È utile un test funzionale a un anno dall’intervento in pazienti sottoposti a PCI ad alto rischio?

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Indice

Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia

Inquadramento

Circa la metà dei pazienti sottoposti a PCI eseguono un test funzionale entro due anni dall’intervento[1]Neumann F-J, Sousa-Uva M, Ahlsson A, et al. 2018 ESC/EACTS guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019; 40: 87-165., nonostante le Linee Guida non raccomandino questa indagine[2]Shah BR, McCoy LA, Federspiel JJ, et al. Use of stress testing and diagnostic catheterization after coronary stenting: association of site-level patterns with patient characteristics and outcomes in … Continua a leggere se non a un anno di follow-up in pazienti sottoposti a procedure ad alto rischio (peraltro con una debole classe di raccomandazione: IIb). L’evidenza al riguardo è molto limitata e non vi sono studi randomizzati che abbiano affrontato questa problematica.

Lo studio in esame

Post-PCI è uno studio multicentrico randomizzato, di tipo pragmatico (cioè eseguito nelle condizioni abituali di “real life”) condotto in Corea del Sud, utilizzando registri osservazionali nazionali per l’arruolamento. Sono stati inclusi 1.706 pazienti (età media 64.5 anni, 69% con angina stabile o ischemia silente) sottoposti a PCI ad alto rischio (almeno una caratteristica di rischio anatomico, quali presenza di lesione sul tronco comune – 21% dei casi -, biforcazione – 44% dei casi -, occlusione totale – 20% dei casi -, stent su almeno 2 vasi – 70% dei casi – o una caratteristica di rischio clinico come diabete – 39% dei casi -, insufficienza renale – 8% dei casi – o sindrome coronarica acuta – 31% dei casi). I pazienti sono stati randomizzati a “standard care” (n=857), oppure a eseguire un test funzionale (in genere scintigrafia miocardica da stress o test ergometrico a 12+-2 mesi, n=849). Al successivo anno di follow-up (2 anni dalla PCI) l’endpoint primario (un composito di morte per ogni causa, infarto miocardico, ospedalizzazione per instabilizzazione clinica) si è verificato nel 5.5% nel gruppo con test funzionale e nel 6% del gruppo “standard care” (hazard ratio, 0.90; 95% confidence interval [CI], 0.61 to 1.35; p=0.62). Ulteriori dati di outcome sono descritti nella Tabella.

Take home message

Una strategia basata sull’esecuzione di un test funzionale a distanza di 1 anno da una PCI ad alto rischio, non ha modificato l’outcome dei pazienti rispetto a una strategia di “standard care”.

Interpretazione dei dati

Lo studio (il primo randomizzato su questa problematica in una ampia popolazione) conferma dati osservazionali precedenti che avevano mostrato come l’esecuzione di un test funzionale dopo PCI non modificasse la prognosi dei pazienti, aumentando peraltro il numero delle nuove rivascolarizzazioni. Una strategia basata sull’esecuzione di un test funzionale aveva forse un suo razionale nell’era degli stent “bare metal”, quando la ristenosi rappresentava un problema clinico rilevante. Nell’era degli stent a rilascio di farmaco tale problematica perde di significato clinico, se non forse per quei pazienti in cui è stata ottenuta una rivascolarizzazione incompleta con la PCI. Gli Autori commentano come gli eventi osservati nel trial fossero inferiori rispetto a quelli attesi, calcolati sulla base dei dati di un precedente studio[3]Silber S, Windecker S, Vranckx P, Serruys PW. Unrestricted randomised use of two new generation drug-eluting coronary stents: 2-year patient-related versus stentrelated outcomes from the RESOLUTE All … Continua a leggere di pazienti “real wold” (peraltro pubblicato 11 anni fa). L’evoluzione tecnica avvenuta in questi ultimi anni, con l’utilizzo di materiali migliori, la maggiore esperienza degli operatori, l’utilizzo di imaging intravascolare e l’aumentata aderenza dei pazienti alla terapia, può avere influito sulla riduzione delle complicanze osservate dopo la PCI, sia a breve che a lungo termine. Tra le limitazioni, gli Autori menzionano la numerosità di campione calcolata su una potenziale riduzione del 30% dell’outcome primario nel gruppo randomizzato alla strategia del test funzionale rispetto alla “standard care”. Tuttavia, le differenze assolute di rischio tra i due gruppi sono risultate così esigue che, se pure fosse stata raggiunta una significatività statistica su un campione assai più numeroso, la rilevanza clinica del risultato sarebbe comunque stata molto modesta.

