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L’anestesia locale anziché quella generale rappresenta l’approccio standard in molti centri per la sostituzione transcatetere della valvola aortica (TAVR) con o senza la presenza di un anestesista in loco (AOS). In questo studio, gli Autori hanno confrontato gli outcome nei pazienti sottoposti a TAVR con AOS, oppure con anestesista di guardia (AOC). Dei 332 pazienti sottoposti a TAVR, 96 (29%) sono stati trattati con AOS, mentre 236 (71%) con AOC. Non sono state osservate differenze in termini di tempo procedurale, tempo di fluoroscopia e quantità di mezzo di contrasto. Non sono stati riportati decessi procedurali o conversioni a chirurgia a torace aperto. Il tasso di ictus/attacchi ischemici transitori e di complicanze vascolari maggiori è risultato comparabile tra i due gruppi. Due pazienti (0.8%) del gruppo AOC hanno richiesto l’intervento urgente dell’anestesista. Nel gruppo AOC si è registrato un maggior uso di morfina (55.9% vs. 33.3%, p = 0.008), ma con una dose inferiore per ciascun paziente (2.0 vs. 2.8 mg, p = 0.006). Nei pazienti a rischio basso o intermedio, sottoposti a TAVR transfemorale, l’anestesia locale senza la presenza di un anestesista nel laboratorio di cateterismo rappresenta una procedura sicura ed efficace.

Background: Mitral-valve transcatheter edgeto-edge repair (MV-TEER) is recommended in patients with severe functional mitral regurgitation (FMR) and in those with degenerative mitral regurgitation (DMR) not eligible to traditional surgery. Patients with a history of previous cardiac surgery are considered at high risk for surgical reintervention, but data are lacking regarding procedural and clinical outcomes. Objective: aim of this study was to assess the efficacy and clinical results of MV-TEER in patients with previous cardiac surgery enrolled in the “multicentre Italian Society of Interventional Cardiology registry of transcatheter treatment of mitral valve regurgitation” (GIOTTO). Methods: Patients with previous coronary artery bypass grafting (CABG), surgical aortic valve replacement (AVR), or mitral valve repair (MVR) were included. Those with multiple or combined previous cardiac surgeries were excluded. Clinical follow-up was performed at 30 days, 1 year, and 2 years. The primary endpoint was a composite of death or rehospitalization at 1- and 2-year follow-ups. Results: A total of 330 patients, enrolled in the GIOTTO registry, were considered (CABG 77.9%, AVR 14.2%, and MVR 7.9%). Most patients showed FMR (66.9%), moderate reduction of left ventricular (LV) ejection fraction, and signs of LV dilation. Procedural and device successes were 94.8% and 97%. At 1 and 2 years, the composite endpoint occurred are 29.1% and 52.4%, respectively. The composite outcome rates were similar across the three subgroups of previous cardiac surgery (p = 0.928) and between the FMR and DMR subgroups (p = 0.850) at 2 years. In a multivariate analysis, residual mitral regurgitation (rMR) ≥2+ was the main predictor of adverse events at 1 year (hazard ratio: 1.54 [95% confidence interval, CI: 1.00-2.38]; p = 0.050). This association was confirmed at 2 years of Kaplan-Meier analysis (p = 0.001). Conclusions: MV-TEER is effective in these patients, regardless of the subtype of previous cardiac surgery and the MR etiology. An Rmr ≥ 2+ is independently associated with adverse outcomes at 1-year follow-up.

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

L’ulcera aortica penetrante (PAU) rappresenta una delle componenti delle sindromi aortiche acute e consiste in un’ulcerazione che, superando l’intima e la lamina elastica, si approfonda nella media. Benchè riconosciuta come entità clinica da oltre 30 anni, la letteratura è scarsa e discordante sulla sua evoluzione e, di conseguenza, sul suo trattamento. Infatti, spesso la presentazione clinica è completamente silente e la diagnosi viene posta incidentalmente in seguito all’esecuzione di una TAC per altri motivi. Non ci sono dati certi sulla storia naturale della PAU asintomatica, una lacuna che dà incertezza anche sulla necessità del suo trattamento interventistico.

