Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
Le procedure di PCI sono divenute progressi- vamente più complesse con l’aumentare dell’abilità e dell’esperienza degli operatori e il crescente numero di pazienti anziani sottoposti a rivascolarizzazione percutanea. La complessità delle lesioni trattate e la tipologia dei pazienti ha determinato la necessità di trattamento di vasi calcifici. Tradizionalmente le stenosi calcifiche venivano sottoposte a pretrattamento con palloni “cutting” o “scoring”, ma soprattutto affrontate con la aterectomia rotazionale (ROT), causa tuttavia di frequenti complicanze e di infarti periprocedurali[1]Chambers JW, Feldman RL, Himmelstein SI, et al. Pivotal trial to evaluate the safety and efficacy of the orbital atherectomy system in treating de novo, severely calcified coronary lesions (ORBIT … Continua a leggere. Da alcuni anni è possibile intervenire su queste lesioni con la litotripsia intravascolare coronarica (IVL, Shockwave Medical) basata sulla stessa tecnologia applicata inizialmente al trattamento della nefrolitiasi. Il principio si fonda sulla generazione di onde d’urto trasmesse dal palloncino alla parete arteriosa che causano la frantumazione della componente vascolare calcifica.
Lo studio in esame
La casistica raccolta nel registro BMC2 (Blue Cross Blue Shield of Michigan Cardiovascular Consortium) proviene da 48 ospedali del Michigan, che tra il gennaio 2021 e il giugno 2022 hanno trattato con IVL 1.090 pazienti (2.6% di tutte le procedure di PCI) e con ROT 1.743 pazienti (4.10% delle PCI), mentre entrambi i sistemi sono stati applicati in 240 pazienti (0.6% delle PCI). Durante il periodo dello studio, l’utilizzo di IVL è progressivamente cresciuto dallo 0.04% delle procedure nel gennaio 2021 al 4.3% nel giugno 2022, mentre l’utilizzo di ROT è passato dal 4.4% al 3.6%. L’età media dei pazienti era 72 anni (non differente tra i due gruppi); l’uso di IVL prevaleva nei pazienti già sottoposti a PCI (P<0.001), in quelli con NSTEMI o STEMI (P<0.001) e nei pazienti nei quali prevaleva l’approccio radiale (P<0.001). I MACE (mortalità ospedaliera, infarto miocardico, stroke, perforazione coronarica, tamponamento cardiaco) non sono risultati differenti tra i 2 gruppi (IVL 4.3% vs ROT 5.4%; P=0.23), così come il successo procedurale (89.4% vs 89.1%; P=0.88). Tuttavia, la perforazione coronarica e il no reflow sono risultati più frequenti con ROT (vedi Tabella). Nei pochi pazienti in cui entrambe le tecnologie (IVL e ROT) sono state utilizzate le complicanze sono state più numerose con una mortalità ospedaliera del 5%. La popolazione del registro differiva dagli studi precedenti che avevano utilizzato IVL, come il Disrupt CAD III trial[2]Hill JM, Kereiakes DJ, Shlofmitz RA, et al. Intravascular lithotripsy for treatment of severely calcified coronary artery disease. J Am Coll Cardiol. 2020;76:2635–2646., in quanto solo il 15.6% dei pazienti inclusi nel Michigan registry aveva le caratteristiche di inclusione ed esclusione di quel trial. In questa sottopopolazione “trial simile” del registro, i MACE risultavano assenti e il successo procedurale era del 94.7%.
Take home message
L’utilizzo di IVL è progressivamente aumentato dalla sua introduzione nel 2021, superando, in un anno, l’utilizzo di ROT. Il successo procedurale è elevato e le complicanze contenute.

Interpretazione dei dati
Lo studio è interessante anche se ha limitazioni notevoli. Così anche l’informazione che nella routine dei laboratori di emodinamica poco meno del 10% delle procedure di PCI, attualmente riguardano lesioni calcifiche che necessitano di una preparazione con tecniche di aterectomia o di litotripsia prima dell’impianto dello stent. Nell’esperienza dei laboratori del Michigan il numero di queste procedure è raddoppiato nella fase finale rispetto a quella iniziale, indicando che la disponibilità di un dispositivo di più semplice utilizzo, rispetto all’aterectomia rotazionale (infatti nel corso del registro gli operatori hanno progressivamente sostituito il Rotablator con il device di litotripsia intravascolare) possa permettere una migliore preparazione delle stenosi calcifiche favorendo l’espansione dello stent. I limiti dello studio sono peraltro evidenti: il confronto tra le due tecniche non è rando- mizzato e quindi le differenze osservate, anche nelle complicanze (perforazioni, no reflow) seppur plausibili, devono essere considerate con molta prudenza. Inoltre, l’incidenza di infarto periprocedurale dichiarata è veramente modesta (attorno all’1%) mancando un preciso protocollo per la sua individuazione. Non appare poi chiaro il motivo per cui in alcuni pazienti (8%) entrambe le tecnologie siano state utilizzate; gli Autori, commentando questo dato, osservano che spesso, nelle lesioni molto severe difficilmente superabili con il palloncino, venga inizialmente utilizzato il Rotablator per permettere il successivo avanzamento del dispositivo per litotripsia. Questa sequenza di utilizzo appare avere un suo razionale: tuttavia, se questa è la motivazione, non è chiaro il motivo per cui questi pazienti abbiano presentato una mortalità ospedaliera molto elevata (5%) e un’incidenza di stroke (1.2%) molto maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti in cui era stato utilizzato un solo dispositivo. Infine, un follow-up a distanza con documentazione dell’esito di queste procedure, in particolare la necessità di un eventuale reintervento, avrebbe dato maggiore rilievo informativo al lavoro.
Bibliografia[+]
↑1 | Chambers JW, Feldman RL, Himmelstein SI, et al. Pivotal trial to evaluate the safety and efficacy of the orbital atherectomy system in treating de novo, severely calcified coronary lesions (ORBIT II). JACC Cardiovasc Interv. 2014;7:510–518. |
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↑2 | Hill JM, Kereiakes DJ, Shlofmitz RA, et al. Intravascular lithotripsy for treatment of severely calcified coronary artery disease. J Am Coll Cardiol. 2020;76:2635–2646. |
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