Terapia anticoagulante

Anticoagulanti orali diretti a metà dose dopo chiusura dell’auricola: la scelta vincente?

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

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Direct oral anticoagulants for the treatment of left ventricular thrombosis: an updated systematic review and meta-analysis.

Nei pazienti con trombosi ventricolare sinistra (LVT), il trattamento farmacologico ottimale, tra gli antagonisti della vitamina K (VKA) e i nuovi anticoagulanti orali diretti (DOAC), è oggetto di intenso dibattito nella comunità scientifica. Nel presente studio gli autori hanno eseguito una meta-analisi includendo 14 studi di confronto tra DOAC e VKA con i seguenti endpoint: risoluzione della LVT (endpoint primario), incidenza di ictus e sanguinamento (endpoint secondari). Nello studio sono stati inclusi 1.332 pazienti, di cui 424 trattati con DOAC e 908 con VKA. Per quanto riguarda l’endpoint primario dello studio non si è osservata nessuna differenza tra DOAC e VKA (odds ratio [OR] 1.00; intervallo di confidenza 95% [95% CI]) 0.77-1.31, I2 0%]. Il rischio di ictus è risultato ridotto con DOAC (OR 0.58; 95% CI 0.36-0.93; I2 0%) così come l’insorgenza di sanguinamenti (OR 0.64; 95% CI 0.44-0.94; I2 0%). In conclusione, i DOAC hanno un’efficacia simile a VKA nella risoluzione della LVT, mostrando, inoltre, un beneficio consistente nella riduzione di ictus e sanguinamenti.

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Aspirin Therapy on Prophylactic Anticoagulation for Patients Hospitalized With COVID-19: A Propensity Score-Matched Cohort Analysis of the HOPE-COVID-19 Registry.

Background: COVID-19 is an infectious illness, featured by an increased risk of thromboembolism. However, no standard antithrombotic therapy is currently recommended for patients hospitalized with COVID-19. The aim of this study was to evaluate safety and efficacy of additional therapy with ASA over prophylactic anticoagulation (PAC) in patients hospitalized with COVID-19 and its impact on survival.

Methods and Results: a total of 8.168 patients hospitalized for COVID-19 were enrolled in a multicenter-international prospective registry (HOPE COVID-19). Clinical data and inhospital complications, including mortality, were recorded. Study population included patients treated with PAC or with PAC and ASA. A comparison of clinical outcomes between patients treated with PAC versus PAC and ASA was performed using an adjusted analysis with propensity score matching. Of 7.824 patients with complete data, 360 (4.6%) received PAC and ASA a nd 2 .949 ( 37.6%) P AC. P ropensity-score matching yielded 298 patients from each group. In the propensity score-matched population, cumulative incidence of in-hospital mortality was lower in patients treated with PAC and ASA versus PAC (15% versus 21%, Log Rank P=0.01). At multivariable analysis in propensity matched population of patients with COVID-19, including age, sex, hypertension, diabetes, kidney failure, and invasive ventilation, ASA treatment was associated with lower risk of in-hospital mortality (hazard ratio [HR], 0.62; [95% CI 0.42-0.92], P=0.018).

Conclusions: combination PAC and ASA was associated with lower mortality risk among patients hospitalized with COVID-19 in a propensity score matched population compared to PAC alone.

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Edoxaban o antagonisti della vitamina K per il trattamento della fibrillazione atriale nei pazienti sottoposti a TAVI.

Nei pazienti con fibrillazione atriale in terapia anticoagulante sottoposti a procedura di TAVI, lo studio POPular TAVI ha mostrato come l’aggiunta di clopidogrel nei primi tre mesi successivi alla procedura aumenti il rischio emorragico rispetto, alla sola terapia anticoagulante. In quello studio solo un terzo dei pazienti assumeva un anticoagulante orale diretto (DOAC). Non ci sono studi di confronto tra DOAC e antagonisti della vitamina K (VKA) in pazienti sottoposti a TAVI.

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TAVI e necessità clinica di trattamento anticoagulante: a che punto siamo?

I risultati dello studio ENVISAGE-TAVI AF, mostrando un maggior rischio di sanguinamenti maggiori gastrointestinali (GI) con edoxaban rispetto a VKA, possono suscitare stupore in quanto apparentemente discordanti rispetto ai precedenti trial che hanno dimostrato un migliore profilo di sicurezza degli anticoagulanti orali diretti (DOAC) nella FA, sia se assunti in monoterapia, sia in associazione a una terapia anti-aggregante piastrinica. Tuttavia, alcune considerazioni sono necessarie per un più corretto inquadramento clinico dei risultati. Innanzitutto è importante osservare che, nonostante questo dato, l’endpoint clinico netto dello studio si è mantenuto simile nei due gruppi, poiché l’incidenza annuale della mortalità, dell’ictus e anche delle emorragie cerebrali è stata numericamente più bassa nel gruppo edoxaban. Il maggior tasso di emorragie GI nei pazienti con stenosi aortica e sottoposti a TAVI, arruolati nello studio ENVISAGE-TAVI AF, può dipendere da un differente profilo di rischio emorragico rispetto a quello dei pazienti arruolati nei trial relativi alla FA, come dimostrato da un CHADS-VASC score più elevato legato a un’età più avanzata e a un maggior carico di comorbidità. Inoltre, è ben noto che i pazienti con stenosi aortica presentano una intrinseca vulnerabilità dal punto di vista dei sanguinamenti GI, in quanto più frequentemente sono affetti da una malattia di von Willebrand acquisita e malformazioni arterovenose.

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Efficacia del trattamento delle emorragie in pazienti che assumono anticoagulanti orali diretti.

Sempre maggiore è l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti orali diretti (DOAC), ma anche più frequenti sono le urgenze rappresentate dalle emorragie nei pazienti trattati, forse per il maggior ricorso all’anticoagulazione nei pazienti in cui essa è indicata rispetto agli anni in cui solo gli inibitori della vitamina K erano disponibili [1]. È perciò essenziale, per il clinico, avere dati sull’efficacia del trattamento disponibile in questi casi, dal concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (4PCC) all’utilizzo di antidoti specifici come idarucizumab per dabigatran e andexanet alfa per gli inibitori del fattore Xa.

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Pre- and in-hospital anticoagulation therapy in coronavirus disease 2019 patients: a propensity-matched analysis of in-hospital outcomes.

Il ruolo della terapia anticoagulante cronica (CAC) nei pazienti con COVID-19 è tuttora sconosciuto e rappresenta l’oggetto del presente studio multicentrico europeo. Di 1.186 pazienti COVID positivi, 144 erano in CAC (12.1%). Considerando le popolazioni non aggiustate, la mortalità per tutte le cause (35% vs. 18%, p<0.001), le emorragie maggiori e minori (14% vs. 8%, p=0.026; 25% vs. 17%, p=0.014), le complicanze cardiovascolari (27% vs. 14%, p=0.001) e l’insufficienza renale acuta (AKI, 42% vs. 19%, p<0.001) si sono verificate più frequentemente nei pazienti in CAC.

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