Linee Guida ESC 2020 “non-st segment elevation acute coronary syndromes”

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Intervista a Marco Valgimigli

Una delle novità più importanti (e attese) del recente congresso virtuale ESC è stata la presentazione delle Linee Guida nelle Sindromi Coronariche Acute senza sopraslivellamento permanente del tratto ST (NSTE-ACS). In proposito abbiamo posto alcune domande a Marco Valgimigli, cardiologo interventista di fama internazionale che ha condotto numerosi trial in questo ambito clinico.

Quali sono secondo te i punti di forza e (se ci sono) i punti deboli delle nuove Linee Guida NSTE-ACS?

Come tutte le Linee Guida, anche quelle del 2020 sul NSTE-ACS, sono documenti che vanno letti con attenzione perché esprimono un tentativo, spesso di successo, di interpretare e tradurre in pratica le evidenze disponibili. Da questo punto di vista, l’ESC ha un approccio più orientato ad “aiutare” il clinico nella propria pratica clinica, laddove i nostri colleghi americani sono più orientati a informarlo. Queste Linee Guida, a mio parere, hanno aspetti controversi ma anche innovativi e dei quali discuteremo di seguito e che tu, Stefano, hai colto come sempre in maniera molto attenta. Tra questi, il suggerimento di riallocare le risorse laboratoristiche nel dosaggio di marcatori prognostici (BNP e NT-proBNP) piuttosto che solo diagnostici come il CK e il CK-MB che, a livello di prognosi, non danno informazioni aggiuntive rispetto alla troponina ad alta sensibilità. Colgo, in questa raccomandazione, il messaggio che il cardiologo deve finalmente fidarsi ciecamente di quest’ultima nella propria pratica clinica e abbondonare, forse, un retaggio del passato. Sono curioso di vedere quanti centri adotteranno queste raccomandazioni nei prossimi mesi e quale sarà il loro impatto sulla pratica clinica. Un altro aspetto innovativo e altrettanto controverso è l’indicazione a un approccio invasivo entro 24 ore a prescindere, di fatto, dal rischio ischemico predetto. Tale raccomandazione, che non si basa sui risultati degli studi, viene giustificata dai risvolti costo-efficacia che invalidano l’uso del GRACE Score, poiché questo era stato validato in epoca in cui la troponina ad alta sensibilità non era disponibile. Leggo in questa raccomandazione “in primis” un altro calcio al pretrattamento, che perde ancor più di razionale biologico nell’ambito di un approccio “all-comer fast track”, che viene regolarmente implementato in ambito nord-europeo. Inoltre, certifica un allontanamento dai risultati degli studi clinici quali, ad esempio, TIME-ACS e Verdict che francamente fatico a comprendere. La popolazione dei NSTE-ACS è sempre più anziana e con morbilità in cui un approccio clinico prima di una eventuale rivascolarizzazione può informare meglio la necessità e le caratteristiche della stessa. Trovo utile e importante, infine, la possibilità di avere un algoritmo diagnostico a due ore, se non altro per aiutare i centri in cui a un’ora dal primo prelievo il risultato della prima troponina non sia ancora disponibile.

Sicuramente controverso è apparso il “downgrading” del pretrattamento con inibitori del recettore piastrinico P2Y12, una vera rivoluzione rispetto a una prassi consolidata in tutte le Cardiologie europee. Questa decisione appare sorprendente visto che questo “turnaround” non deriva da uno studio specifico (il DUBIUS è uscito a Linee Guida già scritte e non va nella direzione che avrebbe giustificato la nuova raccomandazione) ma da una analisi di dati della letteratura già a disposizione da tempo e da una interpretazione un poco ardita dell’ISAR-REACT 5. Cosa ne pensa?

Sono assolutamente d’accordo con la tua lettura. Lo studio DUBIUS non gioca alcun ruolo in merito, per due fondamentali motivi:
1) è stato interrotto per futilità e quindi come tale non apporta risultati conclusivi;
2) le Linee Guida non potevano essere a conoscenza dei risultati dello studio perché sono stati presentati mesi dopo che le Linee Guida erano chiuse.
Vorrei, tuttavia, spendere un breve commento sullo studio che testimonia ancora una volta la brillantezza della ricerca italiana. Tornando alle Linee Guida, la classe terza di raccomandazione può essere solo giustificata da una interpretazione ad hoc e, secondo me, “biased” dello studio ISAR-REACT 5, che tutto è meno che uno studio sul pretrattamento. Peraltro, la somministrazione così detta precoce (59 minuti!) di ticagrelor rispetto a prasugrel non ha condotto ad alcun eccesso di sanguinamento nel breve termine per cui una classe terza, secondo la filosofia ESC, non è in nessun modo giustificabile. Mi permetto di chiarire che per l’ESC classe terza significa “HARM”, ovvero danno, rischio per il paziente, a differenza della classe terza delle Linee Guida americane in cui si differenzia la classe terza per danno da quella di futilità.

Sempre a proposito di ISAR-REACT 5, è stata assegnata una raccomandazione IIa a favore di una doppia terapia antipiastrinica (DAPT) con prasugrel nei confronti di una DAPT con ticagrelor nei pazienti che vanno incontro a PCI pur mantenendo una raccomandazione globale IA per ticagrelor qualunque sia l’approccio scelto (invasivo o conservativo). Non si rischia di causare confusione?

