Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
La TAVI stata introdotta negli Stati Uniti nel 2012; ì primi risultati, ottenuti in pazienti a rischio molto elevato e con una tecnologia ancora non raffinata, per lo più effettuata utilizzando la via transapicale e con il paziente in anestesia generale, furono piuttosto modesti; tuttavia, vi fu una rapida transizione da questa fase molto iniziale, con risultati in miglioramento tra il 2012 e il 2018: la mortalità a 30 giorni in quel periodo diminuì dal 7% al 2% e a 1 anno dal 24% al 12%, associata à una netta riduzione delle complicanze[1]Mack MJ, Brennan JM, Brindis R, et al. STS/ACC TVT Registry. Outcomes following transcatheter aortic valve replacement in the United States. JAMA. 2013;310:2069-2077. doi:10.1001/jama.2013.282043.. Però dopo il 2018 sembra esserci stato il raggiungimento di un plateau nei risultati, senza ulteriori miglioramenti nonostante la casistica sia divenuta meno impegnativa (con l’ampliarsi delle indicazioni verso pazienti a rischio intermedio/basso) e la continua evoluzione dei materiali.
Lo studio in esame
L’analisi si riferisce ai risultati di procedure di TAVI eseguite in 210.495 pazienti, incluse nel registro della Society of Thoracic Surgeons (STS)/American College of Cardiology (ACC) Transcatheter Valve Therapies (TVT) ed eseguite tra il gennaio 2019 è il marzo 2022 in 786 ospedali degli Stati Uniti. L’età mediana era 79 (73-85) anni e il 43.4% erano donne. Un terzo circa erano in fibrillazione atriale, il 6% aveva una valvola bicuspide. Era stato eseguito un accesso femorale nel 96% dei pazienti è una anestesia generale nel 35% delle procedure.Il rischio di mortalità atteso, valutato secondo l’STS score, era del 3.3%. Dal 2019 al 2022 tale score diminuiva, passando da 3.7% a 3.0% per effetto di una casistica trattata meno complessa. Era diminuito anche il diametro degli introduttori (l’uso di 14-15F passato dal 60% al 74%) e il ricorso all’anestesia generale (dal 38.2% al 32.6%).
L’outcome primario era rappresentato dalla mortalità a 30 giorni. Essa, tra il primo quarto del 2019 e il primo quarto del 2022 non era significativamente mutata (passando dal 2.5% al 2.2%), mentre erano diminuite le complicanze e il bleeding maggiore (dal 5.6% al 4.1%) come pure il ricorso all’impianto di pacemaker (dall’11.8% al 9.9%).
Aggiustando per le caratteristiche cliniche dei pazienti e per le variabili procedurali, si è osservato un incremento significativo di mortalità nel tempo (rispettivamente OR 1.05 per anno, 95% CI, 1.02-1.08, e OR 1.09 per anno, 95% CI, 1.05-1.13, vedi Figura). Così pure, con questi aggiustamenti, non risultava più significativa la riduzione delle complicanze.
Analisi esploratorie (escludendo i centri che avevano iniziato l’attività nel 2019 o quelli con minore esperienza, oppure escludendo pazienti con bicuspidia e quelli a basso rischio) non fornivano risultati differenti. Invariati i risultati dell’analisi, anche escludendo ì pazienti dimessi il giorno successivo alla procedura e coloro che avevano avuto complicanze procedurali.

Take home message
In questo ampio studio osservazionale di pazienti sottoposti a TAVI si è notato un (benché modesto) incremento di mortalità a 30 giorni tra il 2019 ed il 2022, apparentemente non spiegato da fattori tecnico-procedurali o dalla qualità dei centri. E’ necessario mantenere un’attenzione costante è vigile sui risultati di questa procedura.
Interpretazione dei dati
Benché l’aumento di mortalità dopo intervento di TAVI sia stato abbastanza modesto (inferiore all’1%, come mostra la Figura) in termini assoluti esso si traduce negli Stati Uniti in circa 500 decessi annuali in più. Tale incremento appare paradossale se si pensa che la casistica degli ultimi anni è rappresentata da un maggior numero di pazienti a basso rischio.
Nelle loro analisi gli Autori non hanno trovato una causa specifica per il fenomeno descritto. Escludendo anche i centri a basso volume, i pazienti con bicuspidia aortica, quelli con complicanze vascolari procedurali, i risultati non mutano e perciò non sembrano essere influenzati da tali variabili. L’epidemia di Covid 19 potrebbe avere avuto un ruolo nella genesi di questi dati: tuttavia, l’incremento di mortalità é antecedente alla pandemia (2019) e il trend non sembra essersi modificato al termine di essa.
La spiegazione più probabile, concludono gli Autori, è che si tratti di fisiologiche fluttuazioni attorno a una soglia ormai bassa di rischio (circa il 2%) sotto la quale difficilmente si può pensare di scendere.
La limitazione maggiore del lavoro quella di avere un follow-up breve (30 giorni), mentre si sarebbero ottenute maggiori informazioni con un’osservazione più prolungata non circoscritta alla sola sopravvivenza, ma anche all’evenienza di scompenso cardiaco.
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