Gli ace inibitori e i sartani possono aumentare il rischio di contrarre COVID-19?

Indice

Inquadramento

I farmaci inibitori dell’enzima di conversione (ACE-inibitori) e gli inibitori diretti dell’angiotensina II (sartani) sono largamente usati nel trattamento dell’ipertensione arteriosa, dello scompenso cardiaco congestizio e delle complicanze del diabete mellito. Poichè questi farmaci possono indurre un aumento dei recettori ACE2, che sono la ‘porta’ attraverso la quale il coronavirus SARS-CoV-2 entra nelle cellule, all’inizio dell’attuale pandemia da COVID-19 si era diffuso il timore che i pazienti in trattamento con questi farmaci potessero avere un aumento del rischio di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2, ovvero di presentare quadri più gravi di malattia, a seguito del supposto aumento delle porte di ingresso del virus. Come si è detto, il SARS-CoV-2 entra nelle cellule del nostro corpo attraverso i recettori ACE2, che sono recettori pressochè ubiquitari (isolati sulla mucosa orale, nasale, nasofaringe, polmoni, stomaco, intestino tenue, colon, linfonodi, timo, midollo osseo, milza, fegato, reni e cervello, vasi, cuore). Oltre l’80% delle cellule che esprimono ACE2 sono tuttavia pneumociti di tipo 2, cellule cilindriche che rivestono gli alveoli ma che occupano solo il 5% della superficie alveolare. Gli pneumociti di tipo 2 sono in grado di ‘rigenerare’ gli pneumociti di tipo 1 (che occupano il 90% della superficie alveolare) e di produrre il surfattante (fosfolipoproteina che facilita gli scambi gassosi). Il recettore ACE2 è altamente espresso anche sul versante luminale dell’epitelio intestinale, fungendo da corecettore per l’assorbimento di amminoacidi. Sulla base di queste considerazioni, all’inizio dell’attuale pandemia, molti pazienti hanno volontariamente interrotto il trattamento con ACE-inibitori e sartani. Si tratta di una scelta potenzialmente assai pericolosa poichè vari studi hanno dimostrato che la sospensione di questi farmaci può indurre varie complicanze anche letali, soprattutto in pazienti con scompenso cardiaco o diabete.

Lo studio in esame

È stata eseguita un’analisi del database Sanitario della Regione Lombardia, ristretta ai soggetti di età pari o superiore ai 40 anni e beneficiari del Sistema Sanitario Pubblico. Si tratta, nel complesso, di un numero enorme di soggetti (circa 6 milioni di individui, pari al 17% dell’intera popolazione italiana). Ovviamente, i dati sono stati previamente de-identificati ed estratti secondo un protocollo predefinito e approvato dall’Autorità Sanitaria. Sono stati isolati 6.272 soggetti con diagnosi accertata di COVID-19. Questi soggetti sono stati appaiati con 30.759 soggetti senza diagnosi di COVID-19 estratti con criteri random dalla popolazione generale e omogenei per età, sesso e Comune di residenza con i soggetti positivi al COVID-19. In entrambi i gruppi, sono state estratte dal database Sanitario Regionale alcune variabili importanti, tra le quali l’anamnesi per pregresse malattie cardiovascolari, neoplastiche, renali, etc. Ovviamente, erano presenti anche i dati relativi al trattamento farmacologico in atto: ACE-inibitori, sartani, calcio-antagonisti, diuretici, beta-bloccanti, ma anche digitale, nitrati, steroidi, farmaci anti-infiammatori non steroidei, etc. Purtroppo, il database Sanitario Regionale non disponeva di dati analizzabili relativi all’anno solare 2020. Pertanto, tutte le prescrizioni farmacologiche analizzate nel lavoro si riferiscono all’anno 2019. Inoltre, allo scopo di analizzare le relazioni tra prescrizioni di farmaci e gravità della malattia, sono stati esaminati solo i pazienti con manifestazioni critiche e letali di COVID-19. Come si vede in Figura 1, i pazienti con diagnosi di COVID-19 presentavano una maggiore prevalenza di malattie cardiovascolari e renali rispetto ai soggetti senza diagnosi di COVID-19, nonostante fossero omogenei per età, sesso e municipalità.

