Inquadramento
L’efficacia di alirocumab, un inibitore del PCSK9, nel ridurre il colesterolo LDL e gli eventi ischemici, inclusa la mortalità globale, è stata dimostrata nello studio ODYSSEY OUTCOMES (vedi Journal Map n. 5) in pazienti con anamnesi positiva per sindrome coronarica acuta (ACS)[1]Schwartz GG, Steg PG, Szarek M, et al. Alirocumab and Cardiovascular Outcomes After Acute Coronary Syndrome. N Engl J Med 2018;379:2097-2107.. Non è noto, tuttavia, se questi effetti terapeutici favorevoli si esplichino anche attraverso una modificazione della composizione delle placche coronariche, rese meno “vulnerabili” dall’utilizzo di questi farmaci.
Lo studio in esame
Lo studio PACMAN-AMI ha randomizzato in 9 centri europei 300 pazienti (età media 58.5 anni) con infarto miocardico acuto (STEMI nel 53% dei casi) trattati con angioplastica (PCI) della “culprit lesion” a una terapia (iniziata entro 24 ore adall’evento acuto e protratta per 52 settimane) con rosuvastatina 20 mg associata ad alirocumab 150 mg s.c. due volte al mese (gruppo alirocumab n=148), oppure con rosuvastatina e placebo s.c. (gruppo placebo n=152). Tutti i pazienti sono stati sottoposti in fase acuta, a 52 settimane, a uno studio invasivo di imaging intra-coronarico multiparametrico di due stenosi non “culprit” che riducevano il lume all’angiografia tra il 20% e il 50% (imaging che comprendeva una valutazione IVUS per la determinazione del volume di placca; uno studio con “near-infrared spectroscopy – NIRS – per la misurazione del contenuto lipidico della placca; una analisi OCT per la quantizzazione dello spessore del cap fibroso). A 52 settimane il valore medio di colesterolo LDL risultava più basso nel gruppo alirocumab (23.6 mg/dL versus 74.4 mg/dL nel gruppo placebo, p<.001). L’outcome primario (riduzione del volume di placca all’IVUS) risultava del 2.13% nel gruppo alirocumab vs 0.92% nel gruppo controllo (differenza −1.21%, 95% CI: −1.78% −0.65%, p<.001). Anche gli altri parametri indicavano una maggior regressione e stabilizzazione di placca con alirocumab rispetto a placebo (vedi Tabella).
Take home message
In pazienti con infarto acuto sottoposti a PCI, un trattamento precoce con alirocumab, associato a rosuvastatina 20 mg e protratto per 52 settimane produce una maggior regressione e stabilizzazione di placche “non-culprit” non critiche rispetto a placebo associato a rosuvastatina 20 mg.
Interpretazione dei dati
Gli Autori nella Discussione sottolineano come questo studio rappresenti la più ampia casistica con dati sul core lipidico della placca studiato con tecnica NIRS. Lo studio PROSPECT II (vedi Journal Map n. 36) ha mostrato come la presenza di placche non critiche con alto contenuto lipidico siano correlate a un rischio elevato di eventi futuri [2]Erlinge D, Maehara A, Ben-Yehuda O, et al; PROSPECT II Investigators. Identification of vulnerable plaques and patients by intracoronary near-infrared spectroscopy and ultrasound (PROSPECT II): a … Continua a leggere. Infatti una larga componente lipidica, in particolare se associata a un volume di placca >70% e a un cap fibroso sottile sono caratteristiche essenziali delle placche predisposte alla rottura. I dati di questo studio differiscono da quelli di un sotto-studio del trial GLAGOV [3]Nicholls SJ, Puri R, Anderson T, et al. Effect of evolocumab on coronary plaque composition. J Am Coll Cardiol.2018;72(17):2012-2021. doi:10.1016/j.jacc.2018.06.078., nel quale non si dimostrava alcun effetto di alirocumab sulla morfologia della placca, verosimilmente per l’utilizzo di una tecnica meno sensibile nell’individuare le componenti della placca, quale la “IVUS virtual histology”. Tra le limitazioni del presente lavoro gli Autori citano un valore basale numericamente più elevato di volume di placca nel gruppo placebo rispetto a quello alirocumab: tuttavia, poichè la regressione di placca appare più evidente in quelle di maggiore volume, questo squilibrio potrebbe aver comportato più una sottostima che una sovrastima dell’effetto di alirocumab sulla regressione del volume di placca.
