Dobbiamo somministrare il betabloccante nei pazienti con infarto miocardico non complicato da scompenso cardiaco sottoposti a rivascolarizzazione miocardica?

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Indice

Inquadramento

La prescrizione di betabloccante dopo un infarto miocardico in assenza di scompenso cardiaco è una prassi consolidata tra i cardiologi, supportata dalle Linee Guida, ma non presenta dati di evidenza solida a suo favore nei pazienti trattati con rivascolarizzazione miocardica sia percutanea che chirurgica. Gli studi osservazionali dai risultati contrastanti e un solo studio randomizzato, peraltro sottodimensionato, non permettono di esprimere un giudizio definitivo al riguardo.

Lo studio in esame

Gli Autori hanno incluso nell’analisi retrospettiva pazienti ricoverati per infarto miocardico e sottoposti a rivascolarizzazione miocardica tra il gennaio 2010 ed il dicembre 2015 utilizzando i dati inseriti nella banca dati del sistema sanitario nazionale coreano, escludendo i pazienti con pregresso scompenso cardiaco, infarto miocardico, intervento di rivascolarizzazione o che avessero avuto eventi durante il primo anno successivo all’evento indice (questa esclusione permette di eliminare gli eventi precoci verosimilmente dovuti alle diversità cliniche dei gruppi esaminati). L’endpoint primario era rappresentato dalla morte per ogni causa. La popolazione comprendeva 28.970 pazienti, di cui 22.707 (78%) avevano ricevuto terapia betabloccante per almeno un anno (mediana 1.146 giorni), mentre 6.263 (22%) per < 1 anno (mediana 72 giorni). Vi erano ampie differenze tra i due gruppi per quanto riguarda le variabili cliniche (i pazienti con betabloccante per < 1 anno avevano un profilo di rischio più elevato). La mortalità a un follow-up mediano di 3.5 anni risultava più elevata nei pazienti con betabloccante per < 1 anno sia nella popolazione globale sia in diversi sottogruppi clinici, anche aggiustando per una serie di variabili e per i farmaci assunti nel periodo di osservazione (Tabella). Il vantaggio offerto dalla terapia betabloccante persisteva nel tempo, essendo significativo nelle “landmark analyses” a partire dal secondo e dal terzo anno di follow-up.

Take home message

Gli Autori concludono che una terapia betabloccante di almeno 1 anno riduce la mortalità, per ogni causa, nei pazienti con infarto miocardico non complicato da scompenso cardiaco sottoposti a rivascolarizzazione miocardica.

Commento

L’argomento è di grande valore pratico, vista la mancanza di dati robusti della letteratura per la prescrizione di betabloccanti in pazienti con infarto trattati con rivascolarizzazione miocardica. I punti di forza dello studio sono l’ampia casistica che ha permesso anche analisi di confronto stratificate nel tempo. I risultati, tuttavia, non appaiono del tutto convincenti. Mancano nel database alcune variabili importanti dal punto di vista prognostico (frazione di eiezione, estensione della coronaropatia, completezza della rivascolarizzazione, analisi della fragilità nel paziente anziano per citarne alcune). Esiste ovviamente un bias di fondo della somministrazione della terapia beta[1]bloccante che non veniva somministrata in circa un paziente su cinque. In effetti, i dati del lavoro in esame mostrano chiaramente che i pazienti più complessi non ricevevano il farmaco. Interessanti i risultati espressi nella Tabella: sembrerebbe che la terapia beta[1]bloccante dia risultati migliori nei pazienti anziani, negli ipertesi e quando vi siano poche comorbilità. L’interazione non risulta significativa per nessuno dei sottogruppi considerati nonostante siano evidenti ampie differenze negli hazard ratio e nei rispettivi intervalli di confidenza. Per dissolvere questa area grigia di conoscenza medica dovremo attendere i risultati di trial randomizzati, come lo studio norvegese BETAMI che globalmente arruolerà circa 10.000 pazienti e sarà completato entro la fine del 2023, mentre lo studio REBOOT, che dovrebbe arruolare circa 8.500 pazienti dovrebbe essere completato entro il 2022.

