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Sempre maggiore è l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti orali diretti (DOAC), ma anche più frequenti sono le urgenze rappresentate dalle emorragie nei pazienti trattati, forse per il maggior ricorso all’anticoagulazione nei pazienti in cui essa è indicata rispetto agli anni in cui solo gli inibitori della vitamina K erano disponibili [1]. È perciò essenziale, per il clinico, avere dati sull’efficacia del trattamento disponibile in questi casi, dal concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (4PCC) all’utilizzo di antidoti specifici come idarucizumab per dabigatran e andexanet alfa per gli inibitori del fattore Xa.

Introduzione Benché sia acquisito che la riperfusione permetta di ridurre l’area infartuale con modalità tempo-dipendente, è altresì noto che in taluni casi

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La strategia di trattamento ottimale (rivascolarizzazione coronarica versus terapia medica ottimale-OMT) nei pazienti con diabete mellito (DM) e cardiopatia ischemica stabile (SIHD) è ancora dibattuta. In questa revisione sistematica della letteratura e meta-analisi, gli Autori hanno analizzato 5.742 pazienti da 4 trial con lo scopo di valutare i risultati clinici a lungo termine della rivascolarizzazione coronarica mediante angioplastica percutanea o bypass aortocoronarico rispetto alla OMT in pazienti con DM e SIHD. La rivascolarizzazione non è risultata associata a una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari maggiori rispetto alla OMT [hazard ratio, (intervallo di confidenza al 95%): 0,95 (0.85- 1.05), p=0.31; I2: 0%]. La scelta di procedere alla rivascolarizzazione in questi pazienti dovrebbe tener conto di altri parametri come la sintomatologia, l’anatomia coronarica, il grado di ischemia, la funzione ventricolare sinistra e la presenza di concomitanti comorbidità.

Aims: The clinical and prognostic importance of functional mitral regurgitation (FMR) in heart failure patients with reduced ejection fraction, (HFrEF) has been highly debated. This study aims to define FMR linkage to cardiovascular (CV) outcomes and the interplay with left atrial (LA) function in a prospective cohort of consecutive HFrEF outpatients. Methods and results: Overall, 286 consecutive outpatients, with chronic HFrEF, were prospectively enrolled. FMR was quantified by effective regurgitant orifice area (EROA). Global peak atrial longitudinal strain (PALS) was measured by speckle tracking echocardiography. The primary endpoint was a composite of congestive heart failure hospitalization or CV death. During a mean follow-up of 4.1 ± 1.5 years, the primary endpoint occurred in 99 patients (35%). The spline modelling of the risk by FMR severity showed an excess event risk starting at about the EROA value of 0.1 cm2 . There was a remarkable graded association between the EROA strata, even if tested per 0.1 cm2 increase, and the risk of CV events (hazard ratio [HR] EROA per 0.10 cm2 increase: 1.42, 95% confidence interval [CI] 1.19-1.68; p<0.0001). EROA ≥0.30 cm2 was associated with CV events regardless of LA function (HR 2.34, 95% CI 1.29-4.19; p=0.005). Less severe FMR (EROA ≥0.10 cm2 ) was associated with a dismal outcome only in patients with reduced LA function (PALS <14% (5-year CV event rate 51 ± 4%); conversely, the risk of events was relative reduced when preserved global PALS and FMR coexisted (5-year CV event rate 38 ± 6%). Conclusions: Our results refine the independent association between FMR and CV outcome among HFrEF outpatients. Within a moderate EROA range, LA function mitigates the clinical consequences of mitral regurgitation, providing measurable proof of the interplay between regurgitation and LA compliance.

Il trattamento chirurgico dell’insufficienza tricuspidale (I.T.) isolata ha una alta mortalità, per cui l’utilizzo di dispositivi inseriti percutaneamente è divenuto progressivamente più frequente negli ultimi anni. La riparazione “edge to edge” con MitraClip fornisce risultati soddisfacenti, ma la presenza di un gap di coaptazione setto-laterale (CGS) ampio (>7.2 mm) ha sinora rappresentato un limite tecnico di questa metodica percutanea. Attualmente è a disposizione un modello di MitraClip (MitraClip XTR) con bracci più lunghi (12 mm) che potrebbero ovviare a questa limitazione, ma non ci sono tuttora dati su casistiche relativamente numerose.

