Association of statin pretreatment with presentation characteristics, infarct size and outcome in older patients with acute coronary syndrome: the Eldery ACS-2 trial.

Autori: Anna Toso
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Indice

Abstract

Background: prior statin treatment has been shown to have favourable effects on shortand long-term prognosis in patients with acute coronary syndrome (ACS). There are limited data in older patients. The aim of this study was to investigate the association of previous statin therapy and presentation characteristics, infarct size and clinical outcome in older patients, with or without atherosclerotic cardiovascular disease (ASCVD), included in the Elderly-ACS 2 trial.

Methods: data on statin use pre-admission were available for 1,192 of the 1,443 patients enrolled in the original trial. Of these, 531 (44.5%) were already taking statins. Patients were stratified based on established ASCVD and statin therapy. ACS was classified as non-ST elevation or ST elevation myocardial infarction (STEMI). Infarct size was measured by peak creatine kinase MB (CK-MB). All-cause death in-hospital and within 1 year were the major end points.

Results: there was a significantly lower frequency of STEMI in statin patients, in both ASCVD and No-ASCVD groups. Peak CK-MB levels were lower in statin users (10 versus 25 ng/ml, P< 0.0001). There was lower all-cause death in-hospital and within 1 year for subjects with ASCVD already on statins independent of other baseline variables. There were no differences in all-cause death for No-ASCVD patients whether or not on statins.

Conclusions: statin pretreatment was associated with more favourable ACS presentation and lower myocardial damage in older ACS patients both ASCVD and No-ASCVD. The incidence of all-cause death (in-hospital and within 1 year) was significantly lower in the statin treated ASCVD patients.


Intervista a Anna Toso

Ospedale S. Stefano, Divisione di Cardiologia, Prato

Dottoressa Toso, qual è il take home message dello studio?
Questa analisi post-hoc è stata condotta su una popolazione selezionata di pazienti anziani (≥ 75 anni), trattati con angioplastica coronarica e duplice antiaggregante piastrinico e dimessi con statine nella quasi totalità dei casi (95%). Il trattamento con statine prima dell’evento è risultato significativamente associato con un miglior quadro clinico di presentazione (meno infarti con sopra-slivellamento ST e minor rilascio enzimatico durante l’evento indice), indipendentemente da altri fattori clinici come età, sesso, diabete, dislipidemia e da una preesistente malattia cardiovascolare (ASCVD). Nei pazienti con precedente ASCVD, è stata anche dimostrata una favorevole associazione tra la terapia con statine e la mortalità per tutte le cause, sia intraospedaliera che a distanza di 12 mesi dall’evento. I risultati di questa analisi suggeriscono che il solo fattore ‘età’ non dovrebbe rappresentare motivo di sospensione o mancata prescrizione della terapia con statine, quando indicata. Viene inoltre evidenziata l’importanza di un’attenta raccolta anamnestica, all’atto del ricovero, che includa anche il trattamento con statine: i pazienti anziani con pregressa ASCVD, che non assumono statine al momento di una recidiva ischemica coronarica, rappresentano la categoria con profilo di rischio clinico e cardiovascolare più alto e con peggior prognosi a breve e medio termine.

Quali erano le caratteristiche cliniche dei pazienti in terapia con statine prima della sindrome coronarica acuta? Quali variabili li distinguevano da coloro che non assumevano statine?
Seppure con una età mediana significativamente più bassa, i pazienti che assumevano statine al momento dell’evento, presentavano un profilo di rischio clinico e vascolare più alto: maggiore prevalenza di dislipidemia e diabete, più frequenti eventi ischemici anamnestici o procedure di rivascolarizzazione, una terapia con più farmaci (3 o più classi di farmaci nell’88% dei pazienti trattati rispetto al 43% dei non trattati con statine). Più esteso il burden ateromasico (punteggio SYNTAX ≥22) e più frequenti le lesioni restenotiche. Tuttavia, a livello di culprit lesion, il flusso TIMI pre-procedurale è risultato mediamente più elevato e con maggior frequenza sono stati impiantati stent medicati nei pazienti già in terapia con statine.

