Electrical storm treatment by percutaneous stellate ganglion block: the STAR study

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Abstract

Background and aims: An electrical storm (ES) is a clinical emergency with a paucity of established treatment options. Despite initial encouraging reports about the safety and effectiveness of percutaneous stellate ganglion block (PSGB), many questions remained unsettled and evidence from a prospective multicentre study was still lacking. For these purposes, the STAR study was designed.

Methods: This is a multicentre observational study enrolling patients suffering from an ES refractory to standard treatment from 1 July 2017 to 30 June 2023. The primary outcome was the reduction of treated arrhythmic events by at least 50% comparing the 12 h following PSGB with the 12 h before the procedure. STAR operators were specifically trained to both the anterior anatomical and the lateral ultrasoundguided approach.

Results: A total of 131 patients from 19 centres were enrolled and underwent 184 PSGBs. Patients were mainly male (83.2%) with a median age of 68 (63.8-69.2) years and a depressed left ventricular ejection fraction (25.0 ± 12.3%). The primary outcome was reached in 92% of patients, and the median reduction of arrhythmic episodes between 12 h before and after PSGB was 100% (interquartile range -100% to -92.3%). Arrhythmic episodes requiring treatment were significantly reduced comparing 12 h before the first PSGB with 12 h after the last procedure [six (3-15.8) vs 0 (0-1), P<.0001] and comparing 1 h before with 1 h after each procedure [2 (0-6) vs 0 (0-0), P<.001]. One major complication occurred (0.5%).

Conclusions: The findings of this large, prospective, multicentre study provide evidence in favour of the effectiveness and safety of PSGB for the treatment of refractory ES.

Intervista a: Simone Savastano

  • Divisione di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

Dottor Savastano, ci può illustrare i dati salienti dello studio? Si tratta della casistica multicentrica più ampia sino a ora pubblicata. Sono stati, infatti, trattati 131 pazienti in 19 centri italiani sottoposti a un totale di 184 procedure. Avere creato una rete Italiana come questa è il primo grande risultato. Tanti colleghi e colleghe sono venuti al Policlinico San Matteo di Pavia per seguire i nostri corsi e imparare questa tecnica, e poi hanno accettato di contribuire a questo progetto ambizioso. Stando alla letteratura, a oggi possiamo dire che l’Italia è il paese con la maggiore esperienza su questo argomento. Venendo ai risultati scientifici l’outcome primario di questo lavoro era una riduzione di almeno il 50% a 12 ore del numero di ATP e shock nei pazienti con storm aritmico refrattario. Ebbene, tale risultato è stato raggiunto nel 92% dei pazienti. In particolare, la percentuale mediana di riduzione delle aritmie è stata del 100% con un range interquatile che andava da – 100% a – 92.3%. Ciò significa che nella metà dei pazienti la soppressione è stata completa e che tre quarti dei pazienti hanno una riduzione di almeno il 92%. Un risultato eccezionale soprattutto se lo si rapporta all’esiguità delle complicanze maggiori riportate: solo una, pari allo 0.5%, peraltro gestita senza problemi per il paziente e dovuta dall’assorbimento sistemico dell’anestetico. Abbiamo poi fatto una serie di sottoanalisi cercando di rispondere a quesiti che sino a ora erano rimasti irrisolti. Oltre a confermarne la strepitosa efficacia, abbiamo anche contribuito a delineare più accuratamente il profilo di questa procedura che può davvero aiutare a risolvere una situazione drammatica come uno storm aritmico. Tra le sottoanalisi ne cito una ossia il confronto tra i centri ad alto volume di arruolamento e i centri a basso volume. Tale analisi ha dimostrato che la tecnica è stata significativamente efficace sia nei centri ad alto che in quelli a basso volume, indicando come la curva di apprendimento sia breve e che un corso di un giorno è sufficiente a impararla.

