Inquadramento
La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.
Lo studio in esame
Rispetto alla casistica del trial randomizzato DAPT (eseguito tra il 2009 e il 2011, nel quale 8.864 pazienti in DAPT dopo impianto di stent, che non avevano manifestato complicanze ischemiche o emorragiche per 12 mesi sono stati randomizzati alla sospensione dell’inibitore del recettore P2Y12 o alla sua prosecuzione sino a 30 mesi dall’intervento[1]Mauri L, Kereiakes DJ, Yeh RW, et al; DAPT Study Investigators. Twelve or 30 months of dual antiplatelet therapy after drug-eluting stents. N Engl J Med. 2014;371:2155–2166. doi: … Continua a leggere) 568.540 pazienti, inclusi nel registro NCDR CathPCI tra il luglio 2016 e il giugno 2017, avevano un’età più avanzata, più frequentemente diabete, storia di malattia cardiovascolare ed erano maggiormente trattati con DES di seconda generazione. Applicando una tecnica statistica (inverse-odds of trial participation weighting) i pazienti dello studio DAPT sono stati “ripesati” per renderli simili, quanto a variabili cliniche e angiografiche, alla popolazione più recente del registro NCDR Cath-PCI. È stato quindi stimato, in un trial simulato, l’outcome dei pazienti a seconda che fossero trattati con una DAPT di 12 o 30 mesi. A differenza del trial originale, non veniva osservata nessuna differenza significativa a vantaggio della DAPT prolungata per quanto riguardava gli eventi ischemici, mentre questa strategia si accompagnava a un rischio di bleeding maggiore rispetto a una DAPT di 12 mesi (vedi tabella).
Take home message
I pazienti trattati attualmente con stent coronarico sono differenti, per caratteristiche cliniche e tecnologia di stent utilizzati, da quelli inseriti oltre 10 anni fa nello studio DAPT. Queste differenze comportano un minor beneficio ottenuto con una DAPT prolungata, mentre restano gli svantaggi connessi a un maggior rischio emorragico.
Interpretazione dei dati
Gli Autori sostengono nella discussione che i risultati di questo studio (che mostrano come la popolazione sottoposta a impianto di stent sia differente da quella trattata con questi dispositivi oltre 10 anni fa) aiutano a riconciliare le conclusioni di trial datati (a favore di DAPT prolungata oltre i 12 mesi) con quelle di studi più recenti a favore di DAPT di durata più breve. Tuttavia, essi riconoscono anche, tra le limitazioni dello studio, che i dati elaborati dalla loro sofisticata analisi statistica potrebbero essere diversi da quelli che un trial recente potrebbe mostrare. Infatti, lo studio non tiene conto di possibili variabili non incluse nell’analisi che potrebbero modificare l’outcome dei pazienti sottoposti alle due strategie terapeutiche. Si deve anche notare che gli studi più recenti hanno testato durate di terapia molto inferiori ai 12 mesi, che nel DAPT trial rappresentavano la durata di terapia minore. Inoltre, la popolazione analizzata non è stata distinta in base alle caratteristiche di presentazione clinica (sindrome coronarica acuta versus coronaropatia stabile), un dato che ha molta importanza nella scelta della durata della DAPT.
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