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La miocardite o pericardite acuta sono emerse come potenziali responsabili di danno miocardico acuto nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’impatto della pandemia COVID-19 sull’incidenza di mio/pericardite non è stato valutato in modo sistematico e rappresenta l’oggetto della presente analisi. Gli autori hanno analizzato l’incidenza e la prevalenza di cardiopatie infiammatorie acute in tre centri italiani in due intervalli temporali: prima (pre COVID-19, dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019) e durante la pandemia COVID-19 (dal 1° giugno 2020 al maggio 2021). L’incidenza annuale di cardiopatia infiammatoria acuta non è risultata significativamente diversa (12.1/100.000 abitanti nel periodo pre COVID-19 versus 10.3/100.000 nel periodo COVID, P=0.22). L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta nel periodo preCOVID-19 rispetto al COVID, rispettivamente pari a 8.1/100.000 abitanti/anno versus 5.9/100.000 abitanti/anno (P=0.047), con una riduzione netta del 27% dei casi. Nonostante ciò, le miocarditi durante il periodo COVID presentavano un maggior numero di alterazioni della cinetica regionale e di fibrosi miocardica. L’incidenza annuale di pericardite non è risultata significativamente diversa (4.03/100.000 abitanti versus 4.47/100.000 abitanti, P=0.61). In conclusione, i dati preliminari di questo studio indicano una minore incidenza di miocardite acuta e un’incidenza stabile di pericardite durante la pandemia da COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemia.

Objectives: To test the safety and efficacy of intravascular imaging and specifically optical coherence tomography (OCT) as a diagnostic tool for left main angioplasty and analyze the mid-term outcome accordingly. Background: Clinical data and international guidelines recommend the use of intravascular imaging ultrasound (IVUS) to guide left main (LM) angioplasty. Despite early experience using OCT in this setting is encouraging, the evidence supporting its use is still limited. Methods: ROCK II is a multicenter, investigatordriven, retrospective European study to compare the performance of IVUS and OCT versus angiography in patients undergoing distal-LM stenting. The primary study endpoint was target-lesion failure (TLF) including cardiac death, target-vessel myocardial infarction and target-lesion revascularization. We designed this study hypothesizing the superiority of intravascular imaging over angiographic guidance alone, and the non-inferiority of OCT versus IVUS. Results: A total of 730 patients, 377 with intravascular-imaging guidance (162 OCT, 215 IVUS) and 353 with angiographic guidance, were analyzed. The one-year rate of TLF was 21.2% with angiography and 12.7% with intravascularimaging (p=0.039), with no difference between OCT and IVUS (p=0.26). Intravascular-imaging was predictor of freedom from TLF (HR 0.46; 95% CI 0.23-0.93: p=0.03). Propensity-score matching identified three groups of 100 patients each with no significant differences in baseline characteristics. The one-year rate of TLF was 16% in the angiographic, 7% in the OCT and 6% in the IVUS group, respectively (p=0.03 for IVUS or OCT vs. angiography). No between-group significant differences in the rate of individual components of TLF were found. Conclusions: Intravascular imaging was superior to angiography for distal LM stenting, with no difference between OCT and IVUS.

La durata raccomandata della doppia terapia antiaggregante (DAPT) nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) è di 12 mesi, a meno che sia presente un alto rischio di bleeding. Tuttavia alcuni studi recenti hanno mostrato come una DAPT abbreviata seguita da una monoterapia con inibitore del recettore P2Y12 possa ridurre gli eventi emorragici senza aumentare gli eventi ischemici. Queste evidenze provengono per lo più da studi in cui è stato utilizzato ticagrelor in monoterapia, mentre scarsamente indagato è il clopidogrel, che è peraltro l’inibitore del recettore P2Y12 maggiormente utilizzato nella pratica clinica.

I VVI leadless pacemakers (VVI-LLP) sono stati introdotti nella pratica clinica alcuni anni fa con lo scopo di ridurre le complicanze associate all’utilizzo dei pacemaker transvenosi tradizionali (VVI TV-PM), in particolare le problematiche di tipo infettivo e gli ematomi della tasca, che possono esitare in conseguenze clinicamente disastrose quando si estendono ai cateteri. Ad oggi, il dispositivo MicraTM (Medtronic, USA) è l’unico LLP approvato ed utilizzato sia negli Stati Uniti che in Europa. Se inizialmente era disponibile unicamente una versione VVI, è stata successivamente immessa sul mercato una versione VDD che sfrutta un software capace di sentire la contrazione atriale basandosi su un’onda di sensing meccanico. Dati robusti di pratica clinica su questo dispositivo derivano prevalentemente dal Micra Post-Approval Registry, che ha arruolato 1.800 pazienti dimostrando l’assenza di dislocazione del dispositivo e di complicanze maggiori di tipo infettivo. Tuttavia, mancano studi di confronto a medio/lungo termine tra le due tipologie di dispositivi.

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT) dopo una PCI con impianto di DES è tuttora oggetto di controversia. Le linee guida raccomandano 6 mesi per i pazienti con sindrome coronarica cronica (CCS) e 12 mesi per le sindromi coronariche acute (ACS). Tuttavia la durata può essere ridotta o prolungata a seconda della presenza di un elevato rischio emorragico o ischemico. Nonostante siano stati pubblicati molti lavori di confronto tra DAPT di differente durata, pochi studi hanno effettuato analisi che tengano conto della presentazione clinica (CCS vs ACS) e del rischio emorragico versus ischemico dei pazienti sulla base di score specifici.