I pazienti che assumevano statine avevano infarti meno estesi (meno elevati picchi di CK) e meno infarti tipo STEMI rispetto ai pazienti non trattati con statine. Quale può essere una spiegazione patogenetica di questo fenomeno?
Questo dato mi sembra clinicamente molto rilevante perché interessa tutta la popolazione analizzata, con e senza precedente ASCVD ed è in linea con i precedenti risultati di studi osservazionali condotti su pazienti di età più bassa. Le statine, con i loro molteplici meccanismi d’azione (lipido- e non lipidomediati), possono svolgere localmente un’azione favorevole sullo sviluppo e le variazioni strutturali delle placche ateromasiche che presentano le caratteristiche morfologiche di placche più stabili, meno propense alla rottura. Numerosi studi sperimentali e clinici hanno dimostrato un effetto, anche rapido, sulla riduzione del volume e l’aumento della componente calcifica nelle placche ateromasiche di pazienti con sindrome coronarica acuta. Ma è importante anche l’effetto sistemico svolto dalle statine che possono modulare la risposta immunitaria, infiammatoria e potenziare l’azione antiaggregante piastrinica esercitata dai farmaci specifici. Tutto questo può tradursi in una minor percentuale di trombosi coronariche occlusive, miglior flusso anterogrado su vaso culprit, minore miocitonecrosi cardiaca.

La riduzione di mortalità sia a breve termine che a distanza è un dato molto forte. Tuttavia il beneficio pare limitato ai pazienti con una storia clinica di malattia cardiovascolare. Questo dato rafforza l’importanza di questi farmaci in prevenzione secondaria, mentre appare discutibile l’uso di statine nel paziente anziano in prevenzione primaria. Qual è la sua opinione in proposito?
Finora, la mancanza di dati conclusivi sull’utilità clinica della terapia con statine nei soggetti anziani, ha limitato molto la prescrizione di tali farmaci, specie in prevenzione primaria. Se ci limitiamo solo al dato mortalità (ospedaliera e a distanza di 12 mesi), anche dai nostri risultati non emergono elementi che indichino l’efficacia della prescrizione con statine in prevenzione primaria. Tuttavia, mi sembrano importanti due considerazioni. Anche in prevenzione primaria, pertanto, le statine sembrerebbero svolgere un effetto cardioprotettivo: un eventuale primo evento ischemico coronarico si presenta più frequentemente con caratteristiche cliniche di minor severità nei pazienti trattati con statine (meno STEMI, minor insufficienza cardiaca acuta) e ciò si traduce in un miglior outcome clinico.

  1. I pazienti che sviluppano un primo evento ischemico in età avanzata, hanno un profilo di rischio clinico e vascolare più basso di chi ha in anamnesi eventi ricorrenti e ha un esordio clinico di malattia più precoce. Il beneficio delle misure preventive è meno evidente in una categoria di pazienti a minor rischio, soprattutto se il campione esaminato è relativamente piccolo, come nel nostro caso. Inoltre la durata del follow-up, limitata a 12 mesi, potrebbe essere troppo breve perché il beneficio di un trattamento “antiaterogeno” si possa manifestare in soggetti con un minor burden aterosclerotico.
  2. Il fatto che il trattamento con statine si associ a un miglior quadro clinico di presentazione e una minore entità di danno miocardico, ha già di per sè importanti implicazioni clinico-prognostiche, soprattutto nei soggetti anziani. Un’analisi precedente svolta sulla stessa popolazione ha mostrato che il rischio di mortalità cardiovascolare e per tutte le cause è 50% più alto nei pazienti con infarto STEMI rispetto ai soggetti con NSTE-ACS (Morici et al. Am J Med 2019;132:209-216. doi: 10.1016/j.amjmed.2018.10.027). Inoltre, la recente ampia survey internazionale ISACS (inclusi 14.542 pazienti) ha dimostrato una minore prevalenza di insufficienza cardiaca acuta, come quadro clinico di presentazione, nei pazienti con sindrome coronarica acuta che assumevano statine in prevenzione primaria (Bernardini et al. J Am Coll Cardiol 2022;79:2021-2033. doi: 10.1016/j.jacc. 2022.03.354), anche nel sottogruppo di pazienti di età ≥76 anni. La minor prevalenza di insufficienza cardiaca acuta al momento del ricovero è risultata associata a una miglior sopravvivenza a 30 giorni.

Anche in prevenzione primaria, pertanto, le statine sembrerebbero svolgere un effetto cardioprotettivo: un eventuale primo evento ischemico coronarico si presenta più frequentemente con caratteristiche cliniche di minor severità nei pazienti trattati con statine (meno STEMI, minor insufficienza cardiaca acuta) e ciò si traduce in un miglior outcome clinico.

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