Quando trasfondere il paziente anemico con infarto miocardico?

Indice

Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia

Inquadramento

Non è ancora chiaro quale sia la strategia migliore da adottare nei pazienti anemici con infarto miocardico (MI), se cioè trasfondere liberamente al di sotto di una soglia di 10 g/dl di emoglobina, per migliorare il trasporto di ossigeno ai tessuti, oppure seguire una strategia più restrittiva ponendo a 8 g/dl la soglia di trasfusione onde evitare alcune complicanze connesse a un ampio uso di trasfusioni, che possono dipendere dalla maggiore viscosità del sangue e a infiammazione. Gli studi, spesso di piccole dimensioni, hanno dato risultati contrastanti[1]Gonzalez-Juanatey JR, Lemesle G, Puymirat E, et al. One-year major cardiovascular events after restrictive versus liberal blood transfusion strategy in patients with acute myocardial infarction and … Continua a leggere. Le Linee Guida ESC delle sindromi coronariche acute sembrano favorire una strategia restrittiva, anche se non vi sono raccomandazioni “forti” in proposito[2]Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. ESC Scientific Document Group. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care. 2023 Sep 22:zuad107. … Continua a leggere.

Lo studio in esame

In questo studio in aperto, condotto in 144 ospedali di diversi Paesi (Stati Uniti, Canada, Francia, Brasile, Nuova Zelanda, Australia), 3.504 pazienti sono stati randomizzati a una strategia liberale di trasfusione (soglia 10 g/dl) oppure restrittiva (soglia 7/8 g/dl). Il numero medio di unità di globuli rossi trasfusi è stato 0.7±1.6 nel gruppo di strategia restrittiva e 2.5±2.3 nel gruppo di strategia liberale. Il valore medio di emoglobina (nei giorni 1 e 3 dalla randomizzazione) era più basso (da 1.3 a 1.6 g/dl) nel gruppo a strategia restrittiva rispetto al gruppo a strategia liberale. L’outcome principale dello studio (morte per ogni causa, nuovo MI a 30 giorni) si è verificato nel 16.9% dei pazienti allocati alla strategia restrittiva, e nel 14.5% dei pazienti nel gruppo randomizzato a strategia liberale (risk ratio 1.16, 95% CI, 1.00 – 1.35). L’incidenza delle singole variabili del primary outcome così come degli outcome secondari sono esposte nella Tabella. Le reazioni da trasfusione sono state minime. Nei sottogruppi considerati, i pazienti con type- 1 MI hanno avuto maggior beneficio dalla strategia liberale rispetto ai type-2 MI.

Interpretazione dei dati

Lo studio colma un gap conoscitivo nel trattamento del paziente anemico ricoverato con MI. La popolazione arruolata era ad alto rischio per la frequente presenza di comorbilità, come peraltro atteso, visto che l’anemia si accompagna frequentemente a età avanzata, insufficienza renale, scompenso cardiaco e necessità di ventilazione meccanica. Non stupisce perciò che più del 40% dei pazienti avesse un MI di tipo 2 e che soltanto un terzo dei pazienti fosse stato rivascolarizzato durante l’ospedalizzazione al momento dell’arruolamento nel trial nonostante due terzi avessero una coronaropatia multivasale. Elevata anche la mortalità a 30 giorni (circa il 10% dell’intera popolazione arruolata). Le conclusioni dello studio, riassunte nel Take home message, possono apparire contradditorie, ma sono perfettamente in linea con il risultato ottenuto. Infatti, la minore incidenza dell’endpoint composito (morte, nuovo MI) non può essere considerata statisticamente significativa in quanto gli intervalli di confidenza contengono l’unità (risk ratio 1.16, 95% CI, 1.00 to 1.35). Tuttavia, proprio gli intervalli di confidenza non contemplano la possibilità che vi sia un ipotetico, anche minimamente probabile, vantaggio dalla strategia restrittiva in quanto essi non includono valori inferiori all’unità. Benchè i dati dello studio suggeriscano un beneficio della strategia liberale (soprattutto per quanto riguarda la mortalità cardiaca e nei pazienti con MI di tipo 1) va considerato il costo e l’impegno organizzativo che essa richiede. Infatti, è da considerare che l’abbandono del protocollo di studio è stato osservato nel 2.6% dei pazienti randomizzati a strategia restrittiva e nel 13.7% di quelli allocati alla strategia liberale: da un lato effetti avversi, quali reazioni alle trasfusioni e sovraccario di liquidi, dall’altro ridotta disponibilità di sangue hanno giocato un ruolo in questa differenza. Forse l’insegnamento principale dello studio è quello di non attendere valori soglia piuttosto bassi (7-8 g/dl di emoglobina) per intervenire, ma di valutare il quadro clinico tenendo in considerazione il potenziale vantaggio che può derivare nel singolo paziente da un maggior apporto tissutale di ossigeno.

Editoriale: Infarto miocardico e anemia: è l’ora di una virata?

