Dobbiamo rivascolarizzare i pazienti con coronaropatia stabile e disfunzione ventricolare sinistra non severa? Un’analisi dello studio ischemia

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Indice

Inquadramento

Lo studio ISCHEMIA (International Study of Comparative Health Effectiveness With Medical and Invasive Approaches)[1] Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. ISCHEMIA Research Group. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med. 2020;382:1395-1407., recentemente pubblicato, non ha mostrato differenza di outcome (a una mediana di follow-up di 3.2 anni) tra pazienti con segni di ischemia miocardica moderata o severa (valutata a uno stress test) e randomizzati a una strategia conservativa (rivascolarizzazione solo in caso di fallimento della terapia medica) o invasiva (rivascolarizzazione a tutti i pazienti quando possibile). Dallo studio erano esclusi i pazienti che avessero una frazione di eiezione (FE) <35% o fossero in classe NYHA III o IV, ma potevano essere inclusi pazienti che avessero una storia clinica di scompenso cardiaco (HF) indipendentemente dal valore di FE o che avessero una disfunzione ventricolare sinistra (LVD), definita come FE compresa tra 35% e 45%. L’analisi degli outcome in questi pazienti inclusi nello studio ISCHEMIA è importante e unica, in quanto gli studi precedenti di confronto tra le due strategie terapeutiche (come il COURAGE) non avevano una casistica sufficiente per analizzare i risultati in questo sottogruppo di pazienti.

Lo studio in esame

Dei 5.179 pazienti randomizzati nel trial ISCHEMIA, 398 pazienti (7.7%) avevano storia di HF e/o LVD (precisamente 221 avevano FE <45%, 205 -51.5%- avevano una precedente diagnosi di HF e solo 28 pazienti -6%- storia di HF e FE <45%). Questi pazienti avevano un’età superiore, maggiori comorbilità (in particolare storia di infarto miocardico e ictus) e sperimentavano più frequentemente l’endpoint primario rispetto alla restante ampia popolazione (22.7% versus 13.8%). I pazienti randomizzati alla strategia invasiva avevano un beneficio clinico significativo con una differenza assoluta di eventi inclusi nell’endpoint primario (morte cardiovascolare, infarto miocardico, arresto cardiaco, ricovero per angina instabile e scompenso di cuore) di 12.1% [95% CI, −22.6 to −1.6%] (Tabella). Al contrario, non si è osservata nessuna differenza significativa tra le due strategie, nei pazienti che non avevano storia di HF nè LVD (differenza assoluta di eventi -1.6% [95% CI, -3.8%, 0.7%]).

Take home message

I pazienti con cardiopatia ischemica stabile e storia di HF o LVD sottoposti a strategia invasiva hanno un outcome migliore rispetto ai pazienti trattati conservativamente. Al contrario, nessuna differenza veniva osservata nell’outcome dei pazienti che non avevano storia di HF nè LVD sottoposti all’una o all’altra strategia.

Commento

I risultati di questa analisi hanno un forte razionale (in linea anche con le osservazioni dello studio STICH)[2]Velazquez EJ, Lee KL, Jones RH, Al-Khalidi HR, Hill JA, Panza JA, Michler RE, Bonow RO, Doenst T, Petrie MC, et al. STICHES Investigators. Coronary-artery bypass surgery in patients with ischemic … Continua a leggere basato sui vantaggi della rivascolarizzazione in pazienti che spesso hanno una coronaropatia multivasale e potenzialmente ampie aree di miocardico ibernato. Tuttavia, al termine della lettura si resta con più dubbi che certezze. Infatti, gli Autori scrivono che il miglior outcome dei pazienti con HF/LVD trattati invasivamente è da ascrivere “a un ampio beneficio osservato nei 28 pazienti con storia di HF e FE < 45%” con poca evidenza, invece, di beneficio negli altri due gruppi molto più numerosi (i pazienti con sola storia di HF o con FE < 45% senza storia di scompenso cardiaco). Queste conclusioni derivano da una analisi di confronto degli eventi osservati (e dei rispettivi intervalli di confidenza) con le due strategie per valori progressivamente decrescenti di FE sia in presenza che in assenza di storia di HF. Il dato degli eventi per ciascun sottogruppo, tra i pazienti HF/LVD, non è riportato nell’articolo neppure nei dati supplementari. Ritenere, tuttavia, che i risultati di una analisi dipendano dagli eventi verificatisi nel 6% della popolazione in esame non appare, tuttavia, ragionevolmente plausibile. Il problema è l’esigua numerosità del campione che non permette di analizzare, con correttezza statistica, sottogruppi ancora meno numerosi. Meglio sarebbe stato considerare i dati solo globalmente, oppure suddividere la casistica in base ad altri parametri (es. il valore di BNP).