Editoriale

Test funzionale routinario dopo PCI: less is more

Roberta Rossini, S.C. Cardiologia Ospedale S. Croce e Carle di Cuneo

La rivascolarizzazione coronarica per via percutanea (PCI) ha subito, negli ultimi decenni, un aumento esponenziale e un miglioramento significativo in termini di outcome. Il rischio di ristenosi intrastent e di nuovi eventi ischemici si è drasticamente ridotto in virtù dell’avvento di nuovi stent, del miglioramento delle tecniche procedurali (tecnica di impianto e imaging), nonché dell’evoluzione della terapia antiaggregante. Nonostante ciò, i pazienti presentano ancora oggi un non trascurabile rischio residuo di eventi cardiovascolari dopo una procedura di PCI. Quello che non è ancora noto è se tale rischio residuo possa potenzialmente essere riducibile a un follow-up più intensivo. In particolare, non è ancora stato dimostrato se l’esecuzione routinaria di stress test, in pazienti ad alto rischio dopo PCI, possa tradursi in una differente gestione del paziente, in termini di scelte terapeutiche, anche preventive, mediche e/o interventistiche, con potenziali ripercussioni prognostiche. Il trial Pragmatic Trial Comparing Symptom Oriented versus Routine Stress Testing in High Risk Patients Undergoing Percutaneous Coronary Intervention (POST-PCI) è stato condotto proprio al fine di valutare un eventuale effetto sulla prognosi del paziente sottoposto a PCI, di due diverse tipologie di follow-up. Oltre 1.700 pazienti, sottoposti a PCI, sono stati randomizzati a una strategia che prevedeva routinariamente test funzionali per la ricerca di ischemia inducibile o a una strategia standard per la durata di 1 anno. Lo studio ha dimostrato che non vi era alcuna differenza significativa in termini di eventi cardiovascolari (morte, infarto o ospedalizzazione per angina instabile) a 2 anni. La strategia di sottoporre i pazienti a periodici stress test si traduceva in un aumento di esami coronarografici e nuova rivascolarizzazione, senza ridurre gli eventi cardiovascolari maggiori, né la mortalità. Gli Autori spiegano che tali risultati vanno interpretati alla luce del trial ISCHEMIA (International Study of Comparative Health Effectiveness with Medical and Invasive Approaches), che ha dimostrato come una strategia invasiva, rispetto a una conservativa, in pazienti con cardiopatia ischemica stabile ed evidenza di ischemia inducibile moderata, non riduceva eventi cardiovascolari o morte[4]Hochman JS, Anthopolos R, Reynolds HR, et al. Survival After Invasive or Conservative Management of Stable Coronary Disease. Circulation. 2023 Jan 3;147(1):8-19. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.122.062714. Gli Autori del trial POST-PCI concludono, pertanto, che entrambi i trial supportano il concetto di “less is more” (ad esempio, una riduzione delle strategie invasive o degli stress test potrebbe garantire gli stessi risultati in termini prognostici). È importante sottolineare come nel 75% circa dei pazienti la procedura di PCI sia stata eseguita con guida IVUS, garantendo sicuramente una significativa ottimizzazione del risultato e riducendo, pertanto, il rischio di rivascolarizzazione successiva. Al di là di considerazioni procedurali, entrambi gli studi (POST-PCI e ISCHEMIA) dimostrano che la ricerca di ischemia inducibile e successiva rivascolarizzazione percutanea, non conferisce una protezione in termini di eventi ischemici “hard”. Il limite di entrambi gli studi è, tuttavia, quello di non aver valutato il ruolo della sintomatologia (angina) in questi pazienti. I pazienti del trial ISCHEMIA avevano uno score del Seattle Angina Questionnaire piuttosto elevato (pari a circa 80, che indica episodi di angina poco frequenti, una adeguata capacità funzionale e una buona qualità della vita), 1 paziente su 3 non aveva avuto episodi di angina nelle ultime 4 settimane. Non è noto se il gruppo interventistico abbia beneficiato della rivascolarizzazione coronarica in termini di riduzione della sintomatologia anginosa e quindi di qualità della vita. Lo studio POST-PCI non menziona il ruolo della sintomatologia anginosa nel braccio di follow-up standard. Non si può escludere che un follow-up guidato dall’andamento clinico del paziente (presenza o assenza di sintomatologia anginosa) possa essere adeguato nelle decisioni diagnostico-terapeutiche future, al pari se non meglio rispetto a un follow-up in cui si sottopone il paziente a stress test di routine, non guidati dal sospetto clinico. Peraltro, in altri contesti come quello dello scompenso cardiaco, la sintomatologia del paziente, valutata come classe NYHA, guida scelte terapeutiche importanti, come ad esempio l’impianto di defibrillatore. Infine, la sintomatologia (e quindi la qualità della vita) potrebbe (dovrebbe?) forse rappresentare (finalmente anche per la PCI) un end-point ragionevole, tenuto conto della bassissima incidenza di complicanze periprocedurali. Al pari dell’obbiettivo (Better symptom control) delle procedure di ablazione trans-catetere di fibrillazione atriale.

Bibliografia

Bibliografia
1 Neumann F-J, Sousa-Uva M, Ahlsson A, et al. 2018 ESC/EACTS guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019; 40: 87-165.
2 Shah BR, McCoy LA, Federspiel JJ, et al. Use of stress testing and diagnostic catheterization after coronary stenting: association of site-level patterns with patient characteristics and outcomes in 247,052 Medicare beneficiaries. J Am Coll Cardiol 2013; 62: 439-46.
3 Silber S, Windecker S, Vranckx P, Serruys PW. Unrestricted randomised use of two new generation drug-eluting coronary stents: 2-year patient-related versus stentrelated outcomes from the RESOLUTE All cComers trial. Lancet 2011; 377: 1241-7.
4 Hochman JS, Anthopolos R, Reynolds HR, et al. Survival After Invasive or Conservative Management of Stable Coronary Disease. Circulation. 2023 Jan 3;147(1):8-19. doi: 10.1161/CIRCULATIONAHA.122.062714

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