A cura di: Paolo Trambaiolo, Angelo Di Martino

  • U.O.S. di Terapia Intensiva Cardiologica (UTIC), U.O.C. di Cardiologia, Presidio Ospedaliero Sandro Pertini di Roma

Pur essendo comune il riscontro di anemia nei pazienti affetti da infarto miocardico acuto, a oggi sono poco chiare le indicazioni alla trasfusione di emazie concentrate a causa delle scarse evidenze scientifiche e le stesse Linee Guida collocano questi pazienti fra le popolazioni in cui sono necessari più dati per poter formulare specifiche indicazioni. In questo studio prospettico in aperto, che ha coinvolto più di 140 centri a cavallo di più continenti, Carson et al.[3] Carson JL, Brooks MM, Hébert PC, et al. Restrictive or Liberal Transfusion Strategy in Myocardial Infarction and Anemia. N Engl J Med. 2023;389(26):2446-2456. doi:10.1056/NEJMoa2307983. hanno valutato il rischio di infarto miocardico o morte a 30 giorni confrontando l’adozione di una strategia trasfusionale “restrittiva” (trasfusione di emazie concentrate per valori di emoglobina inferiori a 7 o 8 g/dl) con l’adozione di una strategia “liberale” (trasfusione di 1 unità di emazie concentrate subito dopo la randomizzazione ed eventuali ulteriori trasfusioni per mantenere un livello emoglobinico sopra 10 g/dl alla dimissione) in pazienti con infarto miocardico acuto e anemia. Gli Autori non hanno riscontrato una differenza significativa nell’incidenza di infarto miocardico e morte a 30 giorni fra i due gruppi (16.9% nel gruppo con strategia “restrittiva” vs 14.5% nel gruppo con approccio “liberale”; Rischio Relativo 1.16 (95% CI, 1.00 – 1.35)), avendo individuato come significativa, nel disegno dello studio, una differenza nell’incidenza degli eventi fra i due gruppi pari al 20%. Tuttavia, i risultati dello studio sono molto interessanti dato che l’analisi degli outcome secondari e terziari e l’analisi dei sottogruppi ci rivela come la strategia “liberale” fosse costantemente favorita, pur non essendo statisticamente significativa. L’incidenza di infarto miocardico, infatti, era dell’8.5% nei pazienti con soglia “restrittiva” e del 7,2% nei pazienti con target “liberale” (Risk ratio 1.19; 95% CI, 0.94 – 1.49), mentre la morte a 30 giorni per qualunque causa si è verificata maggiormente nel gruppo “restrittivo” (9.9% vs 8.3%; RR 1.19; 95% CI, 0.96 – 1.47). Analizzando i sottogruppi il dato più interessante è il maggior beneficio ottenuto dalla strategia “liberale” nei pazienti con infarto miocardico di tipo 1 (Rischio relativo 1.32; 95% CI, 1.04-1.67). Gli Autori concludono sostenendo che il mancato raggiungimento di una superiorità significativa nell’endpoint primario da parte della strategia trasfusionale “liberale” possa essere imputabile all’arruolamento di una popolazione molto eterogenea, avendo incluso una ampia percentuale di pazienti con infarto miocardico da discrepanza (IMA di tipo 2; 55,8% dei pazienti), nonché molti pazienti anziani e con plurime comorbilità, che potrebbero aver beneficiato poco di un approccio trasfusionale più intensivo. Per tali motivi ritengono necessari ulteriori studi per confermare quanto suggerito dai loro risultati. Ed eccoci di fronte a un quesito che più volte nella propria attività qualunque Cardiologo si è posto nella gestione del paziente ricoverato in UTIC per STEMI/NSTEMI. Se da un lato il paziente con infarto miocardico acuto rientra nel gruppo dei pazienti che teoricamente può trarre maggior beneficio dall’aumento della concentrazione emoglobinica, in quanto la fornitura di ossigeno ai tessuti è funzione del contenuto di ossigeno del sangue arterioso (DO2= CO x CaO2; DO2: Delivery of Oxigen; CO: gittata cardiaca; CaO2: contenuto di ossigeno del sangue arterioso), dall’altra parte è noto come gli emocomponenti subiscano determinate alterazioni biochimiche durante il periodo di stoccaggio, che favoriscono l’attivazione e l’aggregazione piastrinica, evenienza sicuramente da evitare nel paziente con sindrome coronarica acuta. Ma cosa ci dice a oggi la Letteratura a nostra disposizione? Le recenti Linee Guida ESC sulle Sindromi Coronariche Acute[4]Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes: Developed by the task force on the management of acute coronary syndromes of the European … Continua a leggere, alla luce di tale Evidence Gap, non formulano specifiche raccomandazioni circa la soglia trasfusionale da adottare nel paziente con infarto miocardico acuto. Ed ecco aggiungersi, dopo pochi mesi, in questo sentiero poco battuto, il MINT trial, che rappresenta a nostro parere un importante punto di partenza per un nuovo approccio a questo tema, con risultati nettamente in contrasto con quanto presente fino a oggi in letteratura. Fra i pochi studi randomizzati sull’argomento, il trial REALITY[5]Ducrocq G, Gonzalez-Juanatey JR, Puymirat E, et al. Effect of a Restrictive vs Liberal Blood Transfusion Strategy on Major Cardiovascular Events Among Patients With Acute Myocardial Infarction and … Continua a leggere, che ha arruolato 668 pazienti con sindrome coronarica acuta e anemia, randomizzandoli con le stesse strategie trasfusionali dello studio MINT, aveva dimostrato la non inferiorità della soglia “restrittiva” rispetto all’approccio “liberale”. Infatti, l’11% dei pazienti del gruppo “restrittivo” ha sviluppato un MACE, rispetto al 14% del gruppo con approccio “liberale” (RR 0.79; 97.5% CI -8.4%, -2.4%). Inoltre, tutte le componenti dell’endpoint composito (IMA e morte a 30 giorni per tutte le cause) presentavano incidenza maggiore nel braccio dello studio a strategia “liberale”. Tali dati risultano in contrasto sia con una analisi post-hoc del REALITY Trial[6]Gonzalez-Juanatey JR, Lemesle G, Puymirat E, et al. One-Year Major Cardiovascular Events After Restrictive Versus Liberal Blood Transfusion Strategy in Patients With Acute Myocardial Infarction and … Continua a leggere, che ha riscontrato una maggiore incidenza di MACE fra 30 giorni e 1 anno nel gruppo “restrittivo”, sia con il recentissimo trial MINT il quale, arruolando una popolazione quasi cinque volte maggiore, ha evidenziato una superiorità, seppur non significativa, dell’approccio “liberale”. È indubbio che l’adozione di una strategia “liberale” ponga altri ostacoli davanti ai quali il clinico si troverà a indugiare, fra cui le possibili reazioni avverse determinate da tale approccio trasfusionale intensivo, infezioni, trombosi per elevata viscosità e il possibile sovraccarico circolatorio indotto dalla trasfusione. Anche a tal riguardo, lo studio MINT scioglie molti dubbi, in quanto gli Autori non hanno riscontrato fra i due bracci dello studio, una differenza significativa nell’incidenza degli outcome di sicurezza. Per ultimo, ma non meno importante, non va ovviamente trascurato l’aspetto di economia sanitaria rappresentato dall’eventuale adozione di un target “liberale”. Lo studio MINT ha infatti evidenziato come tale strategia comporti un consumo di emoderivati 3,5 volte superiore rispetto all’adozione di una soglia “restrittiva”. Davanti a tali difficoltà e alla libertà concessa dalle Linee Guida al riguardo è indubbio che il Cardiologo si ritrovi spesso trascinato dalla corrente ad adottare “passivamente” la famosa soglia di 8 g/dl come cut-off sotto al quale trasfondere tutti i pazienti con infarto miocardico acuto e anemia. In tale contesto riteniamo che lo studio MINT, pur non avendo dimostrato una riduzione significativa nell’endpoint primario tramite l’utilizzo di soglie trasfusionali più alte, possa rappresentare una virata nella gestione del paziente anemico, invitando il Cardiologo clinico a una scelta più ragionata e personalizzata sul singolo paziente e ad abbandonare l’utilizzo aprioristico di una soglia trasfusionale prestabilita nel paziente con infarto miocardico acuto.

