Risultati dello studio ischemia con follow-up prolungato: cosa è cambiato?

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Indice

Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia

Inquadramento

Lo studio ISCHEMIA ha confrontato in un ampio numero di pazienti con coronaropatia stabile e ischemia miocardica moderata o severa, documentata con test provocativo, una strategia invasiva (coronarografia seguita da rivascolarizzazione quando possibile) con una strategia conservativa basata su terapia medica ottimale. A una mediana di follow-up di 3.2 anni non si sono osservate differenze significative per l’endpoint primario (un composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, nuove ospedalizzazioni per rivascolarizzazione, scompenso cardiaco o arresto cardiaco resuscitato)[1] Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial Invasive or Conservative Strategy for Stable Coronary Disease. New England Journal of Medicine. 2020;382:1395-1407.. Tuttavia, la curva di eventi nelle fasi finali del follow-up è volta a favore della strategia invasiva, pur non raggiungendo la significatività statistica. È stato osservato che un follow-up più lungo avrebbe potuto fornire informazioni aggiuntive, necessarie per meglio valutare le due opzioni terapeutiche[2]Antman EM, Braunwald E. Managing Stable Ischemic Heart Disease. N Engl J Med. 2020 Apr 9;382(15):1468-1470. doi:10.1056/NEJMe2000239..

Lo studio in esame

Dei 5.179 pazienti, inzialmente inclusi nello studio, 4.825 (2.407 nel gruppo invasivo e 2.418 nel gruppo medico) risultavano eleggibili per il follow-up addizionale, la cui mediana è stata di 5.7 anni. Va ribadito, per protocollo, che dallo studio ISCHEMIA erano esclusi pazienti con stenosi del tronco comune (con una stenosi di almeno 50% valutata alla TC coronarica), con una EF <35%, con sindrome coronarica acuta recente o con angina refrattaria al trattamento medico. L’endpoint dell’analisi è stata la mortalità per ogni causa, quella cardiovascolare e non-cardiovascolare. La mortalità cardiovascolare è risultata inferiore nel gruppo invasivo (con ampia differenza per quanto riguarda i pazienti multivasali), al contrario di quella non-cardiovascolare risultata inferiore nel gruppo conservativo. Non è stata osservata alcuna differenza, invece, per la mortalità per ogni causa (Tabella).

Take home message

A una mediana di follow-up di 5.7 anni non si è notata alcuna differenza nella mortalità globale per le due strategie (invasiva o conservativa), confrontate nello studio ISCHEMIA. Questo risultato deriva da una riduzione di mortalità cardiovascolare a favore della strategia invasiva cui, tuttavia, si accompagnava una maggiore mortalità non-cardiovascolare.

Interpretazione dei dati

I risultati del follow-up prolungato (relativo ai soli dati di mortalità) non conducono a conclusioni differenti da quelle formulate alla presentazione dei dati dello studio originario[3]Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial Invasive or Conservative Strategy for Stable Coronary Disease. New England Journal of Medicine. 2020;382:1395-1407.. Il beneficio ottenuto con una strategia di esecuzione di coronarografia, seguita da rivascolarizzazione in termini di mortalità cardiovascolare, viene annullato dal concomitante incremento della mortalità non-cardiovascolare. Le cause di questo aumento di mortalità, correlato alla strategia invasiva, sono già state indagate perché presenti anche alla prima analisi di follow-up[4]Sidhu MS, Alexander KP, Huang Z, et al. Causes of cardiovascular and noncardiovascular death in the ISCHEMIA trial. American Heart Journal. 2022;248:72-83.. Si tratta di un eccesso di neoplasie, apparentemente senza alcuna spiegazione biologicamente plausibile. Gli eventi fatali nel gruppo assegnato alla strategia invasiva sono troppo precoci, infatti, per attribuire il maggior sviluppo di nepolasie alle radiazioni ionizzanti correlate allo studio angiografico e al trattamento interventistico[5]Sidhu MS, Alexander KP, Huang Z, et al. Causes of cardiovascular and noncardiovascular death in the ISCHEMIA trial. American Heart Journal. 2022;248:72-83.. È prevista un’analisi finale dello studio con un follow-up sino a 10 anni: è auspicabile che le incertezze suscitate da questa analisi ad interim possano essere risolte. Purtroppo, l’estensione del follow-up non ha riguardato informazioni sull’evenienza di infarto miocardico. Già nello studio originario (con follow-up a 3.2 anni) l’infarto spontaneo veniva diminuito da una strategia invasiva(1), ma globalmente il numero degli infarti risultava non statisticamente diverso tra i due gruppi, i per un eccesso di infarti periprocedurali nei pazienti randomizzati alla strategia invasiva. Un’altra limitazione dello studio è la mancata aggiudicazione centrale degli eventi nella fase di estensione del follow-up. Una lacuna inattesa per uno studio costato circa 100 milioni di dollari.