L’opinione di Enrico Romagnoli e Rocco Vergallo
Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli, IRCCS
Negli ultimi anni gli studi di prevenzione cardiovascolare si sono focalizzati sull’importanza del controllo dei valori di colesterolo nel ridurre il rischio di eventi cardiovascolari maggiori. I target da raggiungere sia in prevenzione primaria, cioè in pazienti senza pregressi eventi ischemici, sia in prevenzione secondaria si sono progressivamente abbassati sulla base di crescenti evidenze cliniche. Diversi trial hanno infatti dimostrato come i benefici in termini mortalità e morbilità cardiovascolare siano proporzionali alla riduzione dei valori di C-LDL [4]Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. Group ESD. 2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: The Task Force for the management of … Continua a leggere[5]Nicholls SJ, Puri R, Anderson T, et al. Effect of Evolocumab on Progression of Coronary Disease in Statin-Treated Patients: The GLAGOV Randomized Clinical Trial. JAMA 2016;316(22):2373-2384.. La diffusione della TC coronarica come test di screening non invasivo ha inoltre evidenziato come a parità di malattia aterosclerotica, in termini di severità delle placche ateromasiche e di distretti vascolari coinvolti, la composizione qualitativa delle placche stesse sia un elemento dirimente per stratificare [6]Ferraro RA, van Rosendael AR, Lu Y, et al. Non-obstructive high-risk plaques increase the risk of future culprit lesions comparable to obstructive plaques without high-risk features: the ICONIC … Continua a leggere in maniera più accurata il rischio cardiovascolare individuale. La questione che rimane da definire è se questa lotta serrata al colesterolo, in particolare al C-LDL, sia effettivamente in grado di modificare l’evoluzione della malattia aterosclerotica. Lo studio PACMAN-AMI è stato concepito proprio per rispondere a questa domanda. Utilizzando tutte le metodiche di imaging intravascolare attualmente disponibili è stato valutato l’effetto sulle placche “non-culprit” dei pazienti con sindrome coronarica acuta di due diversi regimi ipolipemizzanti: uno standard basato su statine ad alto dosaggio e uno più intensivo comprendente anche l’inibitore PCSK9 alirocumab. Il confronto è stato basato sui parametri di ecografia intravascolare (IVUS), spettroscopia a infrarossi (NIRS) e tomografia a coerenza ottica (OCT), comunemente utilizzati per identificare “in vivo” le placche vulnerabili: volume della placca, quantità della componente lipidica, spessore del cappuccio fibroso e presenza di cellule infiammatorie [7]Prati F, Romagnoli E, Gatto L, La Manna A, Burzotta F, Ozaki Y, Marco V, Boi A, Fineschi M, Fabbiocchi F, Taglieri N, Niccoli G, Trani C, Versaci F, Calligaris G, Ruscica G, Di Giorgio A, Vergallo R, … Continua a leggere[8]Waksman R, Di Mario C, Torguson R, et al. Identification of patients and plaques vulnerable to future coronary events with near-infrared spectroscopy intravascular ultrasound imaging: a prospective, … Continua a leggere. Dopo un anno di trattamento l’aggiunta degli inibitori PCSK9 si è dimostrata più efficace non solo nel ridurre i valori di C-LDL, ma anche nel determinare un cambiamento fenotipico favorevole delle placche coronariche aterosclerotiche. Dopo 52 settimane, infatti, i pazienti trattati con alirocumab e statine ad alta intensità hanno mostrato una maggiore riduzione del volume percentuale di placca, della componente lipidica/infiammatoria delle placche e un incremento del cappuccio fibroso di placca. Un cambiamento risultato più evidente nei pazienti che raggiungevano livelli di C-LDL più bassi (i.e. C-LDL <50 mg/dL). In realtà la riduzione del volume percentuale di placca è risultata numericamente limitata con una differenza tra i due trattamenti di -1.21% a favore del trattamento combinato con alirocumab e statine. Questo dato è sostanzialmente in linea con i risultati del trial GLAGOV [9]Nicholls SJ, Puri R, Anderson T, et al. Effect of Evolocumab on Progression of Coronary Disease in Statin-Treated Patients: The GLAGOV Randomized Clinical Trial. JAMA 2016;316(22):2373-2384. e suggerisce un effetto più qualitativo che quantitativo della terapia ipolipemizzante. In altre parole, almeno a medio termine, la maggiore riduzione dei valori di C-LDL ottenuta con l’aggiunta di alirocumab alle statine, ha più un effetto di modulazione della placca, riducendone gli elementi di instabilità, che di regressione. In ogni caso, si tratta di un effetto sostanziale che costituisce, di fatto, il presupposto fisiopatologico per un abbassamento rapido e intensivo dei valori di C-LDL nei pazienti con sindrome coronarica acuta. Anche perché tale modulazione sembra essere sicura, con tassi di eventi avversi seri simili tra i due gruppi di trattamento (32.0% vs 33.1%), ed efficace nel ridurre il rischio di nuove rivascolarizzazioni coronariche (8.2% vs 18.5%). Da notare è anche il fatto che i pazienti per essere arruolati nello studio dovessero avere valori di C-LDL >125 mg/dL (3,2 mmol/L) se naïve alle statine o >70mg/dL (1,8 mmol/L) se già in trattamento con statine. In pratica sono stati quindi selezionati pazienti con più bassa probabilità di raggiungere i target C-LDL raccomandati dalle Linee Guida rappresentativi, comunque, di una grossa percentuale (stimata intorno al 60%) di pazienti con sindrome coronarica acuta [10]Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. Group ESD. 2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: The Task Force for the management of … Continua a leggere[11]Ray KK, Molemans B, Schoonen WM, et al.; DA VINCI study. EU-Wide Cross-Sectional Observational Study of Lipid-Modifying Therapy Use in Secondary and Primary Care: the DA VINCI study. Eur J Prev … Continua a leggere.