Ancora una volta si ha sovra-interpretato lo studio ISAR-REACT 5 il quale è e rimane uno studio totalmente “underpowered” per comparare due molecole, quali ticagrelor e prasugrel che hanno necessitato di almeno 4 volte la popolazione inclusa nell’ISAR-REACT 5 per dimostrare la loro superiorità contro clopidogrel. Quando si vuole forzare l’evidenza si rischia, poi, di creare delle situazioni non chiare e le Linee Guida ESC sul NSTE-ACS sono ambigue su questo punto. Lo studio ISAR-REACT 5 è stato incensato come studio definitivo perché spontaneo. Ma bisogna anche ammettere che spontaneo non sempre significa “unbiased”. Ma le opinioni in merito contano poco e sto lavorando al fine di poter condurre uno studio, anche di confronto, delle due molecole che verifichi – o meno – i risultati dello studio ISAR-REACT 5, che in uno studio sotto-dimensionato ha comparato due strategie e non due molecole. Penso che la comunità si debba attivare a tal fine, perché è un punto molto importante per i nostri pazienti e per le agenzie sanitarie anche dal punto di vista della farmaco-economia.

Negli ultimi tempi alcuni studi randomizzati hanno testato vari schemi di riduzione del periodo di DAPT (utilizzando l’inibitore del P2Y12 in monoterapia) in confronto con i classici 12 mesi. Ne è globalmente risultata una riduzione dei sanguinamenti, senza variazione degli eventi ischemici. Le Linee Guida hanno considerato questi dati, confinando tuttavia la riduzione della DAPT ai pazienti con alto rischio emorragico. È corretta questa raccomandazione oppure la riduzione della DAPT potrebbe applicarsi a una popolazione più ampia di pazienti NSTE-ACS?

Qui, sono io ad avere un bias intrinseco perché la strategia di P2Y12 in monoterapia in pazienti senza indicazione formale all’anticoagulante è stata testata per la prima volta nello studio GLOBAL LEADERS di cui sono co-principal investigator insieme a Pascal Vranckx, Stephan Windecker e Patrick Serruys. Ancora una volta, però, non posso che condividere in pieno la tua opinione per due semplici motivi: nessuno studio a oggi ha ristretto l’inclusione in studi che testavano questa strategia terapeutica ai pazienti ad alto rischio di sanguinamento e, nelle sottoanalisi degli studi condotti, mai è stata notato che lo stato di “high bleeding risk” fosse un “treatment modifier”, ovvero che il beneficio di sanguinamento fosse maggiore in questi pazienti rispetto a coloro che non sono ad alto rischio di sanguinamento.

Si ha l’impressione che molti trial recenti includano pazienti a basso rischio ischemico che non rispecchiano il mondo reale dei pazienti ACS. Condividi questa osservazione e, se sì, come pensa sia possibile superare questo limite degli studi randomizzati? Come vede il futuro della trialistica nelle sindromi coronariche acute?

Penso che questo sia il risultato di almeno due o forse più fattori. Da una parte il rischio ischemico si è progressivamente ridotto nel tempo a scapito di quello di sanguinamento e, dall’altra, i pazienti che hanno alto o forse altissimo rischio ischemico sono pazienti che non vengono inclusi negli studi perché il medico si rifiuta di farlo o il paziente declina la partecipazione. I pazienti a maggior rischio sono pazienti con co-morbidità, fragilità, instabilità emodinamica che di fatto impedisce loro di poter partecipare a studi clinici condotti in modo tradizionale con ripetute visite al centro di arruolamento e tutto ciò che comporta la partecipazione agli studi. Dobbiamo cambiare il modo di eseguire studi da molti punti di vista. Un paziente di 83 anni con infarto miocardico e instabilità emodinamica non può ricevere un consenso informato di 8 pagine per acconsentire alla partecipazione in uno studio e dover firmare, datare e scrivere di proprio pugno il nome e cognome nel consenso informato 4 volte. E ancora non può tornare al centro per 6 volte in un anno affinché gli sia consegnato il farmaco di studio. La ricerca deve essere meglio integrata nell’attività clinica ed esserne una normale estensione. Penso, come molti peraltro, che il modello svedese sia vincente ma non facile da applicare alle nostre realtà dove esiste già una frammentazione importante all’interno delle singole città, tra diversi ospedali e tra ospedale e territorio. Se non cambiamo modo di far ricerca e la rendiamo sostenibile, avremo sempre meno evidenze e quelle poche saranno inconclusive. La ricerca deve essere eseguita dal medico e non dalle aziende farmaceutiche o di device. Per quanto criticato da molti, avremo bisogno in Europa di un organismo che operi sulla scorta della Food and Drug Administration, cioè che non si limita ad approvare o meno farmaci o “device” ma indichi la ricerca necessaria a tal fine. Dobbiamo semplicemente suggerire alle aziende quale ricerca è necessaria piuttosto che far loro decidere come dimostrare se i propri farmaci o “device” funzionano e poi giudicare criticamente i loro risultati perché ritenuti meno credibili se condotti da uno sponsor che ha interessi commerciali legati ai risultati dei loro studi.

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