DAPT

P2Y12 Inhibitor Monotherapy or Dual Antiplatelet Therapy After Complex Percutaneous Coronary Interventions

Background: It remains unclear whether P2Y12 inhibitor monotherapy preserves ischemic protection, while limiting bleeding risk compared with dual antiplatelet therapy (DAPT) after complex percutaneous coronary intervention (PCI).

Objectives: We sought to assess the effects of P2Y12 inhibitor monotherapy after 1-month to 3-month DAPT vs standard DAPT in relation to PCI complexity.

Methods: We pooled patient-level data from randomized controlled trials comparing P2Y12 inhibitor monotherapy and standard DAPT on centrally adjudicated outcomes after coronary revascularization. Complex PCI was defined as any of 6 criteria: 3 vessels treated, ≥3 stents implanted, ≥3 lesions treated, bifurcation with 2 stents implanted, total stent length >60 mm, or chronic total occlusion. The primary efficacy endpoint was all-cause mortality, myocardial infarction, and stroke. The key safety endpoint was Bleeding Academic Research Consortium (BARC) 3 or 5 bleeding.

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Doppia terapia antiaggregante prolungata dopo un infarto miocardico: a quali pazienti?

La doppia terapia antiaggregante (DAPT) è parte essenziale della prevenzione secondaria dopo una sindrome coronarica acuta. Le Linee Guida raccomandano (in assenza di un rischio emorragico rilevante) una durata di 12 mesi, ma quando il rischio ishemico è elevato la DAPT (ASA associata a ticagrelor al dosaggio di 60 mg x 2) può essere prolungata sulla base dello studio PEGASUS-TIMI 54(1), che ha mostrato una riduzione degli eventi ischemici rispetto alla monoterapia con ASA. Tuttavia, l’incremento degli eventi emorragici attenua la portata clinica di questa strategia terapeutica.

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Pharmacodynamic effects of cangrelor in elective complex PCI: insights from the POMPEII Registry

L’uso di cangrelor può essere una strategia valida durante procedure di PCI complessa che, notoriamente, espongono i pazienti ad alto rischio di complicanze trombotiche durante la procedura stessa e nell’immediato periodo post-PCI. Tuttavia, la transizione da cangrelor a inibitore orale del recettore P2Y12 è potenzialmente critica perché potrebbe esporre i pazienti a un rischio di inadeguata inibizione piastrinica post-PCI e, dunque, a rischio di complicanze acute e pericolose come la trombosi acuta di stent. Specificamente, nel nostro studio abbiamo osservato che molti pazienti che ricevono clopidogrel in dose di carico, somministrata a fine infusione di cangrelor, presentano una inadeguata inibizione piastrinica nelle ore successive.

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Dual antiplatelet therapy duration after percutaneous coronary intervention in high bleeding risk: a meta-analysis of randomized trials.

Aims: The optimal duration of dual antiplatelet therapy (DAPT) after percutaneous coronary intervention (PCI) in patients at high bleeding risk (HBR) is still debated. The current study, using the totality of existing evidence, evaluated the impact of an abbreviated DAPT regimen in HBR patients.

Methods and results: A systematic review and meta-analysis was performed to search randomized clinical trials comparing abbreviated [i.e. very-short (1 month) or short (3 months)] with standard (≥6 months) DAPT in HBR patients without indication for oral anticoagulation. A total of 11 trials, including 9006 HBR patients, were included. Abbreviated DAPT reduced major or clinically relevant nonmajor bleeding [risk ratio (RR): 0.76, 95% confidence interval (CI): 0.61-0.94; I2=28%], major bleeding (RR: 0.80, 95% CI: 0.64-0.99, I2=0%), and cardiovascular mortality (RR: 0.79, 95% CI: 0.65-0.95, I2=0%) compared with standard DAPT. No difference in all-cause mortality, major adverse cardiovascular events, myocardial infarction, or stent thrombosis was observed. Results were consistent, irrespective of HBR definition and clinical presentation.

Conclusion: In HBR patients undergoing PCI, a 1 or 3 month abbreviated DAPT regimen was associated with lower bleeding and cardiovascular mortality, without increasing ischaemic events, compared with a ≥6-month DAPT regimen.

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Tailoring oral antiplatelet therapy in acute coronary syndromes: from guidelines to clinical practice. Review.