L’approccio può essere anatomico diretto oppure con guida ecografica. Quando affidarsi al primo o al secondo metodo? I risultati sono gli stessi? Durante i corsi di addestramento abbiamo insegnato agli operatori i due approcci: quello anteriore per reperi anatomici e quello laterale eco-guidato. Questo per permettere loro di saper eseguire due tecniche e per poter confrontarne l’efficacia. Gli studi riportati in letteratura, sino a ora, erano eterogenei in termini di tecnica e approccio e non era mai stato fatto un confronto. Nello studio STAR gli operatori erano liberi di utilizzare la tecnica che preferivano e che ritenevano più adatta al singolo caso. È emerso che l’approccio anatomico, più rapido e che richiede minor attrezzatura, è stato preferito per i casi più critici ossia quelli con più aritmie, con aritmie più rapide o in arresto cardiaco. Le analisi hanno permesso di dimostrare come entrambe le tecniche siano efficaci nel ridurre il numero di ATP e shock nell’ora successiva ogni procedura. Il confronto diretto ha mostrato una superiorità dell’approccio anatomico favorito dal fatto che i pazienti trattati con questo approccio avevano più aritmie nell’ora precedente al blocco, le aritmie erano più spesso fibrillazione ventricolare o tachicardie ventricolari rapide, tutte condizioni che si associano a una maggiore efficacia della procedura. Queste due tecniche differiscono anche per il tipo di complicanze. Le poche complicanze registrate sono state osservate maggiormente nel gruppo eco e in particolare l’anestesia del plesso brachiale. Ciò trova una riposta nel fatto che l’approccio laterale comporta un rilascio di anestetico più in prossimità del plesso brachiale.

Un altro aspetto metodologico dello studio riguarda le modalità di blocco del ganglio stellato, utilizzando un solo bolo oppure l’infusione continua. Probabilmente questa seconda opzione può permettere una azione antiaritmica più prolungata e ridurre la necessità di un secondo intervento. Tuttavia quanto può durare un’infusione continua? Gli operatori erano liberi di scegliere se eseguire un semplice bolo oppure un bolo seguito dall’infusione. L’infusione continua, garantendo una maggiore durata di azione, è indicata in quei casi in cui lo storm aritmico sia scatenato da cause che richiedano tempo per la loro risoluzione; penso, ad esempio, a uno shock settico, o semplicemente un’infezione, o a una crisi tireotossica. L’infusione si può anche considerare per quei pazienti con recidive aritmiche separate da un intervallo libero maggiore dell’effetto anestetico del farmaco impiegato. L’infusione può durare anche giorni senza che al paziente accada nulla. La nostra prima infusione continua, pubblicata su Europace nel 2020, era stata eseguita su un paziente intubato. In questo caso non avremmo avuto rischi di compromissione delle vie aree data dal possibile accumulo di liquido anestetico nel collo. Tuttavia, dopo giorni di infusione, il collo non mostrava il benchè minimo segno di gonfiore. Sulla scorta di questa rassicurante esperienza abbiamo poi deciso di eseguirla anche su pazienti svegli confermandone la fattibilità anche per più di sette giorni in assenza di dolore o di altre complicanze significative.

Un aspetto che discutete, commentando i vostri dati, è la comparsa di anisocoria in conseguenza della procedura. È un segno di efficace blocco del ganglio stellato? La comparsa di anisocoria è stata storicamente utilizzata come marcatore di avvenuto blocco. Ciò è dato dal blocco delle fibre simpatiche oculari omolaterali al blocco. Noi abbiamo sempre ricercato con attenzione la comparsa di questo marcatore, ma ci siamo resi conto dopo i primi casi che la sua comparsa non si associava all’efficacia antiaritmica. Vi erano, infatti, casi in cui le aritmie si sopprimevano senza che comparisse l’anisocoria. I dati dello studio STAR hanno confermato questa osservazione ossia che l’effetto antiaritmico è significativo ed è simile, indipendentemente che compaia o meno l’anisocoria. La spiegazione di ciò probabilmente è duplice. Da un lato possiamo dire che il farmaco anestetico può interferire con le fibre cardiache senza interferire con le fibre oculari e viceversa. A noi, ovviamente, interessa bloccare le fibre cardiache e ciò può avvenire anche senza interferire con quelle oculari. L’altra spiegazione può risiedere nel fatto che, una volta iniettato, l’anestetico si diffonde nel collo seguendo diverse vie. Una di queste è la diffusione controlaterale retroesofagea. Infatti molti anni fa è stato descritto come l’anestetico possa arrivare nella parte controlaterale del collo passando dietro l’esofago. In questo caso un effetto, involontario, bilaterale può mascherare la comparsa di anisocoria. L’indicazione che diamo ai nostri corsi è dunque quella di ricercare comunque la comparsa di anisocoria, non tanto con lo scopo di prevedere l’effetto antiaritmico quanto per poter avere l’informazione della durata dell’azione. Qualora comparisse l’anisocoria durerà per il tempo di effetto anestetico. In caso di recidive a distanza di ore ci potrà servire per capire se sono avvenute in corso di effetto anestetico oppure per fine dell’effetto.

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