Bibliografia

Bibliografia
1 Gonzalez-Juanatey JR, Lemesle G, Puymirat E, et al. One-year major cardiovascular events after restrictive versus liberal blood transfusion strategy in patients with acute myocardial infarction and anemia: the REALITY randomized trial. Circulation 2022;145:486-8
2 Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. ESC Scientific Document Group. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J Acute Cardiovasc Care. 2023 Sep 22:zuad107. doi:10.1093/ehjacc/zuad107.
3 Carson JL, Brooks MM, Hébert PC, et al. Restrictive or Liberal Transfusion Strategy in Myocardial Infarction and Anemia. N Engl J Med. 2023;389(26):2446-2456. doi:10.1056/NEJMoa2307983.
4 Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. 2023 ESC Guidelines for the management of acute coronary syndromes: Developed by the task force on the management of acute coronary syndromes of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J. 2023;44(38):3720-3826. doi:10.1093/eurheartj/ehad191
5 Ducrocq G, Gonzalez-Juanatey JR, Puymirat E, et al. Effect of a Restrictive vs Liberal Blood Transfusion Strategy on Major Cardiovascular Events Among Patients With Acute Myocardial Infarction and Anemia: The REALITY Randomized Clinical Trial. JAMA. 2021;325(6):552-560. doi:10.1001/jama.2021.0135
6 Gonzalez-Juanatey JR, Lemesle G, Puymirat E, et al. One-Year Major Cardiovascular Events After Restrictive Versus Liberal Blood Transfusion Strategy in Patients With Acute Myocardial Infarction and Anemia: The REALITY Randomized Trial. Circulation. 2022;145(6):486-488. doi:10.1161/CIRCULATIONAHA.121.057909.

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