Transcatheter Aortic Valve Replacement Without On-Site Cardiac Surgery: Ready for Prime Time?

Indice

Intervista a: Miriam Compagnone

  • Unità Operativa di Cardiologia, Ospedale Morgagni Pierantoni, Forlì

Dottoressa Compagnone, può illustrarci i concetti principali del vostro Viewpoint? A oggi, la TAVI è diventata la terapia standard della stenosi valvolare aortica con conseguente rapido incremento del numero di procedure in tutto il mondo. Le attuali Linee Guida raccomandano l’esecuzione della TAVI in ospedali dotati di cardiochirurgia on-site. L’esponenziale aumento di richieste rischia di superare la capacità di questi centri, determinando un prolungamento delle liste di attesa e della mortalità a essa associata. Il nostro lavoro ha l’intento di offrire un modello organizzativo per poter estendere le procedure di TAVI anche in ospedali non dotati di cardiochirurgia on-site. Per sostenere questa ipotesi abbiamo eseguito una meta-analisi sugli studi a oggi disponibili, su un totale di 21.173 TAVI, e l’assenza di cardiochirurgia in loco non aumenta il rischio di morte a breve termine. Elemento fondamentale, secondo il nostro modello, è l’adeguata esperienza dei centri e l’attenta valutazione multidisciplinare in sede di Heart Team. Una dettagliata pianificazione pre-procedurale per identificare i pazienti a maggior rischio di complicanze è essenziale per garantire un’alta qualità della procedura e ridurre al minimo gli eventi avversi. Inoltre, molte complicanze strutturali maggiori possono verificarsi anche dopo procedure eseguite regolarmente in ospedali senza cardiochirurgia, come ad esempio angioplastiche coronariche complesse o valvuloplastiche aortiche. Estendere la TAVI anche in questi centri privi di cardiochirurgia in loco potrebbe rappresentare una soluzione efficace per abbreviare i tempi di attesa facilitando l’accesso al trattamento e la continuità assistenziale di pazienti spesso anziani, potenzialmente fragili, che potrebbero non beneficiare di un eventuale intervento cardiochirurgico urgente in caso di complicanze.

Giustamente lei fa notare i tempi di attesa sproporzionati in alcuni Paesi come il Regno Unito e il Canada. In Italia, molti laboratori di emodinamica sono in centri dotati di cardiochirurgia (dai dati GISE aggiornati al 2022, 99 su 227 censiti). Pensa che le sue considerazioni si possano applicare alla realtà italiana? Le nostre considerazioni sono assolutamente riproducibili anche nel contesto italiano. Secondo i dati GISE, nel 2022 sono stati eseguiti 11.476 impianti di TAVI, pari a 194 TAVI per milione di abitanti. Nonostante il numero di procedure sia aumentato di circa l’11%, rispetto all’anno precedente siamo ancora molto lontani dal target previsto, che tiene conto dell’estensione in classi di rischio più basse e in pazienti sempre più giovani. In un articolo pubblicato nel 2018 sulla rivista europea si stima che per soddisfare il bisogno previsto, in Italia dovrebbero essere eseguite oltre 24.000 TAVI/anno. Aumentare la sola capacità dei 99 centri italiani con cardiochirurgia può non essere sufficiente a garantire un adeguato numero di TAVI nei prossimi anni, motivo per il quale estendere la procedura in ospedali senza cardiochirurgia ma con alto volume procedurale potrebbe essere vantaggioso.

Pur condividendo la prudenza nella scelta dei pazienti ipoteticamente trattabili con TAVI indicati nella flow chart per ridurre al minimo le complicanze, alcune di esse richiedono un atto chirurgico immediato e non sono prevedibili, come l’embolizzazione della protesi, la perforazione ventricolare, alcune ostruzioni coronariche, la dissezione aortica. Nel registro multicentrico europeo l’incidenza è di poco inferiore allo 0.5%. Quanto può essere rischioso eseguire una TAVI in un centro senza cardiochirurgia? Come descritto nel Viewpoint le complicanze strutturali maggiori post-TAVI, che potrebbero richiedere un trattamento chirurgico, si sono ridotte significativamente negli anni. Tuttavia, restano gravate da una mortalità molto elevata (superiore al 75% entro l’anno), anche nel contesto ottimale che comprende la cardiochirurgia in loco. Inoltre, alcune di esse sono a oggi spesso gestibili con approccio percutaneo (i.e. versamento cardiaco, ostruzione coronarica). Fondamentale è la presenza di operatori con adeguata esperienza in cardiologia inter–ventistica (strutturale, coronarica e periferica), una terapia intensiva di terzo livello per la gestione post-procedurale e la chirurgia vascolare on-site, in quanto le complicanze degli accessi sono ancora frequenti dopo la TAVI e il trattamento tempestivo (endovascolare o open) rappresenta un elemento prognostico rilevante. Il nostro progetto prevede il trattamento, almeno nella fase iniziale, di pazienti con rischio chirurgico proibitivo, definito dopo valutazione multi–disciplinare in sede di Heart Team. L’opzione cardiochirurgica non è comunque esclusa, purché i centri che eseguono TAVI facciano parte di un network consolidato con una cardiochirurgia di riferimento, questo per garantire una corretta gestione del paziente in tutti i contesti non solo nell’ambito della cardiologia strutturale.

Sempre dai dati GISE 2022 si nota che 10 centri, dotati di cardiochirurgia, effettuano <50 TAVI l’anno. Si parla da anni di appropriatezza, di consumo attento delle risorse, ma non si riesce a perseguire una politica di controllo della qualità dei laboratori e delle procedure. Secondo lei quali sono gli ostacoli? A mio parere, questo rappresenta un elemento di rilievo. Solo il numero di procedure/anno non è abbastanza per valutare la corretta esperienza dei centri. A oggi, l’ostacolo principale è la mancata standardizzazione nella raccolta dei dati. Bisognerebbe raccogliere in modo sistematico gli outcome a breve e lungo termine dei pazienti, prestando particolare attenzione a quello che riguarda il successo tecnico procedurale. Questo out-come composito è ben definito nel documento di consenso VARC-3 e tiene conto dell’assenza di complicanze all’uscita della sala di emodinamica. In questo senso il GISE, come già sta facendo da diversi anni, rappresenta l’organo istituzionale più idoneo per garantire una corretta supervisione dei centri e per uniformare sia la pianificazione procedurale che la raccolta sistematica dei dati su tutto il territorio Nazionale.

Lascia un commento