D’altra parte lo studio PACMAN-AMI sembra confermare la mancanza di effetto degli inibitori PCSK9 sui marcatori sistemici di infiammazione (i.e. proteina C reattiva ad alta sensibilità). Questo aspetto, già emerso in altri trial, costituisce un importante elemento di differenza con le statine per le quali è stato invece documentato un effetto congiunto su valori di C-LDL e gli indici sistemici di infiammazione; elemento che sembrerebbe avvalorare un utilizzo integrativo e non sostitutivo degli inibitori PCSK9 rispetto alla terapia con statine. In conclusione, i risultati dello studio PACMANAMI sostengono l’utilizzo su più ampia scala degli inibitori PCSK9 nei pazienti con sindrome coronarica acuta, al fine di incidere maggiormente sull’evoluzione della malattia aterosclerotica coronarica. Lo studio PACMANAMI sottolinea, inoltre, come la valutazione della composizione della placca aterosclerotica debba essere al centro della moderna cardiologia di prevenzione. Resta solo da definire se quanto osservato a livello coronarico sia applicabile anche agli altri distretti vascolari, e quale sia la metodica di imaging migliore (invasiva o non invasiva) per la stratificazione iniziale del rischio legato alla malattia aterosclerotica e per la valutazione nel tempo dell’efficacia della terapia ipolipemizzante attuata.
Bibliografia[+]
↑1 | Schwartz GG, Steg PG, Szarek M, et al. Alirocumab and Cardiovascular Outcomes After Acute Coronary Syndrome. N Engl J Med 2018;379:2097-2107. |
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↑2 | Erlinge D, Maehara A, Ben-Yehuda O, et al; PROSPECT II Investigators. Identification of vulnerable plaques and patients by intracoronary near-infrared spectroscopy and ultrasound (PROSPECT II): a prospective natural history study. Lancet. 2021;397(10278):985-995. doi:10.1016/S0140-6736(21)00249-X. |
↑3 | Nicholls SJ, Puri R, Anderson T, et al. Effect of evolocumab on coronary plaque composition. J Am Coll Cardiol.2018;72(17):2012-2021. doi:10.1016/j.jacc.2018.06.078. |
↑4, ↑10 | Mach F, Baigent C, Catapano AL, et al. Group ESD. 2019 ESC/EAS Guidelines for the management of dyslipidaemias: lipid modification to reduce cardiovascular risk: The Task Force for the management of dyslipidaemias of the European Society of Cardiology (ESC) and European Atherosclerosis Society (EAS). European Heart Journal 2019;41(1):111-188. |
↑5, ↑9 | Nicholls SJ, Puri R, Anderson T, et al. Effect of Evolocumab on Progression of Coronary Disease in Statin-Treated Patients: The GLAGOV Randomized Clinical Trial. JAMA 2016;316(22):2373-2384. |
↑6 | Ferraro RA, van Rosendael AR, Lu Y, et al. Non-obstructive high-risk plaques increase the risk of future culprit lesions comparable to obstructive plaques without high-risk features: the ICONIC study. Eur Heart J Cardiovasc Imaging. 2020 Sep 1;21(9):973-98. |
↑7 | Prati F, Romagnoli E, Gatto L, La Manna A, Burzotta F, Ozaki Y, Marco V, Boi A, Fineschi M, Fabbiocchi F, Taglieri N, Niccoli G, Trani C, Versaci F, Calligaris G, Ruscica G, Di Giorgio A, Vergallo R, Albertucci M, Biondi-Zoccai G, Tamburino C, Crea F, Alfonso F, Arbustini E. Relationship between coronary plaque morphology of the left anterior descending artery and 12 months clinical outcome: the CLIMA study. Eur Heart J 2020;41(3):383-391. |
↑8 | Waksman R, Di Mario C, Torguson R, et al. Identification of patients and plaques vulnerable to future coronary events with near-infrared spectroscopy intravascular ultrasound imaging: a prospective, cohort study. Lancet 2019;394(10209):1629-1637. |
↑11 | Ray KK, Molemans B, Schoonen WM, et al.; DA VINCI study. EU-Wide Cross-Sectional Observational Study of Lipid-Modifying Therapy Use in Secondary and Primary Care: the DA VINCI study. Eur J Prev Cardiol. 2021 Sep 20; 28(11):1279-1289. |
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