Shock cardiogeno

Supporto circolatorio meccanico con ECMO in pazienti con infarto miocardico in shock cardiogeno: inefficace e non privo di complicanze. I risultati dello studio ECLS-SHOCK.

Lo shock cardiogeno rappresenta la più frequente causa di mortalità nei pazienti con infarto acuto del miocardio. Il tasso di mortalità è tuttora molto elevato, tra il 40% e 50% dei casi, e non si è modificato nel corso degli ultimi anni nonostante i progressi ottenuti nel trattamento delle sindromi coronariche acute. Recentemente nella pratica clinica si è sempre più diffuso il ricorso all’ECMO , che fornisce un supporto sia circolatorio che respiratorio al paziente. L’efficacia e la sicurezza di questa procedura, tuttavia, non è stata studiata in un trial randomizzato di ampie dimensioni.

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Confronto dell’outcome clinico e dei costi associati all’utilizzo di device microassiale ventricolare sinistro vs contropulsatore aortico nei pazienti con infarto miocardico complicato da shock cardiogeno

Il trattamento dello shock cardiogeno è un ambito della cardiologia in cui i progressi degli ultimi decenni sono stati modesti. A tutt’oggi, l’utilizzo dei dispositivi di assistenza ventricolare non è standardizzato e gli studi randomizzati, che non sono affatto numerosi, non sono riusciti a mostrarne un beneficio. Nel caso di infarto miocardico con shock cardiogeno (AMICS), il contropulsatore aortico (IABP) è il dispositivo di riferimento (pur con una raccomandazione di livello basso, classe IIb nelle Linee Guide ESC) tuttavia il suo utilizzo di routine è chiaramente controindicato dalle medesime Linee Guide (classe III).

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Prognosi a lungo termine dopo arresto cardiaco extraospedaliero nei pazienti che sopravvivono alla fase acuta.

La sopravvivenza dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA) è piuttosto modesta e solo circa la metà riesce a superare la fase ospedaliera ed essere dimessa in vita. Tra i fattori che determinano un buon esito, importanti sono la prontezza delle manovre di rianimazione, l’età del paziente, il tipo di ritmo che ha scatenato l’arresto e la cura ospedaliera ricevuta. Mancano informazioni, tuttavia, sia sull’outcome che sui fattori prognostici a lungo termine, in particolare oltre il primo anno di follow-up, nei pazienti che riescono a sopravvivere alla fase acuta.

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