A seguito di tale maggiore prevalenza di comorbidità, anche la prevalenza di trattamenti farmacologici con ACE-inibitori e sartani era maggiore nei pazienti con diagnosi di COVID-19 rispetto ai pazienti senza tale diagnosi. Non solo, anche altre categorie di farmaci (antidiabetici orali, insulina, digitale, diuretici dell’ansa e non dell’ansa, anticoagulanti, etc.) erano maggiormente prevalenti tra i pazienti con diagnosi di COVID-19. La figura 2 mostra la prevalenza di farmaci ACE-inibitori e sartani nei due gruppi.

Take home message

Un’analisi multivariata per capire se la maggiore prevalenza di ACE-inibitori e sartani, nei pazienti con COVID-19, fosse legata alla maggiore prevalenza di patologie concomitanti inducenti un trattamento con questi farmaci non ha riscontrato alcuna associazione indipendente tra ACE-inibitori, o sartani, e COVID-19.

Prospettive future

Come interpretare questi dati? Gli Autori concludono che ‘there was no evidence that ACE inhibitors or ARBs affected the risk of COVID-19’. Effettivamente, la maggiore frequenza di trattamento con questi farmaci tra i pazienti con COVID-19, rispetto a quelli senza, appare legata al fatto che questi pazienti soffrissero già di condizioni cliniche (cardiopatia ischemica, diabete, nefropatie) in grado di aumentare la possibilità di trattamento con questi farmaci. Inoltre, come riconosciuto dagli Autori nella Discussione, lo studio soffre di altre limitazioni che includono il non controllo dell’aderenza al trattamento da parte dei pazienti e della dose somministrata, il non controllo dei farmaci eventualmente acquistati direttamente dai pazienti (cioè, non dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale), la possibilità che questi farmaci fossero stati selettivamente prescritti in maggior misura ai pazienti che poi hanno sviluppato forme meno severe di COVID-19, l’etnia essenzialmente caucasica dei pazienti ed eventuali altri fattori confondenti non misurabili. Un’ulteriore osservazione potrebbe riguardare il disegno generale dello studio. Lo studio voleva specificamente indagare (come detto anche nel titolo) l’eventuale associazione tra trattamento con ACE-inibitori, o sartani, e COVID-19, non viceversa. Può sembrare un dettaglio semantico e metodologico. Tuttavia, i due gruppi a confronto, omogenei per età, sesso e municipalità sono stati scelti tra soggetti con e senza diagnosi di COVID-19, e non tra soggetti con e senza trattamento attuale con ACE-inibitori o sartani. Pertanto, il disegno dello studio permetteva di valutare l’associazione tra COVID-19 e frequenza di trattamento con ACE-inibitori o sartani, non ’associazione tra trattamento con ACE inibitori o sartani e la successiva insorgenza di COVID-19, che poi è stata presentata come la conclusione principale dello studio. I due gruppi a confronto (ossia, pazienti trattati o non trattati con ACE-inibitori o sartani) avrebbero dovuto essere appaiati non solo per età e sesso, ma anche per comorbidità in grado di influenzare il trattamento con questo tipo di farmaci. In alternativa, i due gruppi avrebbero potuto essere selezionati mediante tecniche di ‘propensity score matching’ o similari. In conclusione, questo importante studio conferma che i pazienti con diagnosi di COVID-19 sono affetti da malattie cardiovascolari e renali in misura maggiore rispetto ai pazienti senza COVID-19, e che la maggiore frequenza di trattamento con ACE-inibitori e sartani in questi pazienti è conseguenza di tali comorbidità. Si tratta di una conclusione importante, confermata da altri studi pubblicati nel corso dello scorso anno. Addirittura, uno studio eseguito su 1.128 pazienti ipertesi ospedalizzati per COVID-19[1]Zhang P, Zhu L, Cai J, et al. Association of Inpatient Use of Angiotensin Converting Enzyme Inhibitors and Angiotensin II Receptor Blockers with Mortality Among Patients With Hypertension … Continua a leggere ha mostrato una mortalità più bassa nei pazienti in trattamento con ACE-inibitori o sartani (3.7% vs. 9.8%; p=0.01), differenza significativa anche dopo aggiustamento per vari fattori confondenti.[2] Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299. Pertanto, allo stato attuale delle conoscenze non c’è alcuna ragione per pensare che ACE inibitori o sartani possano aumentare il rischio di contrarre COVID-19.

