispettivamente 2.18, 2.62, 4.20 e 3.38 (tutti P<0.05). Valori di eGFR inferiori a 50 ml/min/1.73 m2 sono risultati predittori indipendenti di una maggiore mortalità per tutte le cause e cardiovascolare. In conclusione, nei pazienti ricoverati con fibrillazione atriale, la presenza di CKD è risultata associata in modo indipendente a una minore sopravvivenza, che è risultata significativamente superiore negli stadi CKD da 2 a 5, rispetto allo stadio 1.> <0.05). Valori di eGFR inferiori a 50 ml/min/1.73 m2 sono risultati predittori indipendenti di una maggiore mortalità per tutte le cause e cardiovascolare. In conclusione, nei pazienti ricoverati con fibrillazione atriale, la presenza di CKD è risultata associata in modo indipendente a una minore sopravvivenza, che è risultata significativamente superiore negli stadi CKD da 2 a 5, rispetto allo stadio 1.

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Ticagrelor Monotherapy or Dual Antiplatelet Therapy After Drug-Eluting Stent Implantation: Per-Protocol Analysis of the GLOBAL LEADERS Trial.

Background: In the GLOBAL LEADERS trial, ticagrelor monotherapy beyond 1 month compared with standard antiplatelet regimens after coronary stent implantation did not improve outcomes at intention-to-treat analysis. Considerable differences in treatment adherence between the experimental and control groups may have affected the intention-to-treat results. In this reanalysis of the GLOBAL LEADERS trial, we compared the experimental and control treatment strategies in a per-protocol analysis of patients who did not deviate from the study protocol.

Methods and results: Baseline and postrandomization information were used to classify whether and when patients were deviating from the study protocol. With logistic regressions, we derived time-varying inverse probabilities of nondeviation from protocol to reconstruct the trial population without protocol deviation. The primary endpoint was a composite of all-cause mortality or nonfatal Q-wave myocardial infarction at 2 years. At 2-year follow-up, 1.103 (13.8%) of 7.980 patients in the experimental group and 785 (9.8%) of 7.988 patients in the control group qualified as protocol deviators. At per-protocol analysis, the rate ratio for the primary endpoint was 0.88 (95% CI, 0.75-1.03; p=0.10) on the basis of 274 versus 325 events in the experimental versus control group. The rate ratio for the key safety endpoint of major bleeding was 1.00 (95% CI, 0.79-1.26; p=0.99). The per-protocol and intention-to-treat effect estimates were overall consistent.

Conclusions: Among patients who complied with the study protocol in the GLOBAL LEADERS trial, ticagrelor plus ASA for 1 month followed by ticagrelor monotherapy was not superior to 1-year standard dual antiplatelet therapy followed by ASA alone at 2 years after coronary stenting.

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