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La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.

La fibrillazione atriale è un’aritmia a decorso spesso asintomatico, che può complicarsi con la comparsa di ictus, con probabilità 5 volte maggiore rispetto a soggetti senza questa aritmia. Per tale motivo le linee guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano metodologie di screening, anche se non ci sono studi che documentino come in questo modo si possa ridurre l’incidenza di ictus.

Sono stati condotti quattro studi (SYNTAX LEFT MAIN: 705 pazienti; PRECOMBAT 600 pazienti, NOBLE 1.201 pazienti; EXCEL 1.905 pazienti) per dare una risposta al quesito posto dal titolo. I risultati di questi trial non sono stati tuttavia concordanti e hanno dato vita a un'accesa discussione (se non aspra contesa) tra cardiochirurghi e cardiologi interventisti. Le meta-analisi, sin qui effettuate, hanno utilizzato solo i dati aggregati dei vari trial e non i dati dei singoli pazienti, non hanno distinto tra infarti spontanei e peri-procedurali (questi ultimi peraltro diagnosticati con criteri differenti) e non hanno considerato un periodo di follow-up adeguato (almeno 5 anni).

Gli inibitori di SGLT2 aumentano l’escrezione di glucosio e sodio. Di conseguenza le cellule specializzate della macula densa che si trovano nel tratto ascendente dell’ansa di Henle alla sua giunzione col tubulo distale, a contatto con i glomeruli, segnalano l’aumentata concentrazione di sodio a livello tubulare e, attraverso il feedback glomerulotubulare, attivano i recettori dell’adenosina che costringono le arteriole afferenti glomerulari e, inibendo la produzione di renina, provocano una dilatazione delle arteriole efferenti. La vasocostrizione delle arteriole afferenti e la dilatazione delle efferenti diminuisce la pressione idrostatica intraglomerulare, e riduce l’iperfiltrazione glomerulare, esplicando in tal modo un'azione protettiva a livello renale.

L’anestesia locale anziché quella generale rappresenta l’approccio standard in molti centri per la sostituzione transcatetere della valvola aortica (TAVR) con o senza la presenza di un anestesista in loco (AOS). In questo studio, gli Autori hanno confrontato gli outcome nei pazienti sottoposti a TAVR con AOS, oppure con anestesista di guardia (AOC). Dei 332 pazienti sottoposti a TAVR, 96 (29%) sono stati trattati con AOS, mentre 236 (71%) con AOC. Non sono state osservate differenze in termini di tempo procedurale, tempo di fluoroscopia e quantità di mezzo di contrasto. Non sono stati riportati decessi procedurali o conversioni a chirurgia a torace aperto. Il tasso di ictus/attacchi ischemici transitori e di complicanze vascolari maggiori è risultato comparabile tra i due gruppi. Due pazienti (0.8%) del gruppo AOC hanno richiesto l’intervento urgente dell’anestesista. Nel gruppo AOC si è registrato un maggior uso di morfina (55.9% vs. 33.3%, p = 0.008), ma con una dose inferiore per ciascun paziente (2.0 vs. 2.8 mg, p = 0.006). Nei pazienti a rischio basso o intermedio, sottoposti a TAVR transfemorale, l’anestesia locale senza la presenza di un anestesista nel laboratorio di cateterismo rappresenta una procedura sicura ed efficace.

Background: Mitral-valve transcatheter edgeto-edge repair (MV-TEER) is recommended in patients with severe functional mitral regurgitation (FMR) and in those with degenerative mitral regurgitation (DMR) not eligible to traditional surgery. Patients with a history of previous cardiac surgery are considered at high risk for surgical reintervention, but data are lacking regarding procedural and clinical outcomes. Objective: aim of this study was to assess the efficacy and clinical results of MV-TEER in patients with previous cardiac surgery enrolled in the “multicentre Italian Society of Interventional Cardiology registry of transcatheter treatment of mitral valve regurgitation” (GIOTTO). Methods: Patients with previous coronary artery bypass grafting (CABG), surgical aortic valve replacement (AVR), or mitral valve repair (MVR) were included. Those with multiple or combined previous cardiac surgeries were excluded. Clinical follow-up was performed at 30 days, 1 year, and 2 years. The primary endpoint was a composite of death or rehospitalization at 1- and 2-year follow-ups. Results: A total of 330 patients, enrolled in the GIOTTO registry, were considered (CABG 77.9%, AVR 14.2%, and MVR 7.9%). Most patients showed FMR (66.9%), moderate reduction of left ventricular (LV) ejection fraction, and signs of LV dilation. Procedural and device successes were 94.8% and 97%. At 1 and 2 years, the composite endpoint occurred are 29.1% and 52.4%, respectively. The composite outcome rates were similar across the three subgroups of previous cardiac surgery (p = 0.928) and between the FMR and DMR subgroups (p = 0.850) at 2 years. In a multivariate analysis, residual mitral regurgitation (rMR) ≥2+ was the main predictor of adverse events at 1 year (hazard ratio: 1.54 [95% confidence interval, CI: 1.00-2.38]; p = 0.050). This association was confirmed at 2 years of Kaplan-Meier analysis (p = 0.001). Conclusions: MV-TEER is effective in these patients, regardless of the subtype of previous cardiac surgery and the MR etiology. An Rmr ≥ 2+ is independently associated with adverse outcomes at 1-year follow-up.

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

L’ulcera aortica penetrante (PAU) rappresenta una delle componenti delle sindromi aortiche acute e consiste in un’ulcerazione che, superando l’intima e la lamina elastica, si approfonda nella media. Benchè riconosciuta come entità clinica da oltre 30 anni, la letteratura è scarsa e discordante sulla sua evoluzione e, di conseguenza, sul suo trattamento. Infatti, spesso la presentazione clinica è completamente silente e la diagnosi viene posta incidentalmente in seguito all’esecuzione di una TAC per altri motivi. Non ci sono dati certi sulla storia naturale della PAU asintomatica, una lacuna che dà incertezza anche sulla necessità del suo trattamento interventistico.

La scelta dell’inibitore del recettore P2Y12 da associare all’ASA nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), è tuttora oggetto di controversia. Lo studio PLATO, pubblicato nel 2009, ha mostrato che ticagrelor rispetto a clopidogrel ha ridotto gli eventi trombotici e la mortalità cardiovascolare, pur aumentando contemporaneamente le complicanze emorragiche. Tuttavia, studi e analisi successive non hanno confermato tale superiorità. Inoltre, i pazienti inseriti nei trial hanno caratteristiche cliniche e angiografiche differenti da quelli osservati nel mondo reale. Pare perciò necessaria una conferma dei risultati dei trial utilizzando dati osservazionali.

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