Eventi associati alla scelta di strategia terapeutica nello studio ischemia.

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Indice

Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia

Inquadramento

Lo studio ISCHEMIA, che ha randomizzato pazienti con cardiopatia ischemica stabile a rivascolarizzazione o terapia medica ottimale a una strategia conservativa (CONS) o invasiva (INV), non ha mostrato differenze significative nell’endpoint composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico -MI-, o ospedalizzazione per angina instabile, scompenso, arresto cardiaco risuscitato) valutato a una mediana di follow-up di 3.2 anni[1]Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med. 2020;382:1395–1407. Dei pazienti rivascolarizzati, la maggior parte (74.1%) sono stati trattati con PCI, mentre il 25.8% con bypass aortocoronarico. In questo gruppo di pazienti rivascolarizzati, non è nota la tipologia di eventi che compongono l’endpoint primario nè la loro modalità di presentazione temporale, sia in relazione al diverso tipo di rivascolarizzazione adottato che rispetto ai pazienti trattati conservativamente.

Lo studio in esame

I pazienti randomizzati al gruppo Invasivo (n = 2.588) sono stati categorizzati a seconda del tipo di rivascolarizzazione ricevuta (bypass – INV-CABG) o angioplastica coronarica (INV-PCI). CABG è stato eseguito in 512 pazienti a 44 giorni dalla randomizzazione e la PCI in 1.500 a 24 giorni dalla randomizzazione. I restanti 576 pazienti (INV-MED) sono stati trattati medicalmente per tutto il periodo di follow-up: questo gruppo comprendeva anche i pazienti successivamente rivascolarizzati, ma considerati in terapia medica sino al giorno dell’intervento (CABG o PCI). Dei 512 pazienti nel gruppo INV-CABG, 84 (16.4%) hanno avuto un evento incluso nel primary outcome (morte cardiovascolare, MI-, ospedalizzazione per angina instabile, scompenso, arresto cardiaco risuscitato) a una mediana di follow-up di 2.8 anni (vedi Tabella). L’evento prevalente era un infarto peri-procedurale (in 40 pazienti, 47.7% degli eventi totali, nel 4.8% associato a mortalità). Nel gruppo INV-PCI, si è verificato un evento in 147 pazienti (9.8%) a una mediana di follow-up di 2.9 anni: l’evento prevalente era l’infarto spontaneo (verificatosi in 72 pazienti, 49%, nel 7.5% associato a mortalità). Nel gruppo CONS si sono verificati 352 eventi (13.6%, con prevalenza di infarto spontaneo 60.5%, nell’8% associato a mortalità). Nell’analisi multivariata secondo il modello di Cox, INV-PCI (HR 2.99,95% CI 1.97-4.53) ma soprattutto INV-CABG (HR16.25, 95% CI 11.44-23.07), si associavano a un più alto rischio precoce (0-30 giorni), ma a un minor rischio tardivo (31 giorni -fine follow-up) rispetto ai pazienti del gruppo CONS (INV-PCI. HR 0.66,95% CI 0.53-0.82; INV-CABG HR 0.63, 95% CI (0.44-0.89).

Take home message

Nello studio ISCHEMIA, la rivascolarizzazione con PCI e CABG si è associata a un più alto rischio precoce, ma a un minor numero di eventi cardiovascolari tardivi rispetto ai pazienti del gruppo trattato conservativamente. Il rischio precoce era maggiore per CABG ed era legato a un maggior numero di infarti peri-procedurali.

