Bypass aortocoronarico (CABG) o angioplastica coronarica (PCI) nelle stenosi del tronco comune della coronaria sinistra (LM): per questo annoso problema è possibile raggiungere una soluzione condivisa?

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Indice

Inquadramento

Sono stati condotti quattro studi (SYNTAX LEFT MAIN: 705 pazienti; PRECOMBAT 600 pazienti, NOBLE 1.201 pazienti; EXCEL 1.905 pazienti) per dare una risposta al quesito posto dal titolo. I risultati di questi trial non sono stati tuttavia concordanti e hanno dato vita a un’accesa discussione (se non aspra contesa) tra cardiochirurghi e cardiologi interventisti. Le meta-analisi, sin qui effettuate, hanno utilizzato solo i dati aggregati dei vari trial e non i dati dei singoli pazienti, non hanno distinto tra infarti spontanei e peri-procedurali (questi ultimi peraltro diagnosticati con criteri differenti) e non hanno considerato un periodo di follow-up adeguato (almeno 5 anni).

Lo studio in esame

Si tratta di una meta-analisi, effettuata dal TIMI Study group, dei quattro studi randomizzati, costruita sui dati dei singoli pazienti randomizzati utilizzando, per la diagnosi di infarto procedurale, la definizione della Fourth Universal Definition of Myocardial Infarction[1]Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, et al. Fourth universal definition ofmyocardial infarction (2018). Circulation 2018; 138:e618–51.. La mediana dell’età era 66 anni, quella del SYNTAX score 25, un quarto dei pazienti era diabetico e tre quarti avevano una stenosi distale del LM. L’endpoint primario (mortalità per ogni causa) a 5 anni non è risultato differente nei due gruppi randomizzati a PCI (11.2% per PCI e 10.2% per CABG, HR 1.10, 95% CI 0.91 to 1.32; p = 0.33). Tuttavia, un’analisi bayesiana indica una probabilità dell’85.7% che una differenza sussista tra i due metodi di rivascolarizzazione a vantaggio di CABG (< 0.2% / anno). I dati relativi agli endpoint secondari sono descritti nella tabella: CABG ha ridotto significativamente gli infarti spontanei rispetto a PCI (number needed to treat con CABG = 29) e si è associato a una minore necessità di nuova rivascolarizzazione. Per quanto riguarda i sottogruppi, l’unica interazione significativa (p interaction = 0.011) riguardava la presenza di una sindrome coronarica acuta (con risultati favorevoli alla PCI: HR 0.85, 95% CI 0.65–1.11), rispetto a una coronaropatia stabile (con risultati favorevoli a CABG: HR 1.38, 95% CI 1.06–1.78).

Take home message

In pazienti con stenosi del LM e complessità anatomica medio/lieve, la mortalità a 5 anni non risulta differente tra PCI e CABG, anche se l’analisi bayesiana suggerisce che vi sia un probabile vantaggio a favore di quest’ultimo, con una differenza < 0.2% all’anno.

Interpretazione dei dati

Gli Autori osservano come le curve di mortalità, inizialmente a favore di PCI, divergano dopo il primo anno a vantaggio di CABG; il risultato a 5 anni, tuttavia, non è risultato statisticamente significativo a favore della chirurgia. Anche se l’analisi bayesiana suggerisce un’elevata probabilità (di circa l’85%) di differenza di mortalità a favore di CABG, tale differenza appare molto modesta, trascinata, peraltro, dalla mortalità non cardiovascolare e non da quella cardiovascolare. Inoltre, a 10 anni (i dati si riferiscono a due studi su quattro) non è stata riscontrata alcuna differenza statisticamente significativa tra le due popolazioni trattate. Ampia, invece, la differenza a vantaggio della chirurgia per quanto riguarda l’infarto miocardico: su 1.000 pazienti, trattati con rivascolarizzazione, sono attesi 35 infarti e 76 rivascolarizzazioni in più se i pazienti fossero trattati con PCI rispetto a CABG. Tra le limitazioni sottolineate nella discussione gli Autori ricordano che i loro dati si applicano a una popolazione a bassa complessità anatomica essendo la mediana di Syntax score=25.

Editoriale

Stenosi del tronco comune: PCI o bypass?

Bernardo Cortese

Fondazione Ricerca e Innovazione Cardiovascolare, Milano, Italy

Le differenze sulla prognosi a lungo termine tra CABG e PCI per il trattamento della malattia del tronco comune rappresentano, a nostro modesto avviso, “il tema hot” della cardiologia interventistica attuale[2]B. Cortese et Al. Left Main Coronary Revascularization. Editor B. Cortese. Springer Intl. October 2022..  Da una parte, il Cardiologo Interventista vuole conquistare ormai una delle ultime roccaforti della chirurgia, mentre il Cardiochirurgo mostra dati scientifici per molti versi apparentemente inoppugnabili, in merito a un vantaggio della chirurgia in termini di infarto miocardico spontaneo e di necessità di rivascolarizzazione. E questo articolo non fa che confermare dati già noti. Quindi, nihil sub sole novum? In realtà no, secondo questa meta-analisi di Marc Sabatine et al., un’analisi bayesiana sul rischio di mortalità a 5 anni favorirebbe la chirurgia con una probabilità dell’85%; inoltre, il tasso di mortalità totale dopo il primo anno favorisce ancora la chirurgia con una pur non statisticamente significativa riduzione del 24% del tasso di decessi per ogni causa. Partita chiusa? Noi pensiamo di no. Ovviamente, le limitazioni di questa meta-analisi sono numerose, tra le altre vorremmo citare:

  • non si parla di quale tecnica di stent per biforcazione sia stata usata nei casi di malattia distale del TC (il 75%), e ben sappiamo quanto le tecniche che prevedono impianto di 2 stent siano associate a un aumento di mortalità a lungo termine[3]T. Steigen et Al. Ten-year All-cause Mortality after Simple versus Complex Stenting of Coronary Artery Bifurcation Lesions in the Randomized Nordic Bifurcation Study. J Am Coll Cardiol. 2016, 68 … Continua a leggere;
  • in due studi sono stati impiegati DES di prima generazione, e in uno un DES “bulky”: il tasso di ristenosi del braccio PCI non può non essere influenzato da questi fattori;
  • non è dato conoscere l’impatto delle tecniche di imaging intravascolare sulla scelta terapeutica prima dell’intervento di angioplastica. Ma la vera domanda che dobbiamo porci è: il match del trattamento migliore del tronco comune va alla chirurgia? Ovvero, gran parte dei pazienti con malattia del tronco comune li dovremmo mandare a fare il bypass?

Non stiamo dicendo questo, sia per le sopra citate limitazioni metodologiche dello studio in questione, che per gli ausili tecnici e tecnologici su cui possiamo contare negli ultimi anni. Come sarebbero i risultati se applicassimo, ad esempio:

  • una riduzione della lunghezza (nella meta-analisi 42 mm) e del numero (2) di stent impiegati. È ormai evidente quanto la pratica di posizionare troppo metallo sia associata a un incremento in “target lesion failure”[4]Min Gyu Kong et Al. Clinical outcomes of long stenting in the drug-eluting stent era: patient-level pooled analysis from the GRAND-DES registry. EuroIntervention 2021;16:1318-1325.;
  • l’impiego dei palloni a eluizione di farmaco per il trattamento della branca secondaria di una biforcazione complessa, al posto di un altro stent per ovviare ai valori inaccettabili di infarto spontaneo e TLF in caso di “too much metal” (per questo l’evidenza scientifica è ancora blanda, ma possiamo parlare di dati incoraggianti con numerosi “lavori in corso”);
  • l’impiego di IVUS o OCT in tutti i casi di angioplastica del tronco comune, associato a una loro accurata interpretazione[5]B Cortese et Al. Optical coherence tomography, intravascular ultrasound or angiography guidance for distal left main coronary stenting. The ROCK cohort II study. Catheter Cardiovasc Interv. … Continua a leggere.

Ormai, i dati scientifici a favore dell’imaging sono numerosi e forti; s’intenda, l’imaging va impiegato sia prima dell’angioplastica per una sua corretta pianificazione, che alla fine per una valutazione finale, come le Linee Guida dell’ESC ci insegnano ormai da anni. In conclusione, la meta-analisi di Marc Sabatine e Coll. è scientificamente solida e fornisce una conferma di dati già noti, ovvero che la chirurgia è associata a un miglior tasso di rivascolarizzazione, niente di nuovo quindi. D’altro canto, questo studio e tutta la letteratura che ha paragonato bypass e angioplastica per il trattamento della malattia del tronco comune dovrebbero farci fare un passo indietro e analizzare nel dettaglio la tecnica operatoria impiegata nei laboratori di emodinamica, affinchè la modifichiamo impiegando tecnologie più moderne e meno impattanti sulla prognosi a lungo termine dei nostri pazienti.

Bibliografia

Bibliografia
1 Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, et al. Fourth universal definition ofmyocardial infarction (2018). Circulation 2018; 138:e618–51.
2 B. Cortese et Al. Left Main Coronary Revascularization. Editor B. Cortese. Springer Intl. October 2022.
3 T. Steigen et Al. Ten-year All-cause Mortality after Simple versus Complex Stenting of Coronary Artery Bifurcation Lesions in the Randomized Nordic Bifurcation Study. J Am Coll Cardiol. 2016, 68 Suppl:B131–B132.
4 Min Gyu Kong et Al. Clinical outcomes of long stenting in the drug-eluting stent era: patient-level pooled analysis from the GRAND-DES registry. EuroIntervention 2021;16:1318-1325.
5 B Cortese et Al. Optical coherence tomography, intravascular ultrasound or angiography guidance for distal left main coronary stenting. The ROCK cohort II study. Catheter Cardiovasc Interv. 2021;1–10.

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