L’opinione di Fabio Angeli

Dipartimento di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese; Dipartimento di Medicina e Riabilitazione Cardiopolmonare, IRCCS Maugeri, Tradate, Varese

Fin dall’inizio della pandemia da COVID-19 sono state sollevate alcune ipotesi su un eventuale aumento del rischio di infezione da SARS-CoV-2 in pazienti trattati con bloccanti del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori e sartani). I presupposti derivavano da alcuni studi che suggerivano: (i) un incremento dei livelli di recettori ACE2 tra i soggetti trattati con questi farmaci; (ii) un decorso clinico più sfavorevole nei pazienti con storia di precedenti eventi cardiovascolari, ipertensione e diabete che, notoriamente, ricevono più spesso di altri un trattamento con queste classi farmacologiche[3]Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299. I recettori ACE2, scoperti nell’anno 2000, sono glicoproteine trans-membrana presenti diffusamente nell’organismo (non solo sulle alte e basse vie respiratorie, ma anche nell’intestino, testicoli, cuore, etc.) attraverso le quali il virus SARS-CoV-2 si àncora mediante la sua ‘proteina spike’ per poter entrare nelle cellule. L’ingresso del virus nelle cellule si accompagna a ‘fusione’ con il recettore ACE2, che quindi viene a essere ‘internalizzato’ dentro la cellula al momento dell’ingresso del virus.[4] Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. The pivotal link between ACE2 deficiency and SARS-CoV-2 infection. Eur J Intern Med. 2020. 76:14-20. Il rovescio della medaglia, però, è l’evidenza che i recettori ACE2 rimuovono un aminoacido (fenilalanina) dall’eptapeptide angiotensina II per trasformarlo in angiotensina[5]Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. The pivotal link between ACE2 deficiency and SARS-CoV-2 infection. Eur J Intern Med. 2020. 76:14-20., la quale esercita notevoli effetti positivi (vasodilatazione, effetto antinfiammatorio, effetto anticoagulante, etc.), del tutto opposti a quelli esercitati dall’angiotensina II sui recettori AT1 (vasocostrizione, infiammazione, trombosi). Di conseguenza, un incremento dei livelli di ACE2 potrebbe essere più protettivo che dannoso durante infezione conclamata da SARS-CoV-2.[6] Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. The pivotal link between ACE2 deficiency and SARS-CoV-2 infection. Eur J Intern Med. 2020. 76:14-20. Per tale motivo e, ancor prima di avere evidenze epidemiologiche sull’utilizzo di ACE-inibitori e sartani in questo setting clinico, le principali società scientifiche hanno raccomandato di non sospendere questi farmaci durante l’infezione per non esacerbare i potenziali effetti negativi delle patologie concomitanti (cardiovascolari e renali) che risultavano essere “compelling indications” per il loro utilizzo. Fortunatamente, negli ultimi mesi sono stati pubblicati diversi studi clinici a riguardo. Come da noi suggerito in una rassegna sintetica[7]Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299, il lavoro di Mancia e collaboratori si unisce ad almeno altri 9 lavori sull’argomento, pubblicati più o meno contemporaneamente. Ad esempio, in uno studio condotto su oltre 18.000 pazienti, il trattamento con ACE-inibitori o sartani non si era associato a un aumentato rischio di contrarre COVID-19.[8]Mehta N, Kalra A, Nowacki AS et al. Association of use of angiotensin-converting enzyme inhibitors and angiotensin II receptor blockers with testing positive for coronavirus disease 2019 (COVID-19). … Continua a leggere In un altro studio su oltre 12.000 pazienti, il trattamento con ACE-inibitori o sartani non si era associato a un aumentato rischio di contrarre positività al test per COVID-19 o al rischio di contrarre malattia severa.[9] Reynolds HR, Adhikari S, Pulgarin C, et al. Renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors and risk of COVID-19. N Engl J Med. 2020. doi:10.1056/NEJMoa2008975. Anche i risultati dello studio caso-controllo proposto da Mancia e collaboratori (seppur con tutti i limiti metodologici dell’analisi) vanno nella stessa direzione, confermando che l’esposizione al trattamento con ACE-inibitori e sartani non si associa a un decorso clinico peggiore del COVID-19 rispetto ai soggetti non trattati con questi farmaci. Entrando nello specifico dei risultati dello studio, è importante sottolineare che l’esposizione ad ACE-inibitori/ sartani è stata desunta dall’interrogazione di specifici database in cui i dati risalivano all’anno 2019; non è quindi scontato che una quota di pazienti possa aver cambiato (dopo il 31 dicembre 2019) la strategia terapeutica prima di risultare affetti da infezione da SARS-CoV-2. In un altro studio, condotto su oltre 8.000 pazienti ospedalizzati per COVID-19, il trattamento con ACE-inibitori (ma non con sartani) si è addirittura associato a una riduzione del rischio di mortalità (2,1% vs 6,1%; OR=0,33 [0,24- 0,54]).[10] Mehra MR, Desai SS, Kuy S, Henry TD, Patel AN. Cardiovascular disease, drug therapy, and mortality in COVID-19. N Engl J Med. 2020. doi:10.1056/NEJMoa2007621. Altri studi di più piccole dimensioni hanno portato risultati simili.[11] Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299. Anche un’analisi retrospettiva condotta in Cina su oltre 15.000 pazienti affetti da COVID-19 ha dimostrato che l’utilizzo di ACE-inibitori o sartani si è associato a una riduzione significativa della mortalità a 28 giorni.[12]Zhou F, Liu Y, Xie J et al. Comparative Impacts of ACE (Angiotensin-Converting Enzyme) Inhibitors Versus Angiotensin II Receptor Blockers on the Risk of COVID-19 Mortality. Hypertension 2020; 76: … Continua a leggere Tali risultati, poi, sono risultati riproducibili in diversi sottogruppi di pazienti identificati da storia di ipertensione e coronaropatia. In conclusione, tutti questi dati supportano la raccomandazione a continuare la terapia con ACE-inibitori e sartani nei pazienti affetti da COVID-19, anche perché la sospensione ingiustificata di questi farmaci potrebbe avere conseguenze gravi in pazienti con scompenso cardiaco, coronaropatia o diabete complicato.

