Significato prognostico di placche attive dopo infarto miocardico individuate mediante PET-TC.

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Indice

Inquadramento

Nei pazienti con un recente infarto miocardico non vi sono indicatori clinici capaci di predire con sufficiente attendibilità il rischio di un nuovo evento acuto. Indagini eseguite con strumenti di imaging invasivo hanno individuato alcune caratteristiche di placca che possono associarsi a un rischio di instabilizzazione clinica, quali la presenza di un core necrotico ampio o un cappuccio fibroso sottile. Tuttavia, l’utilizzo di questi strumenti non può essere esteso su larga scala e non sempre è privo di rischi. Tra le metodiche non invasive, la TC coronarica permette una valutazione qualitativa delle stenosi e, associata alla PET, è in grado di individuare le placche attive, con più alta probabilità di causare instabilizzazione clinica. In particolare la PET-TC, utilizzando come tracciante il 18F-sodium fluoride, evidenzia le microcalcificazioni attive all’interno del core necrotico, localizzando le stenosi con più elevata vulnerabilità[1]Joshi NV, Vesey AT, Williams MC, et al.18F-fluoride positron emission tomography identifies ruptured and high-risk coronary atherosclerotic plaques. Lancet. 2014; 383(9918): 705-713. … Continua a leggere.

Lo studio in esame

Lo studio prospettico internazionale policentrico (9 centri in 4 nazioni) ha raccolto una casistica di 704 pazienti con età >50 anni (età media 64 anni, 85% di sesso maschile, 665 infarti STEMI, 95% trattati con PCI) e infarto miocardico di tipo 1 recente (entro 21 giorni) e coronaropatia multivasale, escludendo i pazienti con GFR ≤30mL/min/1.73m2) e fibrillazione atriale. I pazienti hanno eseguito una PET-TC utilizzando come tracciante il 18F-sodium fluoride: in 421 (60%) erano presenti segnali relativi alla presenza di placche attive (la “coronary microcalcification activity” veniva valutata allo scan PET sulla base del volume e dell’intensità dell’uptake del tracciante). A una mediana di follow-up di 4 anni, 141 pazienti (20%) raggiungevano l’endpoint primario (morte cardiaca n=9; infarto miocardico n=49; rivascolarizzazione non pianificata n=83). La presenza di elevata attività di placca non si associava in modo significativo all’endpoint primario (hazard ratio [HR], 1.25; 95%CI, 0.89-1.76; p=.20), ma solo all’endpoint secondario morte cardiaca e infarto miocardico (HR, 1.82; 95% CI, 1.07-3.10; p=.03) e alla morte per ogni causa (HR, 2.43; 95%CI, 1.15- 5.12; p=.02). Tuttavia, l’aggiustamento per le variabili cliniche dei due gruppi non confermava quest’ultima associazione (vedi Tabella). L’esposizione a radiazioni è stata di 6 mSv per il tracciante, mentre per la procedura TC è stata di 4.9 mSv.

Take home message

In pazienti con infarto miocardico recente, una attività di placca elevata non si è associata all’endpoint primario (morte cardiaca, infarto miocardico, rivascolarizzazione non pianificata). L’associazione con l’endpoint secondario (morte cardiaca, infarto miocardico) necessita di essere confermata da ulteriori studi prospettici.

Interpretazione dei dati

Il razionale di questa ricerca consiste nel fatto che lo sviluppo iniziale di micro-calcificazioni all’interno di una placca lipidica (pur essendo questo fenomeno di tipo riparatorio, avendo finalità di contenimento e stabilizzazione della lesione) è un segnale di una placca instabile e si correla con un’alta probabilità di fissurazione dando luogo a una catena di eventi che portano alla formazione del trombo. L’uptake di 18F-sodium fluoride si correla con la presenza di placche ad alto rischio individuate secondo i criteri dell’imaging intracoronarico, in particolare dell’OCT[2]Majeed K, Bellinge JW, Butcher SC, et al. Coronary 18F-sodium fluoride PET detects high-risk plaque features on optical coherence tomography and CT-angiography in patients with acute coronary … Continua a leggere. Lo studio ha luci e ombre: è stato fallito il raggiungimento del primary outcome, perché quest’ultimo è stato modificato durante l’esecuzione dello studio includendo anche la rivascolarizzazione urgente (che non è risultata significativamente differente tra i due gruppi), mentre l’associazione di morte cardiaca e infarto miocardico (il primary outome originario) è risultata significativamente maggiore nel gruppo caratterizzato da una elevata attività di placca. Il motivo per cui la rivascolarizzazione urgente non differisce tra i due gruppi non appare completamente chiaro: gli Autori osservano come questo dato differisca dallo studio PROSPECT[3]Stone GW, Maehara A, Lansky AJ, et al. PROSPECT Investigators. A prospective natural-history study of coronary atherosclerosis. N Engl J Med. 2011;364:226-235. doi:10.1056/NEJMoa1002358. nel quale i predittori principali degli eventi risultavano il “burden” di placca >70% e la riduzione dell’area luminale, mentre gli eventi più numerosi riguardavano proprio le rivascolarizzazioni urgenti. Sembrerebbe perciò che questa tipologia di evento (necessità di rivascolarizzazione urgente), dipenda più dalla severità della stenosi che dal livello di attività di placca: il fatto che le rivascolarizzazioni in questo studio si siano collocate temporalmente nel primo anno di follow-up può deporre a favore di questa spiegazione. La limitazione principale dello studio consiste nella metodica stessa, di difficile impiego per un uso routinario in questo setting clinico. È quindi verosimile che questa tipologia di indagine resti confinata nell’ambito della ricerca e non possa avere una diffusione tale da poter essere messa a disposizione di ampie popolazioni di pazienti con infarto miocardico recente.

Bibliografia

Bibliografia
1 Joshi NV, Vesey AT, Williams MC, et al.18F-fluoride positron emission tomography identifies ruptured and high-risk coronary atherosclerotic plaques. Lancet. 2014; 383(9918): 705-713. doi:10.1016/S0140-6736(13)61754-7.
2 Majeed K, Bellinge JW, Butcher SC, et al. Coronary 18F-sodium fluoride PET detects high-risk plaque features on optical coherence tomography and CT-angiography in patients with acute coronary syndrome. Atherosclerosis. 2021;319:142-148. doi:10.1016/j.atherosclerosis.2020.12.010.
3 Stone GW, Maehara A, Lansky AJ, et al. PROSPECT Investigators. A prospective natural-history study of coronary atherosclerosis. N Engl J Med. 2011;364:226-235. doi:10.1056/NEJMoa1002358.

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