La chirurgia è una terapia efficace nei pazienti con endocardite infettiva del cuore sinistro nei quali il trattamento antibiotico non sia in grado di risolvere completamente il quadro clinico. Tuttavia vi sono tuttora incertezze sul timing e sul rischio della chirurgia, che risultano ben evidenti nelle discrepanze che esistono tra le Guidelines della Società Europea di Cardiologia (ESC) e quelle nord-americane (AHA/ACC). Il basso livello di evidenza di queste raccomandazioni riflette la mancanza di studi randomizzati che possano dare risposte a queste incertezze. Gli autori propongono una indicazione chirurgica entro 48 ore in presenza di un rigurgrito valvolare severo condizionante scompenso cardiaco (entro 1 settimana se non c’è scompenso, con timing analogo se l’infezione è refrattaria al trattamento medico per presenza di ascessi, batteriemia persistente o quando l’infezione riguarda una protesi valvolare). Una chirurgia precoce (entro 48 ore) deve essere considerata in presenza di fenomeni embolici o anche in loro assenza se l’ampiezza delle vegetazioni supera i 10 mm.

La miocardite o pericardite acuta sono emerse come potenziali responsabili di danno miocardico acuto nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’impatto della pandemia COVID-19 sull’incidenza di mio/pericardite non è stato valutato in modo sistematico e rappresenta l’oggetto della presente analisi. Gli autori hanno analizzato l’incidenza e la prevalenza di cardiopatie infiammatorie acute in tre centri italiani in due intervalli temporali: prima (pre COVID-19, dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019) e durante la pandemia COVID-19 (dal 1° giugno 2020 al maggio 2021). L’incidenza annuale di cardiopatia infiammatoria acuta non è risultata significativamente diversa (12.1/100.000 abitanti nel periodo pre COVID-19 versus 10.3/100.000 nel periodo COVID, P=0.22). L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta nel periodo preCOVID-19 rispetto al COVID, rispettivamente pari a 8.1/100.000 abitanti/anno versus 5.9/100.000 abitanti/anno (P=0.047), con una riduzione netta del 27% dei casi. Nonostante ciò, le miocarditi durante il periodo COVID presentavano un maggior numero di alterazioni della cinetica regionale e di fibrosi miocardica. L’incidenza annuale di pericardite non è risultata significativamente diversa (4.03/100.000 abitanti versus 4.47/100.000 abitanti, P=0.61). In conclusione, i dati preliminari di questo studio indicano una minore incidenza di miocardite acuta e un’incidenza stabile di pericardite durante la pandemia da COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemia.

Background: There is uncertainty regarding the impact of statins on the risk of atherosclerotic cardiovascular disease (ASCVD) and its major complication, acute heart failure (AHF). Objectives: The aim of this study was to investigate whether previous statin therapy translates into lower AHF events and improved survival from AHF among patients presenting with an acute coronary syndrome (ACS) as a first manifestation of ASCVD. Methods: Data were drawn from the International Survey of Acute Coronary Syndromes Archives. The study participants consisted of 14,542 Caucasian patients presenting with ACS without previous ASCVD events. Statin users before the index event were compared with nonusers by using inverse probability weighting models. Estimates were compared by test of interaction on the log scale. Main outcome measures were the incidence of AHF according to Killip class and the rate of 30-day all-cause mortality in patients presenting with AHF. Results: Previous statin therapy was associated with a significantly decreased rate of AHF on admission (4.3% absolute risk reduction; risk ratio [RR]: 0.72; 95% CI: 0.62- 0.83) regardless of younger (40-75 years) or older age (interaction P = 0.27) and sex (interaction P = 0.22). Moreover, previous statin therapy predicted a lower risk of 30-day mortality in the subset of patients presenting with AHF on admission (5.2 % absolute risk reduction; RR: 0.71; 95% CI: 0.50-0.99). Conclusions: Among adults presenting with ACS as a first manifestation of ASCVD, previous statin therapy is associated with a reduced risk of AHF and improved survival from AHF. (International Survey of Acute Coronary Syndromes [ISACS] Archives; NCT04008173).

Le recenti Linee Guida ESC sulle malattie valvolari[1] raccomandano (classe I) la chirurgia nel paziente con stenosi aortica asintomatica qualora la frazione di eiezione sia <50% o compaiano sintomi durante un test da sforzo, oppure (classe IIa) quando la FE è 20 mmHg durante il test ergometrico. Non esistono studi randomizzati di confronto tra chirurgia e “vigile attesa”, quando la FE è conservata e il test da sforzo negativo per sintomi.

Nei pazienti con fibrillazione atriale in terapia anticoagulante sottoposti a procedura di TAVI, lo studio POPular TAVI ha mostrato come l’aggiunta di clopidogrel nei primi tre mesi successivi alla procedura aumenti il rischio emorragico rispetto, alla sola terapia anticoagulante. In quello studio solo un terzo dei pazienti assumeva un anticoagulante orale diretto (DOAC). Non ci sono studi di confronto tra DOAC e antagonisti della vitamina K (VKA) in pazienti sottoposti a TAVI.

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