L’opinione di Pierfranco Terrosu

Già Direttore UOC di Cardiologia e Dipartimento Cuore – Ospedale SS. Annunziata, Sassari

I dati sui beta-bloccanti (BB) a lungo termine dopo un infarto miocardico restano ancora conflittuali:

1) le evidenze sulla riduzione di mortalità sono datate, in gran parte precedenti l’avvento della moderna terapia riperfusiva e di prevenzione secondaria (statine etc.);

2) i benefici dei BB sono principalmente legati ai primi 12 mesi del post-infarto quando il rischio è massimo. Esiste un consenso sull’indicazione al BB nell’infarto STEMI con frazione di eiezione (FE) depressa (classe IA nelle Linee Guida ESC), ma nessun trial randomizzato nell’era post-riperfusiva ha dimostrato un miglioramento della mortalità quando la FE è conservata.

In questo contesto, i dati di Kim e coll. sono in controtendenza rispetto al REACH-Registry[1]Bangalore S, Steg G, Deedwania P, Crowley K, Eagle KA, Goto S, Ohman EM, Cannon CP, Smith SC, Zeymer U, Hoffman EB, Messerli FH, Bhatt DL. β-Blocker use and clinical outcomes in stable outpatients … Continua a leggere e alle analisi “post-hoc” del FAST-MI[2]Puymirat E, Riant E, Aissaoui N, et al. β-blockers and mortality after myocardial infarction in patients without heart failure: multicentre prospective cohort study [published correction appears in … Continua a leggere o del CHARISMA[3]Bangalore S, Bhatt DL, Steg PG, et al. β-blockers and cardiovascular events in patients with and without myocardial infarction: post hoc analysis from the CHARISMA trial. Circ Cardiovasc Qual … Continua a leggere che non avevano dimostrato nessuna differenza tra pazienti trattati o non trattati con BB a lungo termine. Le ragioni di queste discrepanze non sono chiare. Lo studio di Kim e coll. prende in esame popolazioni a rischio differente (e l’analisi di propensity score non garantisce una correzione perfetta). Inoltre, non è noto il tipo di infarto. Escludere, poi, i pazienti con insufficienza cardiaca, non equivale a escludere i casi con FE depressa: pertanto, nella popolazione presa in esame da Kim e coll. (di cui non si conosce la FE) è possibile che siano stati arruolati pazienti eterogenei, in parte con FE depressa (in cui i BB hanno un sicuro vantaggio). Le moderne terapie riperfusive o di prevenzione secondaria hanno grandemente ridotto il livello di rischio del post-infarto, limitando di fatto l’utilità dell’uso sistematico del BB. La questione non differisce dalla problematica della doppia anti-aggregazione piastrinica prolungata o del rivaroxaban a bassa dose, che hanno migliorato la prognosi oltre i 12 mesi solo nei sottogruppi ad alta probabilità di eventi. Teoricamente il massimo rischio si verifica in tre condizioni:
a) periodo precoce di massima instabilità (entro i 12 mesi);
b) FE depressa;
c) FE conservata ad alto rischio ischemico (comorbidità, malattia coronarica estesa e/o aterosclerosi periferica).
È ragionevole ipotizzare che il vantaggio dei BB sia proporzionale al rischio e quindi limitato ad alcune categorie (nello studio di Kim sembrerebbe che anziani e ipertesi abbiano un particolare beneficio). In ogni caso, il lavoro di Kim e coll. riporta alla ribalta il BB nella generalità dello STEMI senza insufficienza cardiaca. Saranno, peraltro, necessari ulteriori studi per chiarire due punti:
1) se e in quali casi sia indicato il BB nello STEMI con FE conservata;
2) quanto a lungo debba essere proseguita la terapia.

Bibliografia

Bibliografia
1 Bangalore S, Steg G, Deedwania P, Crowley K, Eagle KA, Goto S, Ohman EM, Cannon CP, Smith SC, Zeymer U, Hoffman EB, Messerli FH, Bhatt DL. β-Blocker use and clinical outcomes in stable outpatients with and without coronary artery disease. JAMA 2012;308:1340-1349.
2 Puymirat E, Riant E, Aissaoui N, et al. β-blockers and mortality after myocardial infarction in patients without heart failure: multicentre prospective cohort study [published correction appears in BMJ. 2016 Oct 17;355:i5602]. BMJ. 2016;354:i4801. doi:10.1136/bmj.i4801.
3 Bangalore S, Bhatt DL, Steg PG, et al. β-blockers and cardiovascular events in patients with and without myocardial infarction: post hoc analysis from the CHARISMA trial. Circ Cardiovasc Qual Outcomes. 2014;7(6):872-881. doi:10.1161/ CIRCOUTCOMES.114.001073

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