Long-term complications in patients implanted with subcutaneous implantable cardioverter defibrillators: real-world data from the extended ELISIR experience

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Abstract

Background: recently, the Food and Drug Administration issued a recall for the subcutaneous implantable cardioverterdefibrillator (S-ICD) because of the possibility of lead ruptures and accelerated battery depletion.

Objective: the aim of this study was to evaluate device-related complications over time in a large real-world multicenter S-ICD cohort.

Methods: patients implanted with an S-ICD from January 2015 to June 2020 were enrolled from a 19-institution European registry (Experience from the Long-term Italian S-ICD registry [ELISIR]; ClinicalTrials.gov identifier NCT0473876). Device-related complication rates over follow-up were collected. Last follow-up of patients was performed after the Boston Scientific recall issue.

Results: a total of 1.254 patients (median age 52.0 [interquartile range 41.0-62.2] years; 973 (77.6%) men; 387 (30.9%) ischemic) was enrolled. Over a follow-up of 23.2 (12.8-37.8) months, complications were observed in 117 patients (9.3%) for a total of 127 device-related complications (23.6% managed conservatively and 76.4% required reintervention). Twentyseven patients (2.2%) had unanticipated
generator replacement after 3.6 (3.3-3.9) years, while 4 (0.3%) had lead rupture. Body mass index (hazard ratio [HR] 1.063 [95% confidence interval 1.028-1.100]; P<.001), chronic kidney disease (HR 1.960 [1.191-3.225]; P=.008), and oral anticoagulation (HR 1.437 [1.010-2.045]; P=.043) were associated with an increase in overall complications, whereas older age (HR 0.980 [0.967-0.994]; P=.007) and procedure performed in high-volume centers (HR 0.463 [0.300-0.715]; P=.001) were protective factors.

Conclusion: the overall complication rate over 23.2 months of follow-up in a multicenter S-ICD cohort was 9.3%. Early unanticipated device battery depletions occurred in 2.2% of patients, while lead fracture was observed in 0.3%, which is in line with the expected rates reported by Boston Scientific.


Intervista a Giovanni Forleo

Cardiologia, Università Ospedale Luigi Sacco, Milano

Dottor Forleo, qual è il “take home message” del vostro studio?
In questa analisi siamo andati ad analizzare, su 1.245 pazienti sottoposti a impianto di S-ICD, il tasso di complicanze collegate al device durante un follow-up mediano di 23.2 mesi. I “take home message” principali dello studio sono essenzialmente tre. Il primo riguarda l’incidenza delle complicanze evidenziate durante il follow-up di questi pazienti, che è stato di circa il 9%. Questo tasso di complicanze, proveniente da dati “real-world” in quello che è uno studio non-sponsorizzato, è in linea con quanto descritto da studi post-approvazione del dispositivo stesso, se vengono analizzate globalmente tutte le complicanze da noi
descritte. Il secondo punto, fondamentale, è relativo alle complicanze menzionate direttamente dal produttore della casa e che ha poi condotto al recall dell’FDA, cioè rotture di catetere a livello di un punto specifico dello stesso e scarica precoce del generatore.
Anche questi numeri sono abbastanza in linea con i dati dichiarati dalla casa. Il terzo punto, anch’esso fondamentale, è che una sottoanalisi specifica dei nostri dati ha mostrato come, a far la differenza nell’ottenere un tasso minore di complicanze peri- e post-procedurali, non sia tanto l’operatore in sé visto come “singolo”, ma più in generale centri ad alto volume che abbiano maggiore esperienza con l’impianto del device. Questo testimonia come il lavoro di squadra con personale dedicato e specializzato,
che comprenda anche infermieri di sala dedicati oltre che operatori esperti, possa fare la differenza nell’abbattere il tasso di complicanze rilevato durante il follow-up.

Sono state osservate complicanze nel 9.3% dei pazienti arruolati nel vostro registro, mentre i dati storici relativi all’impianto trans-venoso (TV-ICD) mostrano percentuali inferiori (circa 5%). Come dobbiamo interpretare questi dati?
I dati vanno interpretati non limitandosi ad analizzare il tasso “crudo” di complicanze, ma bensì l’impatto che queste complicanze possano avere sui pazienti, che è l’aspetto fondamentale impattante la gestione del paziente stesso. Oltre la metà di queste complicanze sono risultate di facile gestione, tanto da non richiedere un reintervento, e in nessun caso ha portato a complicanze gravi esitate, con lunghe ospedalizzazioni o decesso dei pazienti. Questo è di immediata comprensione se si pensa alla natura stessa del device, che essendo del tutto extravascolare, ha una gestione più agevole di complicanze anche gravi (es. malfunzionamenti o infezioni) che conducano all’estrazione del dispositivo.
Lo stesso non si può dire per i dispositivi transvenosi che, pur presentando magari un tasso “storico” inferiore di complicanze, sono soggetti sicuramente a una più complicata gestione delle stesse, con un outcome spesso significativamente peggiore.