La scelta dell’inibitore del recettore P2Y12 da associare all’ASA nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), è tuttora oggetto di controversia. Lo studio PLATO, pubblicato nel 2009, ha mostrato che ticagrelor rispetto a clopidogrel ha ridotto gli eventi trombotici e la mortalità cardiovascolare, pur aumentando contemporaneamente le complicanze emorragiche. Tuttavia, studi e analisi successive non hanno confermato tale superiorità. Inoltre, i pazienti inseriti nei trial hanno caratteristiche cliniche e angiografiche differenti da quelli osservati nel mondo reale. Pare perciò necessaria una conferma dei risultati dei trial utilizzando dati osservazionali.

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L’identificazione del timing migliore nel trattamento dei pazienti con insufficienza valvolare è oggetto di intenso dibattito. La valutazione della presenza ed estensione della fibrosi miocardica nei pazienti asintomatici con valvulopatia (VHD) e dimensioni/funzione ventricolare sinistra (LV) conservate, può rappresentare un utile criterio di scelta. Nel presente studio sono stati inclusi 39 pazienti, di cui 16 con insufficienza aortica o mitralica, asintomatici e sottoposti a chirurgia valvolare e 23 pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (DCM) in fase terminale come gruppo di controllo. Durante l’intervento, i pazienti con VHD sono stati sottoposti a tre biopsie miocardiche a livello del setto, della parete laterale e dell’apice del LV. La quantità di fibrosi miocardica è risultata del 10 ± 6% nei pazienti con VHD, mentre nei pazienti con DCM il tasso medio di fibrosi miocardica apicale era del 38 ± 9%. Nei pazienti con VHD, la fibrosi era presente anche nella parete laterale (9 ± 4%) e nel setto (9 ± 6%). In conclusione, la fibrosi miocardica è presente in una fase precoce della VHD, ben prima dello sviluppo di una disfunzione LV clinicamente rilevante.

Aims: Aortic stenosis (AS) and cardiac amyloidosis (CA) are typical diseases of the elderly. Up to 16% of older adults with severe AS referred to transcatheter aortic valve replacement (TAVR), have a concomitant diagnosis of CA. CA-AS population suffers from reduced functional capacity and worse prognosis than AS patients. As the prognostic impact of TAVR in patients with CA-AS has been historically questioned and in light of recently published evidence, we aim to provide a comprehensive synthesis of the efficacy and safety of TAVR in CA-AS patients.

Un alto consumo di sodio, causa maggiore di ipertensione, è considerato un fattore alimentare associato ad elevato rischio cardiovascolare. Tuttavia, gli studi in proposito sono stati spesso contrastanti, per errori metodologici quali il dosaggio della sodiuria in un singolo prelievo di urina delle 24 ore o in assenza di concomitante determinazione della kaliuria. Inoltre, molti pazienti fragili o con co-patologie riducono il consumo di sodio prima che si verifichi un evento cardiovascolare, generando l’idea che anche un basso consumo di sodio sia da considerare un fattore di rischio cardiovascolare (“reverse causation bias”).

La sopravvivenza dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA) è piuttosto modesta e solo circa la metà riesce a superare la fase ospedaliera ed essere dimessa in vita. Tra i fattori che determinano un buon esito, importanti sono la prontezza delle manovre di rianimazione, l’età del paziente, il tipo di ritmo che ha scatenato l’arresto e la cura ospedaliera ricevuta. Mancano informazioni, tuttavia, sia sull’outcome che sui fattori prognostici a lungo termine, in particolare oltre il primo anno di follow-up, nei pazienti che riescono a sopravvivere alla fase acuta.

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