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Uno dei dilemmi tuttora irrisolti della terapia antipiastrinica dopo impianto di stent è la durata della doppia terapia antipiastrinica, soprattutto in una popolazione ad alto rischio emorragico. Recentemente l’Academic Research Consortium (ARC) ha proposto una definizione di “high bleeding risk” (HBR), basata sulla presenza di criteri maggiori e minori. Journal Map ha già dedicato spazio e commenti a questo tema (vedi numero 5). Tuttavia alcuni di questi criteri ARC-HBR si associano non solo a un alto rischio emorragico, ma anche a un rischio ischemico elevato. Quale sia poi la mortalità successiva al verificarsi di un evento emorragico o ischemico in questa popolazione non è noto.

Il dispositivo Watchman per la chiusura dell’auricola si è dimostrato superiore al warfarin a 5 anni di follow-up nella prevenzione della mortalità, dell’ictus emorragico e dell’ictus fatale o inabilitante negli studi PROTECTAF (WATCHMAN Left Atrial Appendage System for Embolic Protection in Patients With Atrial Fibrillation) e PREVAIL (Evaluation of the WATCHMAN LAA Closure Device in Patients With Atrial Fibrillation Versus Long Term Warfarin Therapy). Il meccanismo di chiusura di Watchman è basato su un singolo disco che occlude l’ostio dell’auricola; dispositivi, come Amulet, che si avvalgono di un doppio meccanismo di “sealing” (un lobo che viene posizionato all’interno dell’auricola e un disco a esso connesso a chiudere l’ostio) potrebbero garantire una chiusura più efficace e un minore rischio di leaks. Non ci sono tuttavia in letteratura studi randomizzati di confronto tra i due dispositivi.

Il “case report” pubblicato su JAMA descrive un paziente che si presenta con angor accompagnato da un quadro ECG simile a quello indicato nella Figura. Alla coronarografia il paziente aveva una occlusione acuta della coronaria destra. Questo “pattern elettrocardiografico” è stato descritto per la prima nel 2020 da Aslanger et al. La diagnosi di STEMI si basa sulla presenza all’elettrocardiogramma di sopraslivellamento di ST in almeno due derivazioni contigue. Tuttavia questo requisito è limitativo perché può impedire la diagnosi di STEMI in alcune condizioni che invece necessitano di un intervento urgente di riperfusione. Il “pattern elettrocardiografico” originalmente descritto da Aslanger et al., esemplificato nella Figura, mostra che il vettore di ST è rivolto più a destra di quanto non sia abitualmente nello STEMI inferiore e si manifesta con sopraslivellamento solo in III e aVR, accompagnato da un sottoslivellamento di ST in I, II, V5, V6 (frecce). Un altro aspetto caratteristico è l’ST più elevato in V1 che in V2. I pazienti che si presentano con questo quadro ECG (e hanno positività dei biomarkers di necrosi) sono abitualmente considerati come NSTEMI e non vengono avviati d’urgenza in sala emodinamica. L’aspetto ecg sopra descritto è stato riscontrato nel 6.3% di pazienti classificati come NSTEMI e nel 13.1% dei pazienti con STEMI inferiore: i corrispondenti quadri coronarografici mostravano, come lesione culprit, la arteria circonflessa (50% dei casi) o la coronaria destra (32% dei casi) e frequente era il coinvolgimento multivasale.

La miocardite o pericardite acuta sono emerse come potenziali responsabili di danno miocardico acuto nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’impatto della pandemia COVID-19 sull’incidenza di mio/pericardite non è stato valutato in modo sistematico e rappresenta l’oggetto della presente analisi. Gli autori hanno analizzato l’incidenza e la prevalenza di cardiopatie infiammatorie acute in tre centri italiani in due intervalli temporali: prima (pre COVID-19, dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019) e durante la pandemia COVID-19 (dal 1° giugno 2020 al maggio 2021). L’incidenza annuale di cardiopatia infiammatoria acuta non è risultata significativamente diversa (12.1/100.000 abitanti nel periodo pre COVID-19 versus 10.3/100.000 nel periodo COVID, P=0.22). L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta nel periodo preCOVID-19 rispetto al COVID, rispettivamente pari a 8.1/100.000 abitanti/anno versus 5.9/100.000 abitanti/anno (P=0.047), con una riduzione netta del 27% dei casi. Nonostante ciò, le miocarditi durante il periodo COVID presentavano un maggior numero di alterazioni della cinetica regionale e di fibrosi miocardica. L’incidenza annuale di pericardite non è risultata significativamente diversa (4.03/100.000 abitanti versus 4.47/100.000 abitanti, P=0.61). In conclusione, i dati preliminari di questo studio indicano una minore incidenza di miocardite acuta e un’incidenza stabile di pericardite durante la pandemia da COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemia.

Objectives: To test the safety and efficacy of intravascular imaging and specifically optical coherence tomography (OCT) as a diagnostic tool for left main angioplasty and analyze the mid-term outcome accordingly. Background: Clinical data and international guidelines recommend the use of intravascular imaging ultrasound (IVUS) to guide left main (LM) angioplasty. Despite early experience using OCT in this setting is encouraging, the evidence supporting its use is still limited. Methods: ROCK II is a multicenter, investigatordriven, retrospective European study to compare the performance of IVUS and OCT versus angiography in patients undergoing distal-LM stenting. The primary study endpoint was target-lesion failure (TLF) including cardiac death, target-vessel myocardial infarction and target-lesion revascularization. We designed this study hypothesizing the superiority of intravascular imaging over angiographic guidance alone, and the non-inferiority of OCT versus IVUS. Results: A total of 730 patients, 377 with intravascular-imaging guidance (162 OCT, 215 IVUS) and 353 with angiographic guidance, were analyzed. The one-year rate of TLF was 21.2% with angiography and 12.7% with intravascularimaging (p=0.039), with no difference between OCT and IVUS (p=0.26). Intravascular-imaging was predictor of freedom from TLF (HR 0.46; 95% CI 0.23-0.93: p=0.03). Propensity-score matching identified three groups of 100 patients each with no significant differences in baseline characteristics. The one-year rate of TLF was 16% in the angiographic, 7% in the OCT and 6% in the IVUS group, respectively (p=0.03 for IVUS or OCT vs. angiography). No between-group significant differences in the rate of individual components of TLF were found. Conclusions: Intravascular imaging was superior to angiography for distal LM stenting, with no difference between OCT and IVUS.