Nella discussione mettete in evidenza come a fronte di questa percentuale di complicanze, non avete osservato decessi correlati al dispositivo, a differenza di quanto storicamente riportato per le complicanze nei pazienti con impianto TV-ICD. In questo dato positivo, quanto può contare il fatto che la popolazione arruolata nel vostro registro era giovane (età mediana: 52 anni) verosimilmente a rischio minore di quella cui viene solitamente impiantato un TV-ICD?
Più dell’età pesa la natura stessa del dispositivo, come precedentemente accennato, in quanto complicanze estremamente rilevanti conducono generalmente all’estrazione del dispositivo.
È noto che l’estrazione di dispositivo impiantato in tempi non recenti esponga anche la popolazione giovane a un rischio importante di decesso peri-procedurale. Inoltre, se è vero che l’età avanzata può condurre a un tasso maggiore di complicanze (es. infettive) anche per le comorbidità associate, è pur vero che la popolazione giovane, che spesso impianta un S-ICD per la presenza di cardiomiopatie, è potenzialmente più esposta a complicanze quali shock inappropriati anche per la maggiore attività fisica. A questo proposito, il registro ELISIR è “under review” con un’altra analisi che sarà focalizzata proprio su questo aspetto.

Circa il 9% dei pazienti arruolati ha avuto shock inappropriati. Come si confronta questo dato con quanto storicamente noto per i pazienti con impiantati con TV-ICD? Pensa che siano necessari miglioramenti tecnologici per ridurre significativamente l’incidenza di shock inappropriati?
Diversi studi e metanalisi hanno confrontato il tasso di shock inappropriati dei dispositivi sottocutanei e transvenosi, tenendo sempre presente che il tasso è molto variabile in base a come viene valutato il suddetto evento. Il messaggio fondamentale di queste analisi è che il tasso di shock inappropriati è
abbastanza simile nei due tipi di dispositivi, pur essendo differente la causa principale, che risulta essere l’oversensing dell’onda T nei dispositivi sottocutanei e la presenza di aritmie sopraventricolari rapide nei dispositivi transvenosi. Naturalmente, i miglioramenti tecnologici sono alla base della riduzione di
qualsiasi complicanza legata ai device e, da questo punto di vista i dispositivi transvenosi hanno avuto sicuramente più tempo e più “storia” per correggere i propri difetti. Dal canto loro i dispositivi sottocutanei sono più giovani, ma adoperano comunque l’algoritmo “SMART pass”, che è stato inserito qualche anno fa dalla casa produttrice nel corso dello sviluppo del device. Questo algoritmo ha sicuramente permesso di ridurre gli shock inappropriati nel corso del follow-up di questi pazienti, in particolar modo quelli legati a “oversensing” dell’onda T, che è risultata essere, anche nel nostro registro, la causa principale di shock inappropriati.

Alla luce della vostra esperienza, quali sono le indicazioni attuali all’impianto di ICD sottocutaneo? Sicuramente la scelta del paziente rappresenta l’aspetto fondamentale per avere degli ottimi “outcome” a lungo termine con il dispositivo sottocutaneo. Nella nostra esperienza proponiamo al paziente l’impianto di questo dispositivo ogni qual volta non ci sia necessità di pacing, di resincronizzazione cardiaca o quando il paziente non abbia nota storia di tachicardia ventricolare monomorfa sostenuta, che possa
trarre beneficio da “anti-tachycardia pacing”. Naturalmente, nel caso si tratti di pazienti giovani o ad alto rischio infettivo (es. pazienti diabetici con insufficienza renale cronica o affetti da patologie infettive sistemiche), l’indicazione all’utilizzo di un dispositivo sottocutaneo è ancora più forte. Anche nei pazienti obesi, che spesso rappresentano una sfida importante per l’elevata massa tissutale che si interpone tra il
cuore e il device sottocutaneo, l’esperienza ci ha insegnato che ottimizzando progressivamente
la tecnica d’impianto, anche con l’utilizzo di una valutazione del PRAETORIAN Score intraprocedurale (analizzata in un altro articolo del registro ELISIR pubblicato su Journal of Cardiovascular Electrophysiology), i risultati a lungo termine sono assolutamente adeguati all’obiettivo preposto.

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