Stefano De Servi

Impact of biomarker type on periprocedural myocardial infarction in patients undergoing elective PCI.

Background: Periprocedural myocardial infarction (MI) according to the Society for Cardiovascular Angiography and Interventions (SCAI) criteria has prognostic relevance among patients undergoing percutaneous coronary intervention (PCI). However, it is unclear whether the type of cardiac biomarker used for the diagnosis of periprocedural MI plays a role in terms of event frequency and outcomes.

Objectives: To compare the characteristics of SCAI periprocedural MI based on creatine kinase-myocardial band fraction (CK-MB) vs high-sensitivity cardiac troponin (hs-cTn) in patients undergoing elective PCI.

Methods and results: Between 2017 and 2021, periprocedural MI was assessed in a prospective study. The primary clinical outcome of interest was all-cause death at 1-year follow-up. A total of 1010 patients undergoing elective PCI were included. SCAI periprocedural MI based on CK-MB vs hs-cTnI occurred in 1.8 and 13.5% of patients, respectively. hs-cTnI periprocedural MI in the absence of concomitant CK-MB criteria was associated with lower rates of ancillary criteria, including angiographic, ECG, and cardiac imaging criteria. At 1-year follow-up, periprocedural MI defined by CK-MB (adjusted hazard ratio, HR, 4.27, 95% confidence intervals, CI, 1.23–14.8; P=0.022) but not hscTnI (adjusted HR 2.04, 95% CI 0.94–4.45; P=0.072) was associated with a higher risk of all-cause death. Hs-cTnI periprocedural MI was not predictive of death unless accompanied by CK-MB criteria (adjusted HR 4.64, 95% CI 1.32– 16.31; P=0.017).

Conclusion: In the setting of elective PCI, using hs-cTn instead of CK-MB resulted in a substantial increase in SCAI periprocedural MI events, which were not prognostically relevant in the absence of concurrent CK-MB elevations.

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Endothelial function predicts 5-year adverse outcome in patients hospitalized in an emergency department chest pain unit

Sebbene la funzione endoteliale sia un noto marker di rischio cardiovascolare, la sua valutazione non viene effettuata di routine nella pratica clinica. Inoltre, se la presenza di disfunzione endoteliale si associ a un rischio aumentato di eventi cardiovascolari avversi maggiori, (MACE, inclusi mortalità per tutte le cause, infarto miocardico, ricovero per insufficienza cardiaca o angina pectoris, ictus, bypass aorto-coronarico e interventi coronarici percutanei) durante il follow-up, è sconosciuto. In questo studio sono stati analizzati 300 pazienti consecutivi, senza nota malattia coronarica, ammessi a un’unità di dolore toracico (CPU) e sottoposti ad angiografia coronarica computerizzata (CCTA) o scintigrafia.

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Le manifestazioni cliniche della amiloidosi.

La diagnosi di amiloidosi cardiaca presuppone che il cardiologo riconosca alcuni aspetti clinici (“red flags”) che possono essere distinti in cardiaci (ipertrofia ventricolare sinistra, alterata funzione diastolica, fibrillazione atriale, disturbi del sistema di conduzione, elevazione dei marker cardiaci) ed extracardiaci (tunnel carpale, interventi per protesi al ginocchio o all’anca, pregressi interventi alla spalla, proteinuria, neuropatia periferica). Difficile distinguere sul piano clinico la amiloidosi AL (da catene leggere delle immunoglobuline) dalla forma ATTR (da accumulo di transtiretina) se non per la presenza, solo in questa seconda forma, della rottura del tendine del bicipite e la stenosi spinale. Benché la risonanza magnetica non sia né necessaria né sufficiente per porre diagnosi di amiloidosi cardiaca, alcuni aspetti quali l’aumento del volume extracellulare, l’abnorme cinetica del gadolinio e il suo “late enhancement” possono generare il sospetto diagnostico. Il primo passo dell’algortimo diagnostico consiste nella ricerca di una proteina monoclonale per escludere una alterazione plasmacellulare (che indirizzerebbe verso una possibile amiloidosi di tipo AL). Se presente, è necessario consultare un ematologo per il prosieguo dell’iter diagnostico. Se assente, la SPECT con tecnezio pirofosfato rappresenta lo step successivo. Se positiva, il test genetico preciserà se siamo di fronte a una ATTRv (da varianti della transtiretina, la più frequente dovuta alla sostituzione di isoleucina per valina in posizione 122 della proteina) o a una forma TTRwt (“wild type” o forma senile). Il risultato del test ci dirà se i familiari andranno indagati o se potremo usare i nuovi farmaci “mRNA silencers” (approvati solo per le forme ATTR-v) per curare una eventuale neuropatia periferica.