L’opinione di Luigi Oltrona Visconti

Divisione di Cardiologia e Dipartimento Scienze Mediche e Malattie Infettive, IRCCS Policlinico S. Matteo – Pavia

I risultati dello studio ISCHEMIA (International Study of Comparative Health Effectiveness with Medical and Invasive Approaches), pubblicati sul NEJM nell’Aprile 2020, hanno sollevato un ampio dibattito nella comunità scientifica internazionale e nazionale. Persistono infatti, a mesi di distanza dalla presentazione dei risultati, i dubbi su quanto sia realmente trasferibile nella pratica clinica il messaggio del trial, ovvero che una strategia di coronarografia e rivascolarizzazione non sia superiore alla sola terapia medica ottimizzata in pazienti con coronaropatia angiograficamente moderato/severa e un quadro clinico di stabilità. Risulta infatti difficile modificare la pratica estremamente diffusa di rivascolarizzare comunque, specie con angioplastica, il paziente con sintomi anginosi e/o ischemia lieve/moderata emersa ad un test provocativo, qualora il quadro angiografico lo consenta, indifferentemente dai possibili risultati ottenibili dalla terapia medica applicata secondo le Linee Guida. Analizzando i risultati dell’ISCHEMIA emerge, tuttavia, un quesito importante: i risultati sono trasferibili anche ai pazienti con scompenso cardiaco e/o disfunzione ventricolare sinistra? Non abbiamo, infatti, evidenze scientifiche se sia opportuno rivascolarizzare, in condizioni di stabilità clinica, il paziente con ischemia coronarica e disfunzione ventricolare sinistra di media gravità (FE tra 35% e 45%) e/o scompenso cardiaco in anamnesi (bisogna ricordare che i pazienti con FE< 35% venivano esclusi dall’arruolamento nello studio). Abbiamo infatti a disposizione i risultati, peraltro non ampiamente dimostrativi, solamente sull’utilità di rivascolarizzare i pazienti con disfunzione ventricolare sinistra severa (FE< 35%)[3]Velazquez EJ, Lee KL, Jones RH, Al-Khalidi HR, Hill JA, Panza JA, Michler RE, Bonow RO, Doenst T, Petrie MC, et al. STICHES Investigators. Coronary-artery bypass surgery in patients with ischemic … Continua a leggere. È un quesito che ci poniamo abbastanza di frequente nella pratica clinica, anche se i pazienti, in queste condizioni, nello studio ISCHEMIA erano solamente il 7.7% dei 5.179 della popolazione complessiva, il 52% dei quali aveva in anamnesi almeno un episodio di scompenso cardiaco. Per quanto sia il frutto di un’analisi prespecificata, l’evidenza nello studio ISCHEMIA di un outcome migliore, a distanza di più di 3 anni di follow-up mediano nei pazienti con FE tra 35% e 45%, della strategia invasiva (angioplastica o bypass aortocoronarico in aggiunta alla terapia medica) rispetto a quella conservativa (terapia medica ottimizzata) va valutato in modo critico. Infatti, l’effetto ottenuto non è risultato significativo se il paziente non aveva avuto episodi di scompenso e nel paziente con scompenso in presenza di frazione di eiezione conservata. L’efficacia della strategia inizialmente invasiva emerge in modo significativo solamente nell’esigua sottopopolazione di 28 pazienti con scompenso cardiaco e FE 35%-45% ma non negli asintomatici per scompenso con FE 35%- 45% e in coloro con scompenso cardiaco a frazione di eiezione conservata. Nelle conclusioni, gli Autori considerano, correttamente, questi dati utili quali generatori di ipotesi, da confermare in popolazioni numericamente più ampie. I risultati dello studio ISCHEMIA, in questo sottogruppo di pazienti, non sono forse così solidi per suggerire nella pratica clinica un approccio invasivo precoce a tutti i pazienti con scompenso cardiaco e/o disfunzione ventricolare almeno moderata.

Bibliografia

Bibliografia
1 Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. ISCHEMIA Research Group. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med. 2020;382:1395-1407.
2, 3 Velazquez EJ, Lee KL, Jones RH, Al-Khalidi HR, Hill JA, Panza JA, Michler RE, Bonow RO, Doenst T, Petrie MC, et al. STICHES Investigators. Coronary-artery bypass surgery in patients with ischemic cardiomyopathy. N Engl J Med. 2016;374:1511–1520. doi: 10.1056/NEJMoa1602001.

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