Qual è la modalità migliore per seguire i pazienti sottoposti a PCI del tronco comune per limitare gli eventi (potenzialmente catastrofici) che possono verificarsi nel follow-up e in particolare può essere utile eseguire a distanza di 6 mesi una angioCT coronarica per evidenziare una eventuale ristenosi? A questa domanda ha risposto il trial PULSE, condotto in 15 centri, prevalentemente italiani, di tre stati. Sono stati arruolati 606 pazienti con età media di 68 anni: 303 randomizzati ad angioCT (eseguita in 272 a una mediana di 200 giorni) e 303 randomizzati a essere seguiti con “standard care”, tutti sottoposti a PCI del tronco comune, nella maggior parte dei casi (67%) per NSTEACS (85% trattati con tecnica provisional e 15% con doppio stenting). Lo studio è stato disegnato come trial di superiorità di angioCT coronarica versus “standard care”, ipotizzando a 18 mesi un’incidenza dell’endpoint primario del 15% nel gruppo “standard care” e una sua riduzione del 50% nel gruppo angioCT coronarica. L’endpoint primario (composito di morte per ogni causa, infarto miocardico spontaneo, angina instabile, trombosi dello stent) a 18 mesi dalla procedura si è verificato in 36/303 pazienti sottoposti ad angioCT coronarica e in 38/303 pazienti controllo (11.9% vs 12.5%; HR: 0.97; 95% CI: 0.76-1.23; P=0.80, vedi Figura). L’esecuzione di angioCT coronarica ha comportato una riduzione degli infarti spontanei (0.9% vs 4.9%; HR: 0.26; 95% CI: 0.07-0.91; P=0.004) ma nessuna differenza nelle altre componenti dell’endpoint primario, in particolare la mortalità per ogni causa è risultata sovrapponibile nei due gruppi (7.9% versus 6.9% HR 1.16 (95% CI 0.64-2.11). Inoltre, il ricorso a angioCT coronarica ha aumentato le rivascolarizzazioni su base non clinica (imaging-driven): 4.9% vs 0.3%; HR: 7.7; 95% CI: 1.70-33.7; P=0.001. Al contrario le rivascolarizzazioni su base clinica non erano significativamente differenti: 5.3% vs 7.2%; HR: 0.74; 95% CI: 0.38-1.41; P=0.32.

In conclusione, l’angio CT coronarica dopo una PCI sul tronco comune non ha ridotto, rispetto alla “standard care”, un endpoint primario composto da morte per ogni causa, infarto miocardico spontaneo, angina instabile e trombosi dello stent, pur diminuendo significativamente l’incidenza di infarto spontaneo. Lo studio è originale e i risultati, pur non rispondendo del tutto ai quesiti inizialmente esposti, sono suggestivi e aprono la porta a ulteriori più ampi studi. Le limitazioni riguardano l’ambizioso disegno dello studio (50% di riduzione degli eventi nel gruppo angioCT coronarica rispetto allo standard care) e una randomizzazione all’esecuzione della PCI, che ha perciò permesso di includere nell’analisi anche gli eventi (pochi per la verità) verificatisi nei primi 6 mesi.
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