Dal Journal of Cardiovascular Medicine

Tailoring oral antiplatelet therapy in acute coronary syndromes: from guidelines to clinical practice. Review.

È un concetto ormai consolidato che la composizione e la durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), nei pazienti con sindrome coronarica acuta trattata con impianto di stent, si debba basare su una valutazione del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente. Dati recenti mostrano che, in presenza di un rischio di bleeding elevato, una DAPT abbreviata (1-3 mesi) seguita da singola terapia antipiastrinica riduca i sanguinamenti senza aumentare gli eventi trombotici rispetto al trattamento “standard” che prevede 12 mesi di DAPT. Tuttavia, la frequente coesistenza di variabili che aumentano sia il rischio ischemico che quello emorragico, come avviene soprattutto nei pazienti anziani, può generare perplessità al clinico nella scelta del trattamento più appropriato. In questi casi, le strategie di “de-escalation” (sia guidate che non guidate dai test farmacodinamici o genetici) rappresentano una alternativa alla DAPT “standard”, garantendo un ottimo equilibrio tra sicurezza ed efficacia. Benchè la scelta sulla composizione e durata della DAPT debba essere effettuata dal clinico su base individuale, l’analisi della recente letteratura permette di scegliere tra le varie opzioni disponibili, una volta accertato il profilo di rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente.

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Catheter ablation for treatment of bradycardia-tachycardia syndrome: is it time to consider it the therapy of choice? A systematic review and meta-analysis. 

L’ablazione transcatetere della fibrillazione atriale (AFCA) rappresenta una potenziale strategia di trattamento per evitare l’impianto di pacemaker (PM) nei pazienti con sindrome bradicardia-tachicardia (BTS). Tuttavia, solide evidenze in questo campo sono ancora limitate. In questa meta-analisi gli Autori hanno analizzato in 776 pazienti con BTS l’efficacia e la sicurezza della AFCA (371 pazienti) versus impianto di PM (405 pazienti). Ad una mediana di follow-up di 67.5 mesi, minori recidive di FA (odds ratio [OR] 0.06; intervallo di confidenza al 95% [95% CI]:0.02-0.18; p<0,001), progressione di FA (OR 0.12, 95% CI:0.06-0.26, p<0.001), insufficienza cardiaca (OR 0.12, 95% CI 0.04-0.34, p<0.001) e ictus (OR 0.30, 95% CI 0.15-0.61, p=0.001) sono stati osservati nel gruppo AFCA. Non sono state documentate differenze per quanto riguarda la morte e l’ospedalizzazione cardiovascolare, sebbene la maggiore necessità di procedure aggiuntive nel gruppo AFCA. L’impianto di PM è stato evitato nel 91% dei pazienti con BTS sottoposti ad AFCA. In conclusione, l’AFCA sembra essere più efficace dell’impianto di PM nel ridurre le recidive di FA nei pazienti con BTS e l’impianto di PM può essere evitato nella maggior parte dei pazienti trattati con ablazione transcatetere.

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Prognostic value of right ventricle to pulmonary artery coupling in transcatheter aortic valve implantation recipients.

