Benchè le Linee Guida raccomandino l’utilizzo a lungo termine del solo anticoagulante dopo 6 mesi di doppia terapia antitrombotica nei pazienti in fibrillazione atriale con coronaropatia stabile (CCS) sottoposta a impianto di stent, nella pratica comune l’utilizzo dell’antipiastrinico associato all’anticoagulante è abbastanza frequente[1]Fischer Q, Georges JL, Le Feuvre C, et al. Optimal long-term antithrombotic treatment of patients with stable coronary artery disease and atrial fibrillation: “OLTAT registry.” Int J Cardiol … Continua a leggere. Lo studio, eseguito in 51 centri francesi, ha arruolato 872 pazienti CCS (tutti con impianto di stent avvenuto a una mediana di 3 anni prima dell’inclusione nel trial) con alto rischio residuo aterotrombotico sia per una precedente sindrome coronarica acuta trattata con PCI e stent o per la presenza di variabili cliniche (diabete, nefropatia cronica) o anatomiche (coronaropatia multivasale o complessa). Tutti erano in terapia anticoagulante (OAC), generalmente per fibrillazione atriale (89%). Il 90% dei pazienti assumeva un DOAC, prevalentemente apixaban (60%). I pazienti (età media 71.5 anni, pregresso infarto 72%, pregresso stroke 10%, CHA2DS2- VASc score mediano = 4) sono stati assegnati al gruppo ASA+OAC (n=433) o al gruppo placebo + OAC (n=439), stratificando per la presenza, prima dell’arruolamento, di una terapia combinata ASA e OAC (stratum A) oppure del solo OAC (stratum B). Il disegno dello studio prevedeva una superiorità del trattamento con placebo +OAC con una riduzione del 25% di un outcome primario di efficacia (composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, stroke, embolismo sistemico, ischemia acuta d’arto, rivascolarizzazione coronarica) stimato essere del 16% a 2 anni nel gruppo ASA+OAC. La previsione iniziale era di arruolare 2.000 pazienti. Il trial, tuttavia, è stato interrotto prima della sua conclusione da un comitato indipendente di safety monitoring dopo una mediana di follow-up di 2.2 anni per un eccesso di mortalità nel gruppo ASA+OAC. L’outcome primario si è verificato nel 16.9% del gruppo ASA + OAC e nel 12.1% del gruppo placebo + OAC (HR aggiustato 1.53; 95% CI 1.07- 2.18; P=0.02). La morte per ogni causa è avvenuta nel 13.4% del gruppo ASA+OAC e nell’8.4% del gruppo placebo + OAC (HR aggiustato 1.72; 95% CI 1.14- 2.58; P=0.01, vedi Figura). Il bleeding maggiore (valutato secondo il criterio della International Society on Thrombosis and Haemostasis) è stato osservato nel 10.2% del gruppo ASA + OAC e nel 3.4% del gruppo placebo + OAC (HR aggiustato 3.35; 95% CI 1.87 – 6.00; P<0.001). In conclusione, nei pazienti CCS ad alto rischio aterotrombotico residuo in terapia OAC, l’aggiunta di ASA si è associata a un maggior numero di eventi trombotici (composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, stroke, embolismo sistemico, ischemia acuta d’arto, rivascolarizzazione coronarica), così come a una incidenza più elevata di morte per ogni causa e bleeding maggiore. Lo studio conferma i dati del precedente studio AFIRE (eseguito in una popolazione asiatica e anch’esso interrotto per eccesso di mortalità nel gruppo ASA+OAC) e ha una forte valenza pratica avendo arruolato una popolazione ad alto rischio trombotico e quindi potenzialmente adatta a una doppia terapia antitrombotica a lungo termine. Un altro pregio dello studio consiste nella metodologia adottata, ineccepibile sia per l’utilizzo del doppio cieco che per il basso numero di crossover. Peraltro, il numero di pazienti che hanno abbandonato lo studio o sono stati persi al follow-up è stato del 10%, un numero piuttosto elevato per gli standard attuali dei trial randomizzati. I motivi clinici dell’aumento di mortalità correlato all’utilizzo di ASA nei pazienti anticoagulati non sono stati indagati.

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