Editoriale La strategia invasiva non migliora la sopravvivenza nella coronaropatia stabile, pur riducendo la mortalità cardiovascolare. ragionamenti su questo apparente paradosso

Flavio Ribichini, Università di Verona

ISCHEMIA ha incluso 5.179 pazienti relativamente giovani, con dimostrazione di ischemia per la maggior parte moderata o estesa, escludendo pazienti con malattia del tronco comune o con FE >35%. ISCHEMIA EXTEND con un follow-up allargato a 7 anni, aggiunge ulteriori 268 decessi ai 557 precedentemente analizzati. La suddivisione delle cause di morte tra quelle cardiovascolari (CV) e quelle non cardiovascolari, dimostra una riduzione delle prime e un aumento delle seconde con la strategia invasiva, differenze che si annullano in termini di mortalità totale: 12.7% per il gruppo invasivo vs 13.4% nel gruppo conservativo, HR=1.00, 95% CI: 0.86-1.18. È confortante verificare che i pazienti indirizzati da un trattamento invasivo beneficiano a lungo termine di una riduzione della mortalità CV. Tuttavia, per il paziente cambia poco essere morto di una causa o di un’altra. Infatti, la mission di prolungare la vita è ben esplicitata nelle Linee Guida europee della rivascolarizzazione miocardica che fanno la differenza tra interventi che impattano la prognosi e quelle che migliorano la qualità di vita. ISCHEMIA EXTEND dimostra ulteriormente che una strategia invasiva in pazienti con cardiopatia ischemia stabile, anche severa, non impatta la prognosi. I dati non stupiscono, in quanto confermano ancora di più quanto già acquisito, ma non chiariscono le cause di questa osservazione di difficile interpretazione. Sebbene sia comprensibile che la mortalità CV venga ridotta dalla strategia invasiva, assumendo che avere più coronarie aperte sia meglio che averle chiuse, rimane da capire quali siano le cause di una maggiore mortalità non CV in questi pazienti, al punto di annullare ogni beneficio a lungo termine. Lo studio ha molte limitazioni, e queste impediscono di trovare spiegazioni convincenti. Come clinico e come interventista mi vengono in mente alcune riflessioni. Gli effetti a lungo termine della radioesposizione. Gli Autori escludono un possibile effetto deterministico in un follow-up medio di 7 anni, ma in una popolazione relativamente giovane (65 anni), con alcuni pazienti che hanno raggiunto 10 anni di follow-up, scartare questa teoria in modo assoluto potrebbe apparire un atteggiamento negazionista. Questa ipotesi si avvalora ulteriormente se tra i pazienti trattati con angioplastica ci sia stato un numero importante di procedure che li ha esposti ad alte dosi di radiazioni ionizzanti come le CTO, specie quando eseguite nel contesto di malattia multivasale, che si sommano a generose dosi di radiazioni derivate da esami invasivi e non invasivi come TAC e SPECT nel corso degli anni. Comunque, questi dati non sono disponibili nella pubblicazione… Danno renale impercettibile o trascurato. Due sono le variabili biologiche (prevedibili) che, oltre all’età, influenzano in modo determinate la sopravvivenza degli umani a lungo termine: la funzione cardiaca, e la funzione renale. Lo studio non fornisce dati a riguardo, ma se il prezzo da pagare per migliorare la prima, è il deterioramento della seconda, forse il bilancio resta neutro, come neutri sono i risultati di questo studio… Sappiamo per certo che mezzo di contrasto e circolazione extracorporea uccidono nefroni: meno nefroni, meno anni di vita. Questo ragionamento dovrebbe sempre guidare la decisione di affrontare procedure elettive. Comunque, questi dati non sono disponibili nella pubblicazione… Effetto della DAPT prolungata. I pazienti sottoposti a tecniche invasive seguono schemi di terapia anti-trombotica più aggressivi. Il beneficio a lungo termine di questi farmaci in pazienti con ischemia stabile potrebbe avere un ruolo incerto che merita approfondimenti. Contrariamente, i pazienti in qualche modo “sollevati” dal sintomo angina dopo interventi, potrebbero