Il ruolo prognostico del ventricolo destro e, in particolare, dell’accoppiamento tra ventricolo destro e arteria polmonare (RV-PA), nei pazienti sottoposti a sostituzione valvolare aortica transcatetere (TAVR), è oggetto di intenso dibattito nella comunità scientifica. In 377 pazienti sottoposti a TAVR tra febbraio 2011 e agosto 2020, gli autori hanno analizzato il rapporto tra l’escursione sistolica del piano dell’anulus tricuspidalico e la pressione sistolica dell’arteria polmonare (TAPSE/PASP) come surrogato dell’accoppiamento RVPA, stratificando la popolazione in base al rapporto TAPSE/PASP pari a <0.36 mm/mmHg. Il successo procedurale è risultato simile tra i due gruppi. Un rapporto TAPSE/PASP <0,36 mm/mmHg è risultato associato ad un maggior rischio di morte per tutte le cause a 6 mesi (17.3% contro 5.3%; hazard ratio aggiustato 2.66; P=0.041). L’impatto prognostico del rapporto TAPSE/ PASP è risultato maggiore rispetto a TAPSE e PASP considerati separatamente, indipendentemente dal rischio chirurgico. Sia il TAPSE che la PASP sono migliorati al follow-up a 1 e 6 mesi dopo la TAVI. In conclusione, un rapporto TAPSE/PASP<0.36 mm/mmHg è fortemente associato a un aumento del rischio di mortalità dopo la TAVR. L’intervento di TAVR si associa a un miglioramento significativo di TAPSE, PASP e del loro rapporto.

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Transcatheter aortic valve replacement with or without anesthesiologist: results from a high-volume single center.

L’anestesia locale anziché quella generale rappresenta l’approccio standard in molti centri per la sostituzione transcatetere della valvola aortica (TAVR) con o senza la presenza di un anestesista in loco (AOS). In questo studio, gli Autori hanno confrontato gli outcome nei pazienti sottoposti a TAVR con AOS, oppure con anestesista di guardia (AOC). Dei 332 pazienti sottoposti a TAVR, 96 (29%) sono stati trattati con AOS, mentre 236 (71%) con AOC. Non sono state osservate differenze in termini di tempo procedurale, tempo di fluoroscopia e quantità di mezzo di contrasto. Non sono stati riportati decessi procedurali o conversioni a chirurgia a torace aperto. Il tasso di ictus/attacchi ischemici transitori e di complicanze vascolari maggiori è risultato comparabile tra i due gruppi. Due pazienti (0.8%) del gruppo AOC hanno richiesto l’intervento urgente dell’anestesista. Nel gruppo AOC si è registrato un maggior uso di morfina (55.9% vs. 33.3%, p = 0.008), ma con una dose inferiore per ciascun paziente (2.0 vs. 2.8 mg, p = 0.006). Nei pazienti a rischio basso o intermedio, sottoposti a TAVR transfemorale, l’anestesia locale senza la presenza di un anestesista nel laboratorio di cateterismo rappresenta una procedura sicura ed efficace.

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Myocardial fibrosis in asymptomatic patients undergoing surgery for mitral and aortic valve regurgitation.

L’identificazione del timing migliore nel trattamento dei pazienti con insufficienza valvolare è oggetto di intenso dibattito. La valutazione della presenza ed estensione della fibrosi miocardica nei pazienti asintomatici con valvulopatia (VHD) e dimensioni/funzione ventricolare sinistra (LV) conservate, può rappresentare un utile criterio di scelta. Nel presente studio sono stati inclusi 39 pazienti, di cui 16 con insufficienza aortica o mitralica, asintomatici e sottoposti a chirurgia valvolare e 23 pazienti con cardiomiopatia dilatativa non ischemica (DCM) in fase terminale come gruppo di controllo. Durante l’intervento, i pazienti con VHD sono stati sottoposti a tre biopsie miocardiche a livello del setto, della parete laterale e dell’apice del LV. La quantità di fibrosi miocardica è risultata del 10 ± 6% nei pazienti con VHD, mentre nei pazienti con DCM il tasso medio di fibrosi miocardica apicale era del 38 ± 9%. Nei pazienti con VHD, la fibrosi era presente anche nella parete laterale (9 ± 4%) e nel setto (9 ± 6%). In conclusione, la fibrosi miocardica è presente in una fase precoce della VHD, ben prima dello sviluppo di una disfunzione LV clinicamente rilevante.

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Direct oral anticoagulants for the treatment of left ventricular thrombosis: an updated systematic review and meta-analysis.

