Elettrocardiogramma da sforzo o TC coronarica nei pazienti con sospetta angina pectoris?

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Indice

Inquadramento

Lo studio SCOT HEART ha dimostrato che la TC coronarica, eseguita in pazienti con sospetta angina pectoris, permette una migliore definizione diagnostica e riduce il rischio di infarto a 5 anni rispetto a un approccio standard tradizionale che può includere un elettrocardiogramma da sforzo.[1]Newby DE, Adamson PD, Berry C et al. SCOT-HEART Investigators. Coronary CT angiography and 5-year risk of myocardial infarction. N Engl J Med. 2018; 379: 924- 933. In quello studio un test ergometrico era stato eseguito nel 79% dei pazienti e non è stato perciò possibile valutare il suo valore predittivo di eventi coronarici futuri e di confrontarlo con i risultati ottenuti aggiungendo nel percorso diagnostico la TC coronarica.

Lo studio in esame

Lo studio riporta i risultati relativi a 3.283 pazienti (mediana dell’età 57 anni) su un totale di 4.146 randomizzati. Il test da sforzo mostrava una sensibilità del 39% e una specificità del 91% per la presenza di coronaropatia ostruttiva (valutata nei pazienti che avevano effettuato nell’iter diagnostico una coronarografia invasiva). Rispetto a un test giudicato negativo, una positività dell’elettrocardiogramma da sforzo si associava a una probabilità di condurre a una procedura di rivascolarizzazione di 14.5 volte superiore (95% CI, 10.00-20.41; p<.001) e a un rischio di mortalità per coronaropatia e infarto miocardico a 5 anni di 2.57 volte superiore (95% CI, 1.38-4.63; p<.001). I risultati della TC coronarica si associavano a un maggior rischio di morte per causa coronarica o infarto a 5 anni, sia quando l’esame mostrava una coronaropatia ostruttiva (HR 10.63; 95% CI, 2.32-48.70; p=.002) sia non-ostruttiva (HR, 5.32; 95% CI, 1.16-24.40; p=.03). Circa due terzi degli eventi nel follow-up si verificavano nei pazienti che avevano un test da sforzo giudicato “non conclusivo”.

Take home message

L’esecuzione di una TC coronarica permette una diagnosi più accurata della presenza di malattia coronarica e ha una maggiore capacità predittiva di eventi coronarici futuri rispetto all’elettrocardiogramma da sforzo.

Commento

Lo studio è presentato con due commenti editoriali. Nel primo, Pamela Douglas, principal investigator dello studio PROMISE, di taglio affine a SCOT HEART, pubblicato nel 2015 [2]Douglas PS, Hoffmann U, Patel MR et al. PROMISE Investigators. Outcomes of anatomical versus functional testing for coronary artery disease. N Engl J Med. 2015;372:1291-1300. critica alcuni aspetti metodologici della presente analisi (soprattutto l’esclusione di circa un terzo dei pazienti randomizzati nello studio originale, introducendo così un bias di selezione e la mancata standardizzazione dei criteri di positività del test da sforzo). Tuttavia riconosce che il test ergometrico, pur rimanendo di prima scelta nell’iter diagnostico del dolore toracico, ha una scarsa sensibilità rispetto alla TC coronarica che, individuando la presenza, anche non significativa, di malattia coronarica, permette la messa in atto di efficaci terapie preventive. Il secondo editoriale è di Raymond Gibbons, che risponde con un secco “no” alla domanda se una TC coronarica debba divenire “standard of care” nei pazienti con sospetta angina che abbiano già eseguito un elettrocardiogramma da sforzo. In particolare l’editorialista critica le modalità con cui nello studio sono stati somministrati antiaggreganti e statine nei pazienti randomizzati. Anche se le argomentazioni si basano su una analisi dettagliata delle informazioni fornite dallo studio, le conclusioni appaiono più “istintive” che razionali.