È un concetto ormai consolidato che la composizione e la durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), nei pazienti con sindrome coronarica acuta trattata con impianto di stent, si debba basare su una valutazione del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente. Dati recenti mostrano che, in presenza di un rischio di bleeding elevato, una DAPT abbreviata (1-3 mesi) seguita da singola terapia antipiastrinica riduca i sanguinamenti senza aumentare gli eventi trombotici rispetto al trattamento “standard” che prevede 12 mesi di DAPT. Tuttavia, la frequente coesistenza di variabili che aumentano sia il rischio ischemico che quello emorragico, come avviene soprattutto nei pazienti anziani, può generare perplessità al clinico nella scelta del trattamento più appropriato. In questi casi, le strategie di “de-escalation” (sia guidate che non guidate dai test farmacodinamici o genetici) rappresentano una alternativa alla DAPT “standard”, garantendo un ottimo equilibrio tra sicurezza ed efficacia. Benchè la scelta sulla composizione e durata della DAPT debba essere effettuata dal clinico su base individuale, l’analisi della recente letteratura permette di scegliere tra le varie opzioni disponibili, una volta accertato il profilo di rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente.

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Trombosi endoventricolare nell’infarto STEMI a sede anteriore e rischio embolico: può essere utile una profilassi con rivaroxaban?

La trombosi endoventricolare è una complicanza dell’infarto miocardico a ST sopraslivellato (STEMI), soprattutto a sede anteriore, che è andata riducendosi negli ultimi anni con l’utilizzo delle terapie riperfusive. La sua incidenza oscilla nelle varie casistiche tra il 4% ed il 26%. Un trattamento antitrombotico profilattico composto da doppia terapia antipiastrinica (DAPT) associata ad antagonista della vitamina K è stato abbandonato per l’elevato rischio emorragico ad esso correlato. Non sono disponibili, attualmente, dati controllati sull’utilizzo di anticoagulanti orali diretti in associazione ad antipiastrinici per questa condizione clinica.

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One-Month Dual Antiplatelet Therapy After Bioresorbable Polymer Everolimus-Eluting Stents in High Bleeding Risk Patients. 

Background: It is unknown whether contemporary drug-eluting stents have a similar safety profile in high bleeding risk patients treated with 1-month dual antiplatelet therapy following percutaneous coronary interventions.

Methods and Results: We performed an interventional, prospective, multicenter, single-arm trial, powered for noninferiority with respect to an objective performance criterion to evaluate the safety of percutaneous coronary interventions with Synergy bioresorbable polymer everolimus-eluting stent followed by 1-month dual antiplatelet therapy in patients with high bleeding risk. In case of need for an oral anticoagulant, patients received an oral anticoagulant in addition to a P2Y12 inhibitor for 1 month, followed by an oral anticoagulant only. The primary end point was the composite of cardiac death, myocardial infarction, or definite or probable stent thrombosis at 1-year follow-up. The study was prematurely interrupted because of slow recruitment. From April 2017 to October 2019, 443 patients (age, 74.8±9.2 years; women, 29.1%) at 10 Italian centers were included. The 1-year primary outcome occurred in 4.82% (95% CI, 3.17%-7.31%) of patients, meeting the noninferiority compared with the predefined objective performance criterion of 9.4% and the noninferiority margin of 3.85% (Pnoninferiority<0.001) notwithstanding the lower-than-expected sample size. The rates of cardiac death, myocardial infarction, and definite or probable stent thrombosis were 1.88% (95% CI, 0.36%-2.50%), 3.42% (95% CI, 2.08%-5.62%), and 0.94% (95% CI, 0.35%- 2.49%), respectively. Conclusions: Among high bleeding risk patients undergoing percutaneous coronary interventions with the Synergy bioresorbable- polymer everolimus-eluting stent, a 1-month dual antiplatelet therapy regimen is safe, with low rates of ischemic and bleeding events.

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Può una DAPT prolungata oltre l’anno essere utile nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico?

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.

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Pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) sottoposti a PCI con impianto di stent a rilascio di everolimus: quanto può essere abbreviata la DAPT?