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Qual è la reale incidenza di stroke post-procedurale nei pazienti sottoposti a TAVI?

La vera incidenza di stroke dopo procedura di TAVI non è del tutto chiarita, perché i dati desunti dai registri sono differenti (e generalmente più bassi, attorno al 2.3% negli Stati Uniti) da quelli riportati nei trial clinici (generalmente più alti e compresi tra 3.4% e 6.1%). Questo potrebbe dipendere dal fatto che nei trial una valutazione neurologica post-intervento è generalmente prevista dal protocollo, mentre non lo è per i registri. Le discrepanze osservate potrebbero anche dipendere dalla tipologia di ospedali che partecipano ai registri, non tutti dotati di unità complete per la diagnosi e cura dello stroke, e quindi suscettibili di una sottovalutazione della problematica.

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Coronarografia precoce o tardiva nei pazienti NSTEMI? l’esperienza di un ampio registro asiatico.

Nei pazienti con infarto senza sopraslivellamento persistente del tratto ST (NSTEMI), un intervento di rivascolarizzazione precoce (entro 12-24 ore) non ha determinato una prognosi migliore rispetto a un intervento più tardivo (tra 48 e 72 ore), se non nei pazienti con profilo di rischio più elevato. Tuttavia, questi tempi sono stati calcolati dalla diagnosi in ospedale, non dall’effettivo inizio dei sintomi.

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Ablazione della fibrillazione atriale a campo pulsato: una tecnologia vincente?

L’ablazione che utilizza energia a radiofrequenza, crioablazione o laser è una tecnica efficace nel trattamento della fibrillazione atriale (AF), ma può danneggiare le strutture circostanti causando complicanze, quali la perforazione esofagea, la lesione del nervo frenico e la stenosi delle vene polmonari. L’ablazione a campo pulsato è, invece, una modalità non termica, in quanto fornisce brevi raffiche di campi elettrici creando un danno cellulare per “elettroporazione” irreversibile, cioè creando una iper-permeabilizzazione delle membrane cellulari e causando la morte dei cardiomiociti.

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Great debate: triple antithrombotic therapy in patients with atrial fibrillation undergoing coronary stenting should be limited to 1 week.

Cinque trial hanno confrontato doppia terapia antitrombotica (DAT: anticoagulante associato a inibitore P2Y12), rispetto alla triplice terapia antitrombotica (TAT: anticoagulante associato ad ASA e inibitore P2Y12) e cioè WOEST; REDUAL, PIONEER AF-PCI; ENTRUST-AF PCI; AUGUSTUS. La meta-analisi di questi studi ha mostrato una riduzione del 50% del rischio di bleeding clinicamente rilevanti nei pazienti in DAT rispetto a quelli in TAT [hazard ratio (HR 0.56, 95% CI 0.39–0.80)] senza significativo incremento degli eventi avversi cardiovascolari (HR 1.07; 95% CI 0.94–1.22).

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Qual è il vantaggio offerto da una strategia IVUS guidata nella PCI complessa?

L’utilità dell’ecografia intravascolare (IVUS) nelle procedure di PCI, soprattutto in quelle complesse, è ampiamente documentata e ribadita nelle Linee Guida : il suo utilizzo permette, infatti, una migliore stima delle dimensioni del vaso da trattare, un più accurato impianto dello stent, una più rapida e attendibile valutazione di eventuali complicanze. Tuttavia, non è noto quale sia l’effettivo utilizzo nel mondo reale di questa tecnica, la variabilità di uso tra ospedale e ospedale, le conseguenze sull’outcome dei pazienti (in particolare mortalità e necessità di reintervento) nelle procedure in cui venga o non venga utilizzata.

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Come trattare una ristenosi: i risultati a 10 anni dello studio ISAR-DESIRE 3.

La ristenosi dello stent non è più un problema assillante come lo fu nei primi tempi della storia della angioplastica coronarica (PCI), essendosi nettamente ridotta la sua incidenza con l’avvento dei DES; tuttavia ampie casistiche recenti mostrano come circa il 10% delle attuali procedure di PCI siano effettuate per ristenosi di lesioni precedentemente dilatate. . Quale sia la modalità migliore del suo trattamento è tuttora controverso: una metanalisi recente, basata sui dati individuali di pazienti (patientlevel), mostra un miglior esito, a tre anni di follow-up, se la ristenosi è sottoposta a un nuovo impianto di DES piuttosto che a semplice dilatazione utilizzando palloncini ricoperti di farmaco (“drug-coated balloons” – DCB). Non sono disponibili dati di confronto tra queste due metodiche per follow-up più prolungati.

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