Arresto cardiaco extra e intraospedaliero in era covid: i risultati di un ampio registro svedese.

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Inquadramento

Alcuni studi, tra cui uno italiano[1]Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, et al. COVID-19 kills at home: the close relationship between the epidemic and the increase of out-of-hospital cardiac arrests. Eur … Continua a leggere, hanno mostrato un aumento degli arresti cardiaci sul territorio (OHCA) durante la prima ondata della pandemia da COVID-19. Tuttavia, non è mai stato sinora descritto il rapporto tra outcome dei pazienti ed eventuale presenza di una positività al Covid-19.

Lo studio in esame

Il registro svedese Swedish Registry for Cardiopulmonary Resuscitation ha raccolto dati dal 1 gennaio al 20 luglio 2020 (considerando il 16 marzo l’inizio della pandemia) sugli OHCA (età media 70.2 anni, 33.8% donne) e sugli arresti cardiaci intraospedalieri (IHCA, età media 68.9 anni, 37.3% donne) includendo l’informazione sulla presenza o assenza di positività al tampone per COVID-19 in un ampio numero di pazienti. La positività è stata riscontrata nel 10% dei 1.946 OHCA e nel 16.1% dei 1.080 IHCA. La mortalità a 30 giorni è risultata significativamente più elevata nei pazienti COVID-19 positivi per quanto riguarda OHCA e IHCA, sia rispetto ai negativi che al periodo pre-pandemico (Tabella). Da notare che tra i pazienti OHCA affetti da COVID-19 solo 4 risultavano vivi a 30 giorni (4.5%) mentre nessuno è stato dimesso vivo.

Take home message

I pazienti con COVID-19 hanno avuto una mortalità a trenta giorni più elevata di 3.4 volte per gli eventi OHCA e di 2.3 volte per gli IHCA rispetto ai pazienti negativi al virus.

Interpretazione dei dati

Gli Autori commentando i loro dati dichiarano che molti pazienti positivi al Covid con IHCA non erano monitorizzati durante il ricovero e quindi ne è stato constatato il decesso senza metter in atto manovre di rianimazione. Quando è stata tentata una rianimazione cardiopolmonare è consistita, nella maggior parte dei casi, nella sola compressione toracica. Questi dati (unitamente al fatto che solo il 7.5% dei pazienti OHCA con COVID-19 aveva un ritmo defibrillabile in confronto al 22.8% dei pazienti non-COVID) possono spiegare la più alta mortalità osservata in questo gruppo di pazienti, rispetto a quelli non affetti da COVID-19. Interessante, anche, il dato di un aumento degli OHCA avvenuti in presenza di testimoni, soprattutto tra le mura domestiche, con un incremento del 47% di uso del defibrillatore, probabile conseguenza di un maggior numero di soggetti “costretti” in casa dalla pandemia, pur in assenza di un lockdown formale in Svezia.

L’opinione di Simone Savastano

UOC di Cardiologia, Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo, Pavia

Lo studio dei colleghi svedesi ha confermato lo stretto legame tra COVID-19 e arresto cardiaco. Molti meccanismi possono essere alla base di questo legame e si possono raggruppare in due grandi categorie: quelli legati alla patologia e quelli legati alla pandemia. Tra i primi i più importanti sono la progressione dell’insufficienza respiratoria nei pazienti affetti, l’embolia polmonare e l’infarto miocardico (entrambi favoriti da uno stato protrombotico) e l’interessamento primario del miocardio con conseguente rischio di aritmie ventricolari. Gli effetti dovuti alla pandemia sono rappresentati dalla paura della popolazione ad accedere in Pronto Soccorso per timore del contagio con conseguente rischio di complicanze di patologie tempo-dipendenti. La maggior parte degli studi sino a ora, tra cui anche quelli del nostro gruppo[2]Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, et al. COVID-19 kills at home: the close relationship between the epidemic and the increase of out-of-hospital cardiac arrests. Eur … Continua a leggere[3]Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, et al. Out-of-Hospital Cardiac Arrest during the Covid-19 Outbreak in Italy. N Engl J Med. 2020., si sono concentrati sul legame tra COVID-19 e arresto extra-ospedaliero. Nello studio svedese, invece, è stata analizzata anche una coorte di pazienti con arresto cardiaco intraospedaliero e ciò rappresenta la prima novità. La positività al COVID-19 è risultata prevedibilmente maggiore nei pazienti con arresto intraospedaliero, rispetto a quelli con arresto extraospedaliero come possibile conseguenza di complicazioni legate all’infezione. È ragionevole, infatti, ritenere che i pazienti ricoverati avessero una manifestazione più severa della patologia e quindi potessero complicarsi maggiormente con arresto cardiaco. Un altro aspetto degno di nota è il fatto che in Svezia non sia stato attuato un vero e proprio lockdown e perciò rappresenta un modello epidemiologico differente da quelli descritti sino a ora. Molti studi hanno dimostrato una riduzione del tasso di rianimazione da astanti, mentre i colleghi svedesi hanno descritto un trend contrario caratterizzato da un aumento del tasso di rianimazione da astanti e di defibrillazione precoce. Come spiegato dagli Autori, ciò può dipendere proprio dalle diverse regole governative in tema di pandemia poiché sia la rianimazione da astanti che la defibrillazione precoce risentono, sicuramente, del distanziamento sociale e dell’isolamento. Nonostante questa differenza, che avrebbe dovuto giocare un ruolo favorevole in termini di sopravvivenza, anche in Svezia hanno assistito a una riduzione della sopravvivenza confermando come l’associazione tra COVID-19 e arresto sia una combinazione nefasta.

Bibliografia

Bibliografia
1, 2 Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, et al. COVID-19 kills at home: the close relationship between the epidemic and the increase of out-of-hospital cardiac arrests. Eur Heart J. 2020;41:3045-3054. doi: 10.1093/ eurheartj/ehaa508.
3 Baldi E, Sechi GM, Mare C, Canevari F, Brancaglione A, Primi R, et al. Out-of-Hospital Cardiac Arrest during the Covid-19 Outbreak in Italy. N Engl J Med. 2020.

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