Bibliografia

Bibliografia
1 Zhang P, Zhu L, Cai J, et al. Association of Inpatient Use of Angiotensin Converting Enzyme Inhibitors and Angiotensin II Receptor Blockers with Mortality Among Patients With Hypertension Hospitalized With COVID-19. Circ Res. 2020;doi:10.1161/CIRCRESAHA.120.317134.
2, 11 Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299.
3, 7 Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. COVID-19. ACE2centric Infective Disease? Hypertension 2020;76:294-299
4, 6 Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. The pivotal link between ACE2 deficiency and SARS-CoV-2 infection. Eur J Intern Med. 2020. 76:14-20.
5 Verdecchia P, Cavallini C, Spanevello A, Angeli F. The pivotal link between ACE2 deficiency and SARS-CoV-2 infection. Eur J Intern Med. 2020. 76:14-20.
8 Mehta N, Kalra A, Nowacki AS et al. Association of use of angiotensin-converting enzyme inhibitors and angiotensin II receptor blockers with testing positive for coronavirus disease 2019 (COVID-19). JAMA Cardiol. 2020. doi:10.1001/ jamacardio.2020.1855.
9 Reynolds HR, Adhikari S, Pulgarin C, et al. Renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors and risk of COVID-19. N Engl J Med. 2020. doi:10.1056/NEJMoa2008975.
10 Mehra MR, Desai SS, Kuy S, Henry TD, Patel AN. Cardiovascular disease, drug therapy, and mortality in COVID-19. N Engl J Med. 2020. doi:10.1056/NEJMoa2007621.
12 Zhou F, Liu Y, Xie J et al. Comparative Impacts of ACE (Angiotensin-Converting Enzyme) Inhibitors Versus Angiotensin II Receptor Blockers on the Risk of COVID-19 Mortality. Hypertension 2020; 76: e15-e17

Lascia un commento