La durata raccomandata della doppia terapia antiaggregante (DAPT) nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS) è di 12 mesi, a meno che sia presente un alto rischio di bleeding. Tuttavia alcuni studi recenti hanno mostrato come una DAPT abbreviata seguita da una monoterapia con inibitore del recettore P2Y12 possa ridurre gli eventi emorragici senza aumentare gli eventi ischemici. Queste evidenze provengono per lo più da studi in cui è stato utilizzato ticagrelor in monoterapia, mentre scarsamente indagato è il clopidogrel, che è peraltro l’inibitore del recettore P2Y12 maggiormente utilizzato nella pratica clinica.

I VVI leadless pacemakers (VVI-LLP) sono stati introdotti nella pratica clinica alcuni anni fa con lo scopo di ridurre le complicanze associate all’utilizzo dei pacemaker transvenosi tradizionali (VVI TV-PM), in particolare le problematiche di tipo infettivo e gli ematomi della tasca, che possono esitare in conseguenze clinicamente disastrose quando si estendono ai cateteri. Ad oggi, il dispositivo MicraTM (Medtronic, USA) è l’unico LLP approvato ed utilizzato sia negli Stati Uniti che in Europa. Se inizialmente era disponibile unicamente una versione VVI, è stata successivamente immessa sul mercato una versione VDD che sfrutta un software capace di sentire la contrazione atriale basandosi su un’onda di sensing meccanico. Dati robusti di pratica clinica su questo dispositivo derivano prevalentemente dal Micra Post-Approval Registry, che ha arruolato 1.800 pazienti dimostrando l’assenza di dislocazione del dispositivo e di complicanze maggiori di tipo infettivo. Tuttavia, mancano studi di confronto a medio/lungo termine tra le due tipologie di dispositivi.

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT) dopo una PCI con impianto di DES è tuttora oggetto di controversia. Le linee guida raccomandano 6 mesi per i pazienti con sindrome coronarica cronica (CCS) e 12 mesi per le sindromi coronariche acute (ACS). Tuttavia la durata può essere ridotta o prolungata a seconda della presenza di un elevato rischio emorragico o ischemico. Nonostante siano stati pubblicati molti lavori di confronto tra DAPT di differente durata, pochi studi hanno effettuato analisi che tengano conto della presentazione clinica (CCS vs ACS) e del rischio emorragico versus ischemico dei pazienti sulla base di score specifici.

La chirurgia è una terapia efficace nei pazienti con endocardite infettiva del cuore sinistro nei quali il trattamento antibiotico non sia in grado di risolvere completamente il quadro clinico. Tuttavia vi sono tuttora incertezze sul timing e sul rischio della chirurgia, che risultano ben evidenti nelle discrepanze che esistono tra le Guidelines della Società Europea di Cardiologia (ESC) e quelle nord-americane (AHA/ACC). Il basso livello di evidenza di queste raccomandazioni riflette la mancanza di studi randomizzati che possano dare risposte a queste incertezze. Gli autori propongono una indicazione chirurgica entro 48 ore in presenza di un rigurgrito valvolare severo condizionante scompenso cardiaco (entro 1 settimana se non c’è scompenso, con timing analogo se l’infezione è refrattaria al trattamento medico per presenza di ascessi, batteriemia persistente o quando l’infezione riguarda una protesi valvolare). Una chirurgia precoce (entro 48 ore) deve essere considerata in presenza di fenomeni embolici o anche in loro assenza se l’ampiezza delle vegetazioni supera i 10 mm.

La miocardite o pericardite acuta sono emerse come potenziali responsabili di danno miocardico acuto nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’impatto della pandemia COVID-19 sull’incidenza di mio/pericardite non è stato valutato in modo sistematico e rappresenta l’oggetto della presente analisi. Gli autori hanno analizzato l’incidenza e la prevalenza di cardiopatie infiammatorie acute in tre centri italiani in due intervalli temporali: prima (pre COVID-19, dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019) e durante la pandemia COVID-19 (dal 1° giugno 2020 al maggio 2021). L’incidenza annuale di cardiopatia infiammatoria acuta non è risultata significativamente diversa (12.1/100.000 abitanti nel periodo pre COVID-19 versus 10.3/100.000 nel periodo COVID, P=0.22). L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta nel periodo preCOVID-19 rispetto al COVID, rispettivamente pari a 8.1/100.000 abitanti/anno versus 5.9/100.000 abitanti/anno (P=0.047), con una riduzione netta del 27% dei casi. Nonostante ciò, le miocarditi durante il periodo COVID presentavano un maggior numero di alterazioni della cinetica regionale e di fibrosi miocardica. L’incidenza annuale di pericardite non è risultata significativamente diversa (4.03/100.000 abitanti versus 4.47/100.000 abitanti, P=0.61). In conclusione, i dati preliminari di questo studio indicano una minore incidenza di miocardite acuta e un’incidenza stabile di pericardite durante la pandemia da COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemia.

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