La controversia si apre con la presentazione di un paziente di 54 anni senza fattori di rischio coronarico (e senza alcuna terapia farmacologica) in cui viene diagnosticato un NSTEMI ed eseguita PCI su una stenosi dell’80% della coronaria destra (la sinistra non presenta stenosi significative). L’esame obiettivo è nella norma e la pressione arteriosa nei limiti. La funzione ventricolare sinistra alla dimissione è nella norma (FE 55%). Non si sono registrati episodi aritmici durante la degenza. La domanda è: prescrivereste un betabloccante alla dimissione?
PRO
Maron DJ, Stanford Prevention Research Center, Stanford University, Stanford, CA; Division of Cardiovascular Medicine, Department of Medicine, Stanford University School of Medicine, Stanford, CA; Cardiovascular Institute, Stanford University,Stanford, CA.
Le Linee Guida nord-americane (American Heart Association and American College of Cardiology guidelines[1]Amsterdam EA, Wenger NK, Brindis RG, et al. 2014 AHA/ACC guideline for the management of patients with non-ST elevation acute coronary syndromes: a report of the American College of … Continua a leggere pongono una raccomandazione classe 2a per una terapia betabloccante entro 24 ore da un evento acuto in assenza di controindicazioni e una prosecuzione della terapia alla dimissione nei pazienti NSTEMI con FE nei limiti di norma. Analogamente, le più recenti Linee Guida ESC[2]Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. 2023 ESC guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J 2023;44: 3720-826. indicano la stessa classe di raccomandazione (IIa). Anche se è vero che un beneficio ampio dei betabloccanti è stato osservato nelle casistiche di infarto miocardico raccolte in era pre-riperfusione, meta-analisi di studi condotti in pazienti riperfusi hanno mostrato un beneficio in termini di riduzione di recidive infartuali[3]Bangalore S, Makani H, Radford M, et al. Clinical outcomes with β-blockers for myocardial infarction: a meta-analysis of randomized trials. Am J Med 2014;127: 939-53.. Successivamente al rilascio delle Linee Guida ESC è stato pubblicato lo studio REDUCE-AMI[4]Yndigegn T, Lindahl B, Mars K, et al. Beta-blockers after myocardial infarction and preserved ejection fraction. N Engl J Med 2024; 390:1372-81, che ha mostrato un assenza di beneficio in pazienti infartuati con FE conservata. Tuttavia, lo studio non era controllato con placebo e non aveva un comitato indipendente di aggiudicazione degli eventi; inoltre, il 14% dei pazienti assegnati al gruppo “NOBetabloccanti” li assumeva, mentre il 18% dei pazienti nel gruppo “Betabloccanti” li aveva sospesi. Eliminare i betabloccanti dalla terapia farmacologica di prevenzione secondaria in questa tipologia di pazienti sulla base delle attuali evidenze appare perciò prematuro.
CONTRO
Jernberg T, Department of Clinical Sciences, Danderyd Hospital, Karolinska Institutet, Stockholm.
Un beneficio dei betabloccanti in pazienti con infarto miocardico è stato mostrato in studi degli anni ’80, quando non vi era terapia riperfusiva e gli infarti erano di ampie dimensioni. In epoca più recente sono stati iniziati studi volti a valutare l’efficacia di questi farmaci in popolazioni con una funzione contrattile conservata dopo l’evento ischemico acuto. Il più ampio studio sinora pubblicato, attuale riferimento della letteratura per questa problematica, è il REDUCE-AMI che ha arruolato 5.020 pazienti con infarto miocardico trattato secondo gli attuali standard e FE≥50% randomizzandoli a terapia betabloccante (63% metoprololo al dosaggio consigliato di 100 mg, 36% bisoprololo al dosaggio consigliato di 5 mg) associata a terapia standard o a terapia standard senza betabloccante. I betabloccanti non hanno ridotto il rischio di morte e infarto miocardico, eventi che costituivano l’outcome primario[5]Yndigegn T, Lindahl B, Mars K, et al. Beta-blockers after myocardial infarction and preserved ejection fraction. N Engl J Med 2024; 390:1372-81. Le curve di eventi erano del tutto sovrapposte e l’assenza di sottogruppi nei quali fosse presente un effetto favorevole rendono attendibile il risultato del trial. Ancora più recentemente è stato pubblicato lo studio ABYSS[6]Silvain J, Cayla G, Ferrari E, et al. Beta-blocker interruption or continuation after myocardial infarction. N Engl J Med 2024;391:1277-86. che ha valutato la sospensione del betabloccante versus la sua continuazione in pazienti con infarto miocardico (occorso a una mediana di 2.9 anni prima dell’arruolamento dei pazienti) e FE>40% (mediana 60%). Lo studio era basato su una ipotesi di non-inferiorità ponendo un limite a 3 punti percentuali; la differenza è stata di 2.8 punti percentuali (a favore della continuazione del betabloccante) e formalmente è stata raggiunta la non-inferiorità della sospensione versus la continuazione. Gli endpoint hard (morte e infarto ricorrente) sono risultati sovrapponibili tra i due gruppi. Non vi è quindi alcuna necessità di prescrivere alla dimissione un betabloccante in questa tipologia di pazienti.
Bibliografia[+]
↑1 | Amsterdam EA, Wenger NK, Brindis RG, et al. 2014 AHA/ACC guideline for the management of patients with non-ST elevation acute coronary syndromes: a report of the American College of Cardiology/American Heart Association Task Force on Practice Guidelines. J Am Coll Cardiol 2014; 64(24):e139-e228. |
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↑2 | Byrne RA, Rossello X, Coughlan JJ, et al. 2023 ESC guidelines for the management of acute coronary syndromes. Eur Heart J 2023;44: 3720-826. |
↑3 | Bangalore S, Makani H, Radford M, et al. Clinical outcomes with β-blockers for myocardial infarction: a meta-analysis of randomized trials. Am J Med 2014;127: 939-53. |
↑4, ↑5 | Yndigegn T, Lindahl B, Mars K, et al. Beta-blockers after myocardial infarction and preserved ejection fraction. N Engl J Med 2024; 390:1372-81 |
↑6 | Silvain J, Cayla G, Ferrari E, et al. Beta-blocker interruption or continuation after myocardial infarction. N Engl J Med 2024;391:1277-86. |
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