Clinical governance of patients with acute coronary syndromes.

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Abstract

Aims: Using the principles of clinical governance, a patient-centred approach intended to promote holistic quality improvement, we designed a prospective, multicentre study in patients with acute coronary syndrome (ACS). We aimed to verify and quantify consecutive inclusion and describe relative and absolute effects of indicators of quality for diagnosis and therapy.

Methods and results: Administrative codes for invasive coronary angiography and acute myocardial infarction were used to estimate the ACS universe. The ratio between the number of patients included and the estimated ACS universe was the consecutive index.
Co-primary quality indicators were timely reperfusion in patients admitted with ST-elevation ACS and optimal medical therapy at discharge. Cox-proportional hazard models for 1-year death with admission and dischargespecific covariates quantified relative risk reductions and adjusted number needed to treat (NNT) absolute risk reductions. Hospital codes tested had a 99.5% sensitivity to identify ACS universe. We estimated that 7.344 (95% CI: 6.852-7.867) ACS patients were admitted and
5.107 were enrolled-i.e. a consecutive index of 69.6% (95% CI 64.9-74.5%), which varied from 30.7 to 79.2% across sites. Timely reperfusion was achieved in 22.4% (95% CI: 20.7-24.1%) of patients, was associated with an adjusted hazard ratio (HR) for 1-year death of 0.60 (95% CI: 0.40-0.89) and an adjusted NNT of 65 (95%
CI: 44-250). Corresponding values for optimal medical therapy were 70.1% (95% CI: 68.7- 71.4%), HR of 0.50 (95% CI: 0.38-0.66), and NNT of 98 (95% CI: 79-145).

Conclusion: A comprehensive approach to quality for patients with ACS may promote equitable access of care and inform implementation of health care delivery.


Intervista a Sergio Leonardi

Università di Pavia e Unità di Terapia Intensiva Coronarica, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia.

Professor Leonardi, quali sono i messaggi principali dello studio?

Come si può intuire dal titolo, questo studio nasce con l’ambizione di dare forma e struttura a una visione nella gestione dei pazienti con sindrome coronarica acuta.
I messaggi principali credo siano tre:

  1. non ci può essere equità senza l’inclusione di tutti: è quindi indispensabile verificare e quantificare la “consecutività” negli studi osservazionali, in particolare quando l’obiettivo è il miglioramento della qualità di cure;
  2. tra i molti indicatori di qualità esistenti e raccomandati dalle Linee Guida è necessario identificare delle priorità basate sul loro impatto clinico;
  3. bisogna condividere in modo trasparente i dati e disseminarli in modo comprensibile, non solo per i medici, ma anche per i pazienti.

Un dato rilevante dell’analisi è che solo il 70% dei pazienti con una diagnosi confermata di sindrome coronarica acuta è stato incluso nello studio. I pazienti esclusi sono per lo più ricoverati in reparto medico e non ricevono le migliori cure per la loro patologia. Ci sono dati di outcome per questa “popolazione dimenticata”?

Credo che questo, in effetti, sia il messaggio più importante dello studio. Nonostante l’indicazione del protocollo a tutti i siti di includere “pazienti consecutivi”, solo il 70% è stato incluso dopo aver verificato centralmente l’inclusione attraverso strumenti amministrativi, cioè le schede di dimissione ospedaliera (SDO).
In alcuni centri addirittura meno del 50% dei pazienti sono stati inclusi. Tutti centri motivati e ben organizzati. Il motivo è semplice: molti di questi pazienti non sono accessibili al cardiologo, in particolare per raccoglierne il consenso che di fatto ha rappresentato una barriera alla loro inclusione. Questi pazienti, in particolare quelli trattati conservativamente, sono spesso ricoverati non in Cardiologie ma in reparti internistici. E sono proprio i pazienti in cui l’ottimizzazione della terapia medica è l’unica ed essenziale arma che abbiamo e in cui è più urgente raccogliere i dati per poterne misurare e migliorare la cura.

Nei pazienti STEMI i tempi ospedalieri preriperfusione sembrano ancora troppo lunghi. Quali sono le cause e come possono essere risolte?

Solo il 20% circa dei pazienti con STEMI eleggibili ha avuto una riperfusione tempestiva, cioè entro 1 ora dalla diagnosi, come raccomandato dalle Linee Guida. Questo è stato l’indicatore con la più bassa implementazione, ma il più forte impatto atteso sulla mortalità. Quindi, uno dei primi punti da migliorare anche se credo uno dei più complessi. Vanno coinvolte e coordinate le molte figure sanitarie anche in fase preospedaliera, in particolare all’interno del sistema di emergenza-urgenza territoriale. È il classico intervento in cui sarebbe importante avere una forte priorità da parte delle amministrazioni ospedaliere.

Quale sarà la fase successiva alla presente analisi? In quale direzione ci si deve muovere per promuovere la consecutività dell’arruolamento e sostenere la qualità delle cure?

Il prossimo studio è già partito e sarà condotto non solo in Italia ma anche in Svizzera. Avrà come obiettivo primario proprio l’indice di consecutività, con l’obiettivo di includere, in tutti i centri partecipanti, almeno il 95% dei pazienti ricoverati per ACS. Credo che il nostro studio indichi che per affrontare seriamente (governare) la più importante malattia cardiovascolare dobbiamo non solo includere tutti i pazienti e indentificare le priorità di trattamento, ma riuscire a coinvolgere in modo trasparente i decisori, le organizzazioni di pazienti e le amministrazioni e avere l’obiettivo comune di tradurre queste evidenze in pratica, iniziando dai problemi più urgenti, in modo da poter fare qualcosa di tangibile per migliorare le cure dei pazienti con sindrome coronarica acuta.

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