L’opinione di Zoran Olivari

Ospedale San Camillo – Treviso

Le evidenze disponibili ci hanno insegnato che nel contesto clinico della “sindrome coronarica cronica” la prognosi è condizionata dalla presenza, estensione, severità e sede anatomica dell’aterosclerosi coronarica. È palese che la angioTC coronarica è generalmente in grado di identificare tutte queste caratteristiche, mentre l’ECG sotto sforzo identifica solo una quota di pazienti con stenosi ostruttive (nello SCOTHEART era positivo nel 64% dei portatori di stenosi ostruttive alla coronarografia) lasciando del tutto irrisolto il quesito diagnostico sulla estensione e sede della coronaropatia ostruttiva e la presenza o meno di quella non ostruttiva. La presenza di quest’ultima è di notevole rilievo clinico in quanto responsabile, nel tempo, di un numero di sindromi coronariche acute analogo o superiore rispetto all’aterosclerosi ostruttiva.[3]Ferraro RA, van Rosendael AR, Lu Y et al. Non-obstructive High-Risk Plaques Increase the Risk of Future Culprit Lesions Comparable to Obstructive Plaques Without High-Risk Features: The ICONIC Study. … Continua a leggere Una serie di studi metodologicamente validi dimostrano che “eliminare” tutte le stenosi critiche stabili con la PCI riduce il rischio di infarti spontanei di circa il 30-35%.[4]Mehta SR, Wood DA, Storey RF et al. Complete Revascularization With Multivessel PCI for Myocardial Infarction. N Engl J Med 2019;381:1411-1421[5]Zimmermann FM, Omerovich E, Fournier S et al. Fractional Flow Reserve-Guided Percutaneous Coronary Intervention vs. Medical Therapy for Patients With Stable Coronary Lesions: Meta-Analysis of … Continua a leggere. Di conseguenza circa il 65-70% degli infarti avviene su stenosi subcritiche ed è per questo motivo che una prevenzione appropriata può ridurre gli eventi maggiori anche in pazienti con aterosclerosi coronarica non ostruttiva.[6]Cho YK, Nam C-W, Koo B-K et al. Usefulness of Baseline Statin Therapy in Non-Obstructive Coronary Artery Disease by Coronary Computed Tomographic Angiography: From the CONFIRM (COronary CT … Continua a leggere Nello SCOT-HEART i pazienti sottoposti alla TC coronarica hanno ricevuto più frequentemente le statine e gli antiaggreganti ed è verosimile che dopo aver “visto” la presenza di malattia coronarica sia i medici che i pazienti siano più propensi alle misure più attente di prevenzione ed è probabile che questo spieghi la riduzione degli eventi in pazienti sottoposti all’angio TC coronarica. Per tali motivi l’ECG sotto sforzo in questo contesto clinico va usato con la consapevolezza dei suoi limiti intrinseci: il suo esito negativo o non concludente non esclude affatto la presenza di una malattia coronarica la cui estensione condizionerà la prognosi del paziente. A mio parere, l’esecuzione dell’angio TC coronarica dovrebbe essere estensivamente considerata in:
1) pazienti sintomatici per escludere la presenza di una malattia significativa del tronco comune;
2) pazienti con fattori di rischio e sintomatologia dubbia nei quali si è incerti se iniziare una adeguata strategia di prevenzione e sui target da raggiungere. Purtroppo in Italia questa metodica non è universalmente disponibile e questo rappresenta il maggiore freno al suo utilizzo.

Bibliografia

Bibliografia
1 Newby DE, Adamson PD, Berry C et al. SCOT-HEART Investigators. Coronary CT angiography and 5-year risk of myocardial infarction. N Engl J Med. 2018; 379: 924- 933.
2 Douglas PS, Hoffmann U, Patel MR et al. PROMISE Investigators. Outcomes of anatomical versus functional testing for coronary artery disease. N Engl J Med. 2015;372:1291-1300.
3 Ferraro RA, van Rosendael AR, Lu Y et al. Non-obstructive High-Risk Plaques Increase the Risk of Future Culprit Lesions Comparable to Obstructive Plaques Without High-Risk Features: The ICONIC Study. Eur Heart J Cardiovasc Imaging. 2020 10.1093/ehjci/jeaa048.
4 Mehta SR, Wood DA, Storey RF et al. Complete Revascularization With Multivessel PCI for Myocardial Infarction. N Engl J Med 2019;381:1411-1421
5 Zimmermann FM, Omerovich E, Fournier S et al. Fractional Flow Reserve-Guided Percutaneous Coronary Intervention vs. Medical Therapy for Patients With Stable Coronary Lesions: Meta-Analysis of Individual Patient Data. Eur Heart J 2019;40:180-186.
6 Cho YK, Nam C-W, Koo B-K et al. Usefulness of Baseline Statin Therapy in Non-Obstructive Coronary Artery Disease by Coronary Computed Tomographic Angiography: From the CONFIRM (COronary CT Angiography EvaluatioN For Clinical Outcomes: An InteRnational Multicenter) Study. PLoS One 2018;13:e0207194.

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