Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
Lo studio POST-PCI (Pragmatic Trial Comparing Symptom-Oriented versus Routine Stress Testing in High-Risk Patients Undergoing Percutaneous Coronary Intervention), un trial randomizzato che ha confrontato una “strategia attiva “di follow-up basata sull’esecuzione di un test da sforzo a 1 anno da una procedura di PCI ad alto rischio, rispetto allo “standard of care” che prevedeva tale test solo in presenza di sintomatologia sospetta. Il risultato dello studio non ha mostrato beneficio dalla “strategia attiva”[1] Park DW, Kang DY, Ahn JM, Yun SC, Yoon YH, Hur SH, et al. Routine functional testing or standard care in high-risk patients after PCI. N Engl J Med 2022;387:905–15. … Continua a leggere.Tuttavia, è possibile che in pazienti con un maggior rischio di eventi come i diabetici, l’esecuzione routinaria del test da sforzo possa risultare utile, in quanto questi pazienti hanno frequentemente una coronaropatia avanzata, ischemia miocardica silente e necessità di procedure complesse. Inoltre, in quello studio la randomizzazione era stata stratificata per la presenza o meno di diabete, rendendo omogenea tra i due gruppi la distribuzione di altre variabili, potenzialmente correlate con la prognosi dei pazienti.
Lo studio in esame
Sono stati inclusi 1.706 pazienti sottoposti a PCI ritenuta ad alto rischio per la presenza di almeno una variabile clinica (diabete, nefropatia cronica, infarto acuto) o anatomica (malattia tronco comune, biforcazioni, occlusioni croniche, lesioni ostiali, ristenosi, lesioni lunghe, graft, malattia multivasale trattata). É stata effettuata una strategia “attiva” in 849 pazienti e consisteva nell’esecuzione routinaria di test da sforzo a 1 anno dalla PCI (n = 849), mentre era stata eseguita una strategia conservativa (test da sforzo eseguito solo se clinicamente necessario) in 857 pazienti. I pazienti diabetici erano più anziani, di sesso femminile, ipertesi, con precedente PCI, fibrillazione atriale, malattia multivasale, nefropatia cronica. Il primary endpoint (morte per ogni causa, infarto miocardico, ospedalizzazione per angina instabile) a 2 anni risultava più elevato nei pazienti diabetici che nei non-diabetici (7.3% vs 4.8%; HR 1.52; 95% CI 1.02–2.27; P=.039). L’incidenza di endpoint primario nei due gruppi di strategia attiva o conservativa risultava simile sia nei pazienti diabetici (7.1% vs 7.5%; HR 0.94; 95% CI 0.53–1.66; P=.82) che nei non-diabetici (4.6% vs 5.1%; HR 0.89; 95% CI 0.51–1.55; P=.68). Inoltre veniva osservata alcuna differenza riguardo alle singole componenti dell’endpoint primario (vedi Tabella). L’analisi “landmark”, a partire dal primo anno di follow-up, forniva risultati analoghi. Nei diabetici la strategia attiva comportava, soprattutto tra il primo e secondo anno di follow-up, un maggior numero di coronarografie (8,7% versus 2.6%, P=0.003) e di nuove rivascolarizzazioni (5.8% versus 2.3%, P=0.03).
Take home message
In questa analisi pre-specificata dello studio POST-PCI, i pazienti diabetici, pur avendo una prognosi peggiore rispetto ai non-diabetici, non sembrano giovarsi di una strategia di follow-up attivo, consistente nell’esecuzione di un test ergometrico routinario a 1 anno, rispetto a una strategia di sorveglianza conservativa.