Interpretazione dei dati

I dati presentati in questa analisi, che indicano un rischio maggiore di eventi per le procedure interventistiche nelle fasi iniziali del trial (soprattutto per il peso degli infarti periprocedurali elevati, in particolare nei pazienti sottoposti a CABG) mentre, nelle fasi temporalmente successive, si osserva una riduzione del rischio nei pazienti rivascolarizzati rispetto a quelli trattati in modo conservativo, sono tutt’altro che sorprendenti. Infatti, questo andamento degli eventi è stato osservato in tutti gli studi che hanno paragonato la strategia invasiva versus quella conservativa sia nelle sindromi coronariche acute[2]Fox KA, Clayton TC, Damman P, Pocock SJ, de Winter RJ, Tijssen JG, Lagerqvist B, Wallentin L; FIR Collaboration. Longterm outcome of a routine versus selective invasive strategy in patients with … Continua a leggere che croniche. Se ne deduce che è più lungo il follow-up, potenzialmente maggiore è la riduzione di eventi ottenuta con gli interventi di rivascolarizzazione: nello studio ISCHEMIA la mediana di follow-up è stata di 3.2 anni, un arco di tempo non sufficiente per poter esprimere un giudizio definitivo sul ruolo che possono avere gli interventi di rivascolarizzazione sulla prognosi dei pazienti con coronaropatia stabile. Lo studio pone inoltre l’accento sull’importanza della definizione di infarto peri-procedurale nel computo degli eventi cardiovascolari: tale complicanza procedurale pesa non poco nel calcolo dell’outcome globale dei pazienti, rappresentando quasi il 50% degli eventi inclusi nel primary endpoint per quanto riguarda gli interventi di CABG, e poco meno del 20% per le PCI. Invece gli infarti spontanei prevalgono nel gruppo CONS con un’incidenza dell’8.2% versus 4.8% per PCI e 4.3% per CABG: il dato è interessante in quanto nel trial ISCHEMIA solo gli infarti spontanei (HR 3.38,95%CI 2.03–5.61), ma non quelli procedurali (HR 1.99,95%CI 0.73–5.43) risultavano correlati con la mortalità cardiovascolare successiva[3]Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA trial: impact of different definitions on incidence, prognosis and treatment comparisons. Circulation. … Continua a leggere. A tal proposito, vi è da notare che oltre la metà degli infarti peri-procedurali diagnosticati erano “stand-alone MI”, cioè non accompagnati da quella evidenza clinico-angiografica la cui presenza è necessaria per la diagnosi di infarto peri-procedurale secondo la IV definizione di infarto miocardico[4]Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, Chaitman BR, Bax JJ, Morrow DA. White HD; ESC Scientific Document Group. Fourth Universal Definition of Myocardial Infarction. Eur Heart J 2019;40:237–69.. Interessante il dato che nel trial ISCHEMIA gli “stand-alone MI” non erano predittivi di mortalità, al contrario degli infarti procedurali associati a evidenza clinicoangiografica (HR 3.75, 95% CI 1.17–11.97)[5]Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA trial: impact of different definitions on incidence, prognosis and treatment comparisons. Circulation. … Continua a leggere. Decisiva quindi, per un interpretazione corretta dei dati del trial, che la definizione adottata di infarto peri-procedurale abbia un peso prognostico comparabile con quello associato a un infarto spontaneo[6]De Servi S, Landi A. Procedural myocardial infarction and major myocardial injury after percutaneous coronary interventions in chronic coronary syndrome: Is the fog really waning? Eur J Intern Med. … Continua a leggere.

Bibliografia

Bibliografia
1 Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med. 2020;382:1395–1407
2 Fox KA, Clayton TC, Damman P, Pocock SJ, de Winter RJ, Tijssen JG, Lagerqvist B, Wallentin L; FIR Collaboration. Longterm outcome of a routine versus selective invasive strategy in patients with non-ST-segment elevation acute coronary syndrome. a meta-analysis of individual patient data.
3 Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA trial: impact of different definitions on incidence, prognosis and treatment comparisons. Circulation. 2021;143:790–804
4 Thygesen K, Alpert JS, Jaffe AS, Chaitman BR, Bax JJ, Morrow DA. White HD; ESC Scientific Document Group. Fourth Universal Definition of Myocardial Infarction. Eur Heart J 2019;40:237–69.
5 Chaitman BR, Alexander KP, Cyr DD, et al. Myocardial Infarction in the ISCHEMIA trial: impact of different definitions on incidence, prognosis and treatment comparisons. Circulation. 2021;143:790–804
6 De Servi S, Landi A. Procedural myocardial infarction and major myocardial injury after percutaneous coronary interventions in chronic coronary syndrome: Is the fog really waning? Eur J Intern Med. 2022; 96:17-19. doi:10.1016/j.ejim.2021.11.00

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