aver subito una riduzione della terapia medica con incerte conseguenze… Comunque, questi dati non sono disponibili nella pubblicazione… È curioso infatti che nell’analisi per sottogruppi, i pazienti a più alto rischio, ovvero quelli con documentazione di ischemia moderata o severa, quelli con malattia multivasale o trivasale e i pazienti diabetici, abbiano una mortalità non CV minore con una strategia conservativa, osservazione che fa riflettere sull’efficacia della terapia medica in confronto alla rivascolarizzazione nei gruppi a più alto rischio che, evidentemente, muore di cause diverse da quelle che possiamo prevenire con tecniche invasive. I metodi invasivi siano percutanei o chirurgici, esercitano benefici tramite un unico meccanismo di azione, ovvero il ripristino del flusso. Un effetto meccanico/idraulico che in una percentuale inferiore al 70% (nella migliore delle ipotesi) tende a normalizzare la riserva coronarica. La terapia medica, invece, agisce tramite tanti meccanismi di azione: l’aumento del flusso legato alla vaso-dilatazione di diversi farmaci, come i nitrati; la diminuzione delle resistenze macro e micro-vascolari dei calcio-antagonisti; la riduzione del consumo di ossigeno, del tono adrenergico e dell’ipertrofia miocardica dei beta bloccanti, e non da meno i loro effetti anti-aritmici; la protezione endoteliale degli inibitori del sistema renina-angiotensina; l’inibizione piastrinica dell’ASA, e poi, gli innumerevoli “miracolosi effetti “pleiotropici” delle statine. Tutti questi strumenti orchestrano molteplici effetti protettivi contro il rischio cardiovascolare, in particolare il controllo della pressione arteriosa. Visto così, la rivascolarizzazione appare come un unico strumento nel concerto della terapia globale… e come tale, da solo non si fa sentire. Bisogna comunque ricordare che i pazienti arruolati nel gruppo invasivo non dovevano necessariamente sospendere la terapia medica. Comunque questi dati di fondamentale importanza non sono disponibili nella pubblicazione… Quello che sicuramente dobbiamo ricordare è che l’aterosclerosi, nella sua fase cronica stabile non guarisce con stent o con bypass, ma neanche con medicine, anche se queste, tutte insieme, hanno più possibilità di arginare la malattia che il semplice ripristino di un po’ di flusso anterogrado. L’approccio invasivo mantiene il suo ruolo prevalente nelle fasi acute dell’aterosclerosi quando il rapido ed efficace ripristino del flusso nel vaso occluso salva miocardio e allunga la sopravvivenza. Nel paziente stabile, sempre più evidenze indicano che le procedure invasive devono essere molto ponderate tenendo conto del contesto clinico globale, eseguite da operatori molto esperti visto lo stretto margine di beneficio rispetto ai potenziali rischi, e proposte su criteri individuali di ogni paziente e non in modo indifferenziato. ISCHEMIA EXTEND conferma quanto già osservato in passato, ovvero che un approccio invasivo non allunga la vita degli umani con ischemia cardiaca stabile, ma non offre elementi per spiegare le diverse cause di mortalità correlate a problemi cardiovascolari o di altra natura. Tutte le considerazioni espresse sopra sono personali e speculative, e come tali devono essere considerate.

Bibliografia

Bibliografia
1 Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial Invasive or Conservative Strategy for Stable Coronary Disease. New England Journal of Medicine. 2020;382:1395-1407.
2 Antman EM, Braunwald E. Managing Stable Ischemic Heart Disease. N Engl J Med. 2020 Apr 9;382(15):1468-1470. doi:10.1056/NEJMe2000239.
3 Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial Invasive or Conservative Strategy for Stable Coronary Disease. New England Journal of Medicine. 2020;382:1395-1407.
4, 5 Sidhu MS, Alexander KP, Huang Z, et al. Causes of cardiovascular and noncardiovascular death in the ISCHEMIA trial. American Heart Journal. 2022;248:72-83.

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