Interpretazione dei dati
Una strategia attiva, con esecuzione di test da sforzo dopo PCI, è tuttora ampiamente praticata e si fonda sull’evidenza di un maggior numero di complicanze ischemiche nei pazienti che presentino, dopo la procedura, un test ergometrico positivo[2]Harb SC, Marwick TH. Prognostic value of stress imaging after revascularization: a systematic review of stress echocardiography and stress nuclear imaging. Am Heart J 2014; 167:77–85. … Continua a leggere, benchè tali osservazioni si basino su casistiche retrospettive e le linee guida diano solo una raccomandazione piuttosto debole a tale prassi (IIB)[3] Neumann FJ, Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, Banning AP, Benedetto U, et al. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019;40:87–165. … Continua a leggere. Un documento intersocietario italiano, pubblicato nel 2015[4]Rossini R, Oltrona Visconti L, Musumeci G, et al. Italian Society of Invasive Cardiology (SICI-GISE); National Association of Hospital Cardiologists (ANMCO); Italian Association for … Continua a leggere, e successivamente corredato da una analisi di 1.113 pazienti sottoposti a PCI e seguiti nel tempo, sottolineava alcune incongruenze, con variazioni di comportamento variabili da centro a centro e con l’esecuzione di test inutili, spesso in pazienti a basso rischio[5]Ferlini M, Musumeci G, Grieco N, et al. Follow-up strategies and individual risk profile after percutaneous coronary intervention: The prospective post percutaneous coronary intervention … Continua a leggere. I risultati dello studio qui presentato non appaiono perciò sorprendenti, anche se va riconosciuto il merito agli autori di aver affrontato per la prima volta questa problematica, che ha notevoli riflessi pratici, in un trial randomizzato. Un pregio non secondario dello studio è anche quello di aver incluso i pazienti stratificando la popolazione per la presenza o meno di diabete, permettendo perciò di analizzare i dati in base alla presenza (o assenza) di tale variabile.Apparentemente l’unica differenza che una strategia “attiva” comporta rispetto a una conservativa è un maggior numero di esami invasivi e nuove rivascolarizzazioni in conseguenza a test ergometrici eseguiti a tappeto. Tuttavia questa maggior aggressività non sembra pagare in termini clinici nel follow-up, in quanto non si traduce in una migliore prognosi. Come riconoscono gli stessi autori, l’orizzonte temporale di 1 anno potrebbe non essere sufficiente per cogliere eventuali aspetti favorevoli della strategia attiva. La casistica numericamente limitata (con una numerosità di eventi inferiore a quella attesa) e il breve follow-up sono importanti limitazioni dello studio, come osservato nell’editoriale di accompagnamento[6]Senior R, Khattar RS. To test or not to test for ischaemia routinely after percutaneous coronary intervention in diabetic patients: is the jury still out? Eur Heart J. 2024 Mar … Continua a leggere. La divergenza delle curve, che aumenta con il perdurare del follow-up, fa supporre un potenziale beneficio tardivo della rivascolarizzazione, che potrebbe ulteriormente amplificarsi nel tempo, una obiezione già proposta per la valutazione dei risultati dello studio ISCHEMIA((Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med 2020; 382:1395–407. https://doi.org/10.1056/NEJMoa1915922)).
Bibliografia[+]
↑1 | Park DW, Kang DY, Ahn JM, Yun SC, Yoon YH, Hur SH, et al. Routine functional testing or standard care in high-risk patients after PCI. N Engl J Med 2022;387:905–15. https://doi.org/10.1056/NEJMoa2208335 |
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↑2 | Harb SC, Marwick TH. Prognostic value of stress imaging after revascularization: a systematic review of stress echocardiography and stress nuclear imaging. Am Heart J 2014; 167:77–85. https://doi.org/10.1016/j.ahj.2013.07.035. |
↑3 | Neumann FJ, Sousa-Uva M, Ahlsson A, Alfonso F, Banning AP, Benedetto U, et al. 2018 ESC/EACTS Guidelines on myocardial revascularization. Eur Heart J 2019;40:87–165. https://doi.org/10.1093/eurheartj/ehy394. |
↑4 | Rossini R, Oltrona Visconti L, Musumeci G, et al. Italian Society of Invasive Cardiology (SICI-GISE); National Association of Hospital Cardiologists (ANMCO); Italian Association for Cardiovascular Prevention and Rehabilitation (GICR-IACPR); Italian Society of General Practitioner (SIMG). A multidisciplinary consensus document on follow-up strategies for patients treated with percutaneous coronary intervention. Catheter Cardiovasc Interv. 2015; 85:E129-39. doi:10.1002/ccd.25724 |
↑5 | Ferlini M, Musumeci G, Grieco N, et al. Follow-up strategies and individual risk profile after percutaneous coronary intervention: The prospective post percutaneous coronary intervention registry. Catheter Cardiovasc Interv. 2021; 97: E209-E218. doi:10.1002/ccd.28964. |
↑6 | Senior R, Khattar RS. To test or not to test for ischaemia routinely after percutaneous coronary intervention in diabetic patients: is the jury still out? Eur Heart J. 2024 Mar 1;45:666-668. doi:10.1093/eurheartj/ehad87. |
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