Tachiaritmie atriali asintomatiche in corso di monitoraggio elettrocardiografico: giustificata la terapia anticoagulante?

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Indice

Inquadramento

Con il termine di AHRE (Atrial Heart Rate Arrhythmias) si intendono degli episodi asintomatici di tachiaritmia atriale, frequentemente individuati in pazienti, soprattutto se anziani (in cui tali aritmie si presentano in circa il 30% dei pazienti), portatori di pacemaker e defibrillatori o altri sistemi di monitoraggio, spesso indistinguibili da parossismi di fibrillazione atriale (e infatti da alcuni definiti come episodi di “fibrillazione atriale sublinica”). La loro presenza è stata considerata un fattore di rischio per eventi tromboembolici suggerendo la necessità di una profilassi con anticoagulante quando tali episodi sono prolungati, soprattutto se individuati in pazienti con caratteristiche cliniche favorenti lo stroke[1]Toennis T, Bertaglia E, Brandes A, et al. The influence of atrial high-rate episodes on stroke and cardiovascular death: an update. Europace 2023;25:euad166.. Tuttavia, non ci sono studi randomizzati che ne abbiano provato l’efficacia. Peraltro, la maggior parte degli AHRE registrati con il monitoraggio continuo sono di breve durata, lasciando spesso il clinico incerto su quale decisione assumere.

Lo studio in esame

Lo studio NOAH-AFNET 6 trial (Non–Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in Patients with Atrial High Rate Episodes) ha randomizzato pazienti con età media di 78 anni (37.4% donne, 10% con stroke precedente, 25% con infarto pregresso), con AHRE (documentati da device impiantato) di durata di almeno 6 minuti (durata mediana 2.8 ore) e almeno un fattore di rischio per stroke (CHA2DS2VASc mediano = 4) a edoxaban (il 29% trattato con dose ridotta di 30 mg in base alle indicazioni standard) o placebo. Lo studio in doppio cieco, doppio placebo, era concepito come uno studio di superiorità di edoxaban (prevista una riduzione del rischio relativo del 32%). A un’analisi ad interim lo studio è stato sospeso per futilità, quando erano stati arruolati 2.536 pazienti (1.270 nel gruppo edoxaban, 1.266 nel gruppo placebo). Il primary efficacy outcome (un composito di morte cardiovascolare, stroke o embolismo sistemico) a un follow-up mediano di 21 mesi si è verificato in 83 pazienti (3.2% per paziente/anno) nel gruppo edoxaban e in 101 pazienti (4.0% per paziente/anno) nel gruppo placebo, hazard ratio 0.81; 95% confidence interval [CI], 0.60 to 1.08; P=0.15). L’incidenza di stroke è stata simile nei due gruppi (vedi Tabella). L’outcome di safety (un composito di morte per ogni causa o major bleeding) si è verificato in 149 pazienti (5.9% per paziente/anno) nel gruppo edoxaban e in 114 (4.5% per paziente/ anno) nel gruppo placebo (hazard ratio, 1.31; 95% CI,1.02 – 1.67; P=0.03). Una fibrillazione atriale ECG-documentata si è osservata in 462 pazienti (18.2%) nel corso dello studio.

Take home message

In una popolazione di pazienti portatori di device impiantati che permettono un monitoraggio ECG con individuazione di AHRE, l’utilizzo di edoxaban rispetto al placebo non ha ridotto un endpoint composito (morte cardiovascolare, stroke, embolismo sistemico) e ha significativamente aumentato l’endpoint di safety (composito di morte per ogni causa e major bleeding). L’incidenza di stroke in entrambi i gruppi è stata modesta.

Interpretazione dei dati

Il dato più rilevante dello studio è la bassa incidenza di stroke osservata nei due bracci randomizzati (1.5% nel gruppo randomizzato a placebo, 1% nel gruppo randomizzato a edoxaban a un follow-up medio di 21 mesi), molto inferiore rispetto a quella attesa, vista l’età media dei pazienti (78 anni) e il rischio tromboembolico valutato con CHA2DS2VASc score (mediana = 4). Tuttavia tale incidenza non è molto diversa da quella osservata nello studio LOOP[2]Svendsen JH, Diederichsen SZ, Højberg S, et al. Implantable loop recorder detection of atrial fibrillation to prevent stroke(the LOOP study): a randomised controlled trial. Lancet 2021;398:1507-16. in cui i pazienti con evidenza di “fibrillazione atriale subclinica” al monitoraggio ECG continuo, ottenuto con loop recorder, venivano avviati a terapia anticoagulante (5.6% nel gruppo controllo, 4.5% nel gruppo sottoposto a monitoraggio ECG continuo a un follow-up medio di 64 mesi). Per gli Autori questa incidenza così modesta rafforza le conclusioni dello studio, cioè la non necessità di una terapia anticoagulante in questi pazienti. Verisimilmente il basso rischio di stroke è legato ai criteri di arruolamento (era sufficiente una durata di AHRE di almeno 6 minuti per l’inclusione, anche se la mediana è risultata essere di 2.8 ore). La somministrazione di edoxaban, in questa popolazione, non ha diminuito l’endpoint primario dello studio, ma ha aumentato l’endpoint di safety soprattutto per un (atteso) aumento di bleeding maggiore. La riduzione dell’endpoint secondario, stroke più tromboembolismo sistemico da parte di edoxaban, non ha raggiunto la significatività statistica, pur essendo la riduzione del rischio relativo del 35%. Tuttavia, anche se lo avesse raggiunto, avrebbe avuto uno scarso rilievo clinico, poichè l’NNT calcolato sarebbe stato 200, un numero troppo elevato per giustificare l’inizio di un trattamento anticoagulante.

Bibliografia

Bibliografia
1 Toennis T, Bertaglia E, Brandes A, et al. The influence of atrial high-rate episodes on stroke and cardiovascular death: an update. Europace 2023;25:euad166.
2 Svendsen JH, Diederichsen SZ, Højberg S, et al. Implantable loop recorder detection of atrial fibrillation to prevent stroke(the LOOP study): a randomised controlled trial. Lancet 2021;398:1507-16.

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