Nei pazienti con trombosi ventricolare sinistra (LVT), il trattamento farmacologico ottimale, tra gli antagonisti della vitamina K (VKA) e i nuovi anticoagulanti orali diretti (DOAC), è oggetto di intenso dibattito nella comunità scientifica. Nel presente studio gli autori hanno eseguito una meta-analisi includendo 14 studi di confronto tra DOAC e VKA con i seguenti endpoint: risoluzione della LVT (endpoint primario), incidenza di ictus e sanguinamento (endpoint secondari). Nello studio sono stati inclusi 1.332 pazienti, di cui 424 trattati con DOAC e 908 con VKA. Per quanto riguarda l’endpoint primario dello studio non si è osservata nessuna differenza tra DOAC e VKA (odds ratio [OR] 1.00; intervallo di confidenza 95% [95% CI]) 0.77-1.31, I2 0%]. Il rischio di ictus è risultato ridotto con DOAC (OR 0.58; 95% CI 0.36-0.93; I2 0%) così come l’insorgenza di sanguinamenti (OR 0.64; 95% CI 0.44-0.94; I2 0%). In conclusione, i DOAC hanno un’efficacia simile a VKA nella risoluzione della LVT, mostrando, inoltre, un beneficio consistente nella riduzione di ictus e sanguinamenti.

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Efficacy of ticagrelor compared to clopidogrel in improving endothelial function in patients with coronary artery disease: a sysematic review

Ticagrelor e clopidogrel sono due inibitori del recettore piastrinico P2Y12. Lo scopo della review è stato quella di presentare e commentare l’evidenza degli studi che abbiano indagato l’effetto dei due farmaci sulla funzione endoteliale di pazienti con malattia coronarica. Sono stati inclusi sette studi per un totale di 511 pazienti. Ticagrelor ha maggiormente innalzato, rispetto a clopidogrel, il livello delle cellule progenitrici CD34+ KDR+ e CD34+ 133+ (rispettivamente P=0.036 e P=0.019). Questi dati si associavano a una minore frequenza di apoptosi delle cellule endoteliali (P<0.001). Inoltre, ticagrelor risultava superiore a clopidogrel per quanto riguardava i livelli di ossido nitrico, radicali di ossigeno e P-selectina (rispettivamente P=0.03, P=0.02, and P=0.019). Vi erano, infine, differenze riguardo gli effetti dei due farmaci sulla dilatazione vasale flusso-mediata (P=0.004 per ticagrelor vs. P=0.39 per clopidogrel). In conclusione, ticagrelor sembra esercitare un effetto di miglioramento della funzione endoteliale superiore rispetto a quello prodotto da clopidogrel in pazienti con malattia coronarica.

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Predictors of early discharge after transcatheter aortic valve implantation: insight from the core valve clinical service.

L’identificazione di predittori procedurali ed elettrocardiografici di una dimissione precoce nei pazienti sottoposti a impianto transcatetere di bioprotesi aortica (TAVI), rappresenta un obiettivo importante. In questo studio, gli Autori hanno categorizzato 1.501 pazienti sottoposti a TAVI in due gruppi in base alla durata dell’ospedalizzazione (LoS): “Fast-Track” (LoS post-procedurale inferiore o uguale a 3 giorni) e “Slow-Track” (LoS post-procedurale >3 giorni). I pazienti nel gruppo “Slow-Track” presentavano un rischio chirurgico più elevato (P<0.001) e più frequentemente venivano trattati in anestesia generale (P=0.002). A 30 giorni, non è stata osservata alcuna differenza tra pazienti “Slow-Track” e “Fast-Track” per quanto riguarda la morte e la re-ospedalizzazione cardiovascolare. All’analisi multivariata, il punteggio STS di almeno il 4% [odds ratio (OR): 1.64], l’anestesia generale (OR: 2.80), la pre-dilatazione (OR: 0.45), la classe NYHA III o IV al baseline (OR: 1.65), l’insorgenza di disturbi di conduzione (OR: 2,41) e impianto di PM durante l’ospedalizzazione (OR: 2,63; P<0,001) sono risultati predittori indipendenti di “Slow-Track”.