Le Linee Guida stabiliscono una durata di 6 mesi nei pazienti con coronaropatia stabile, tuttavia nei pazienti ad alto rischio emorragico (HBR) la durata può essere ridotta. Gli studi XIENCE Short DAPT hanno dimostrato che nei pazienti HBR sottoposti ad impianto di DES a piattaforma in cobalto-cromo e rilascio di everolimus, una DAPT di 1/3 mesi è risultata non inferiore per quanto riguarda gli eventi ischemici e ha ridotto il bleeding rispetto ad una DAPT di 6/12 mesi. Non esistono invece studi di confronto tra strategie di DAPT abbreviata (1 mese verso 3 mesi) nei pazienti HBR.

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Pazienti ad alto rischio emorragico sottoposti a PCI: vantaggi di una DAPT abbreviata.

Le linee Guida Europee attuali raccomandano le prescrizione di una duplice terapia antipiastrinica (Dual Antiplatelet Therapy, DAPT) dopo un intervento coronarico percutaneo (PCI) per un periodo di tempo variabile in relazione alla presentazione clinica (sindrome coronarica acuta o cronica) e al rapporto individuale tra fattori di rischio trombotico ed emorragico. Negli ultimi anni, diversi studi randomizzati hanno testato i possibili benefici derivanti da un breve periodo di DAPT (1-3 mesi) seguito da interruzione dell’acido acetilsalicilico e prosecuzione di monoterapia antiaggregante con un inibitore del recettore piastrinico P2Y12 (clopidogrel o ticagrelor) rispetto a un tradizionale ed empirico periodo prolungato di DAPT (12 mesi). L’utilizzo di una monoterapia con un inibitore P2Y12, dopo un breve periodo di DAPT, potrebbe comportare un notevole beneficio in termini di riduzione di sanguinamento senza concomitante incremento degli eventi ischemici. Infatti, grazie ad una DAPT abbreviata, il rischio di sanguinamento atteso è inferiore rispetto ad una DAPT prolungata e grazie alla maggiore efficacia anti-trombotica dell’inibitore P2Y12 rispetto all’ASA il rischio di eventi cardiovascolari, in un periodo in cui la re-endotelizzazione dello stent impiantato è pressoché completa (1-3 mesi), è probabilmente trascurabile. Tra gli studi condotti per validare questa nuova ipotesi terapeutica, il TWILIGHT (Ticagrelorwith Aspirin or Alone in High-Risk Patients after Coronary Intervention) ha confrontato 3 mesi di DAPT (acido acetilsalicilico e ticagrelor) seguiti da monoterapia con ticagrelor con 15 mesi di DAPT (acido acetilsalicilico e ticagrelor) in 7.119 pazienti con variabili fattori di rischio ischemico ed emorragico sottoposti ad angioplastica percutanea. Al follow-up, l’endpoint composito primario, che includeva sanguinamenti Bleeding Academic Research Consortium (BARC) tipo 2, 3, o 5, risultava significativamente meno frequente nei pazienti assegnati a DAPT abbreviata seguita da ticagrelor rispetto ai pazienti assegnati a DAPT prolungata (4.0% vs 7.1%, p<0.001; hazard ratio [HR] 0.56, intervallo di confidenza [CI] del 95% 0.45-0.68). L’incidenza dell’endpoint composito secondario maggiore, che includeva morte da qualunque causa, infarto miocardico non fatale, e stroke non fatale, risultava non inferiore tra le due strategie antitrombotiche (3.9% vs. 3.9%. Pnoninferiority<0.001; HR 0.99, 95% CI 0.78-1.25). Il setting dei pazienti ad alto rischio di sanguinamento (High Bleeding Risk, HBR) è probabilmente quello che potrebbe trarre maggiore beneficio prognostico da un trattamento abbreviato con DAPT. Recentemente, l’Academic Research Consortium (ARC) ha definito dei criteri maggiori e minori identificati mediante una revisione dell’evidenza disponibile per definire pragmaticamente le condizioni comportanti un maggiore rischio emorragico nei pazienti sottoposti a PCI. Il paziente HBR è generalmente complesso perché spesso oltre all’aumentato rischio emorragico coesiste un incrementato rischio ischemico. Alla luce di queste problematiche cliniche e prognostiche, il subset dei pazienti HBR potrebbe trarre un maggiore beneficio da una DAPT abbreviata seguita da monoterapia con potente inibitore P2Y12 dopo PCI.

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