Lo studio ISCHEMIA ha incluso pazienti con coronaropatia stabile (CCS) che avessero documentazione di ischemia almeno moderato/severa a uno stress test e li ha randomizzati a PCI più terapia medica ottimale versus solo terapia medica ottimale, non mostrando differenze sull’outcome a un follow-up mediano di 3.2 anni, in particolare rispetto a mortalità e infarto miocardico. Non è chiaro tuttavia se questo studio rappresenti la popolazione con CCS attualmente sottoposta a PCI oppure un sottogruppo a rischio non elevato.

La funzione del ventricolo destro (RV) è importante per determinare l’outcome dei pazienti sottoposti a trattamento dell’insufficienza mitralica funzionale (FMR) per mezzo dell’intervento trans-catetere riparativo “edge to edge” (TEER). Mentre è noto il ruolo prognostico della funzione RV una volta eseguito l’intervento (in particolare l’effetto favorevole di un recupero di funzione post-TEER -1-), non è chiaro ancora tuttavia quanto importante sia la funzione basale RV nel guidare la decisione di intervenire o meno per trattare la FMR. Questo gap conoscitivo dipende dal fatto che la funzione RV è stata indagata generalmente utilizzando il “tricuspid annular plane systolic excursion” (TAPSE), che utilizza una singola componente dimensionale della funzione contrattile, trascurando inoltre il ruolo del post-carico del RV.

Nei pazienti con cardiopatia ischemica e disfunzione ventricolare sinistra la ricerca della vitalità è stata a lungo considerata decisiva per individuare i pazienti con miocardio ibernato che possono maggiormente beneficiare da interventi di rivascolarizzazione. Benchè alcuni studi osservazionali abbiano fornito supporto a tale ipotesi, il recente trial randomizzato STICH non ne ha confermato la validità. Infatti i dati dello STICH non indicano una significativa interazione statistica tra pazienti che mostrassero o meno presenza di vitalità prima della rivascolarizzazione per quanto riguarda il beneficio dalla rivascolarizzazione, anche se tali risultati non possono essere considerati definitivi data la scarsa numerosità dei pazienti senza evidenza di vitalità arruolati in quel trial (19% della popolazione randomizzata). Restano senza risposta alcuni interrogativi tra i quali: il miocardio ibernato può essere modificato dalla rivascolarizzazione miocardica? E questo “reversal” della ibernazione si traduce sempre in un recupero contrattile? A essi tenterà di rispondere lo studio REVIVED-BCIS2 che arruolerà 700 pazienti con disfunzione ventricolare sinistra (FE ≤35%) su base ischemica, vitalità miocardica dimostrata in almeno 4 segmenti, randomizzati a PCI o terapia medica ottimale. Lo studio testerà l’ipotesi che la sopravvivenza di pazienti con miocardio disfunzionante ma vitale possa essere migliorata dalla rivascolarizzazione percutanea. Per le sue caratteristiche di arruolamento sarà il primo ampio studio prospettico a valutare strategie di trattamento basate sulla presenza di vitalità in pazienti ischemici con disfunzione ventricolare sinistra.

L’impatto prognostico del genere femminile nei pazienti con infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST (STEMI) sottoposti ad angioplastica coronarica primaria (pPCI) rimane oggetto di intenso dibattito. In questo studio multicentrico, gli Autori hanno analizzato 4.370 STEMI consecutivi trattati con pPCI (27.2% donne) da due registri prospettici con lo scopo di valutare il ruolo del genere femminile come predittore indipendente di mortalità cardiaca e per tutte le cause a 30 giorni e 1 anno di follow-up. Il tasso di sopravvivenza a 30 giorni e a 1 anno è risultato significativamente inferiore nelle donne (p<0,001). All’analisi di regressione Cox, il sesso femminile è risultato indipendentemente associato a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause [hazard ratio (HR): 2.09; 95% intervallo di confidenza (CI): 1,45-3,01, p<0,001] e mortalità cardiaca (HR 2.03; 95% CI: 1.41-2.93, p<0.001) a 30 giorni. A un anno, un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause (HR 1.45; 95% CI: 1.16-1.82, p<0.001) e cardiaca (HR 1.51; 95% CI: 1.15 – 1.97, p<0.001) è stato documentato nelle donne. Tali evidenze risultavano confermate anche all’analisi “propensity-matching”.

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