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Renal function and mortality in patients with atrial fibrillation (published online ahead of print, 2022 Jun 23).

L’impatto della disfunzione renale cronica (CKD) e dei corrispondenti valori di velocità di filtrazione glomerulare stimata (eGFR) sulla mortalità nei pazienti con fibrillazione atriale rimane sconosciuto. In questa analisi post-hoc di uno studio randomizzato controllato che ha incluso 1.064 pazienti ospedalizzati con fibrillazione atriale, 465 (43.7%) presentavano CKD. La presenza di CKD è risultata associata a un aumentato rischio di mortalità per tutte le cause e cardiovascolare dopo l’ospedalizzazione [hazard ratio aggiustato (adj.HR): 1.60; intervallo di confidenza al 95% (CI 95%): 1.25-2.05 e adj.HR: 1.74; CI 95%: 1.30-2.33, rispettivamente]. Rispetto allo stadio 1 della CKD, gli adj.HR per la mortalità per tutte le cause negli stadi 2-5 della CKD erano rispettivamente 2.18, 2.62, 4.20 e 3.38 (tutti P<0.05). Valori di eGFR inferiori a 50 ml/min/1.73 m2 sono risultati predittori indipendenti di una maggiore mortalità per tutte le cause e cardiovascolare. In conclusione, nei pazienti ricoverati con fibrillazione atriale, la presenza di CKD è risultata associata in modo indipendente a una minore sopravvivenza, che è risultata significativamente superiore negli stadi CKD da 2 a 5, rispetto allo stadio 1.> <0.05). Valori di eGFR inferiori a 50 ml/min/1.73 m2 sono risultati predittori indipendenti di una maggiore mortalità per tutte le cause e cardiovascolare. In conclusione, nei pazienti ricoverati con fibrillazione atriale, la presenza di CKD è risultata associata in modo indipendente a una minore sopravvivenza, che è risultata significativamente superiore negli stadi CKD da 2 a 5, rispetto allo stadio 1.

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Similar outcome of tricuspid valve repair and replacement for isolated tricuspid infective endocarditis

La miocardite o pericardite acuta sono emerse come potenziali responsabili di danno miocardico acuto nei pazienti affetti da SARS-CoV-2. Tuttavia, l’impatto della pandemia COVID-19 sull’incidenza di mio/pericardite non è stato valutato in modo sistematico e rappresenta l’oggetto della presente analisi. Gli autori hanno analizzato l’incidenza e la prevalenza di cardiopatie infiammatorie acute in tre centri italiani in due intervalli temporali: prima (pre COVID-19, dal 1° giugno 2018 al 31 maggio 2019) e durante la pandemia COVID-19 (dal 1° giugno 2020 al maggio 2021). L’incidenza annuale di cardiopatia infiammatoria acuta non è risultata significativamente diversa (12.1/100.000 abitanti nel periodo pre COVID-19 versus 10.3/100.000 nel periodo COVID, P=0.22). L’incidenza annuale di miocardite è stata significativamente più alta nel periodo preCOVID-19 rispetto al COVID, rispettivamente pari a 8.1/100.000 abitanti/anno versus 5.9/100.000 abitanti/anno (P=0.047), con una riduzione netta del 27% dei casi. Nonostante ciò, le miocarditi durante il periodo COVID presentavano un maggior numero di alterazioni della cinetica regionale e di fibrosi miocardica. L’incidenza annuale di pericardite non è risultata significativamente diversa (4.03/100.000 abitanti versus 4.47/100.000 abitanti, P=0.61). In conclusione, i dati preliminari di questo studio indicano una minore incidenza di miocardite acuta e un’incidenza stabile di pericardite durante la pandemia da COVID-19 rispetto al periodo pre-pandemia.

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