Stefano De Servi

Correlation between epicardial adipose tissue and atrial fibrillation burden in coronary artery bypass graft surgery

Studi recenti suggeriscono un’associazione tra tessuto adiposo epicardico (EAT) e fibrillazione atriale (AF). Le caratteristiche istologiche dell’EAT, in relazione al burden di fibrillazione atriale dopo intervento di bypass aorto-coronarico (CABG), restano ancora poco definite e rappresentano l’oggetto del presente studio che ha incluso 56 pazienti, di cui ventidue hanno presentato almeno un episodio di AF. Nel gruppo con AF, si è riscontrato un volume atriale maggiore, un grado più elevato di disfunzione diastolica e uno spessore maggiore di EAT. Il EAT con un cut-off di 4 mm è risultato un predittore indipendente di AF (odds ratio [OR]: 1.49; 95% confidence interval [CI]: 1.09-2.04) con una sensibilità del 73% e specificità del 89%. I pazienti con AF presentavano, inoltre, una percentuale significativamente maggiore di fibrosi. All’analisi multivariata, il volume atriale, la fibrosi e l’età sono risultati predittori indipendenti di fibrillazione atriale. In conclusione, lo spessore di EAT, il volume atriale, la fibrosi e l’età rappresentano predittori indipendenti di AF post-chirurgica.

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Rischio lipidico e rischio infiammatorio: quale pesa maggiormente sulla prognosi dei pazienti che assumono statine?

I pazienti affetti da malattia cardiovascolare sono potenziali candidati a nuovi eventi, se non viene adeguatamente controllato sia il rischio residuo derivante da livelli elevati di colesterolo LDL che il rischio infiammatorio. Quale dei due maggiormente contribuisca al verificarsi di successivi eventi cardiovascolari, una volta che il paziente sia posto in terapia con statine, non è ancora noto.

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Lesioni complesse sottoposte a PCI: quanto è utile l’imaging intracoronarico?

È noto come la guida intravascolare (soprattutto la ultrasonografia intracoronarica –IVUS) sia utile sia per favorire la sede e la dimensione degli stent da utilizzare durante le procedure di PCI che per ottimizzarne l’impianto. Gli studi in proposito sono indicativi di questo beneficio, ma hanno delle limitazioni, perché talora eseguiti in casistiche sottodimensionate o in gruppi di pazienti definiti in base a singole caratteristiche anatomiche. Nessuno studio di ampie dimensioni ha indagato l’utilità dell’utilizzo dell’IVUS nelle procedure di PCI complesse, la cui esecuzione è più impegnativa e il cui esito a distanza meno favorevole.

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TC coronarica con misurazione on-site della FFR: strategia diagnostica vincente rispetto ai test funzionali?

L’utilizzo della TC coronarica (CCT) permette la visualizzazione anatomica dell’albero coronarico, ma spesso la quantizzazione della stenosi non corrisponde al dato fornito dalla coronarografia invasiva. Inoltre, nel riscontro di lesioni intermedie, il ricorso a test funzionali è ancora molto alto. L’utilizzo della FFR, utilizzando algoritmi basati sulla dinamica dei fluidi, consente di migliorare la specificità dell’ indagine e ridurre il numero di pazienti inviati all’esame invasivo ma è basato su una costosa valutazione offline.

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Sex differences of patients with acute chest pain evaluated through a chest pain unit

Sebbene le differenze cliniche nei pazienti con infarto miocardico acuto siano ben note, i dati relativi ai pazienti che accedono con dolore toracico (CP) sono limitati. Nel presente studio retrospettivo di 1.000 pazienti consecutivi (673 uomini e 327 donne) ammessi in un’unità del dolore toracico di un centro ospedaliero terziario, l’endpoint primario era il composito di nuovo accesso per dolore toracico, sindrome coronarica acuta, rivascolarizzazione e morte a 90 giorni e a 1 anno. Non si è osservata alcuna differenza per quanto riguarda la prevalenza di valutazione non invasiva tra le donne (87.8 %) e gli uomini (87.3%). Le donne avevano meno probabilità di presentare una malattia coronarica significativa alla coroTC (4.2 vs. 11.3%, P=0.005), oppure all’imaging di perfusione miocardica (4.4% vs. 7.6%, P=0.007). Di conseguenza, un minor numero di donne è stato sottoposto ad angiografia coronarica (8% vs. 14%, P=0.006) e rivascolarizzazione percutanea (2.8 vs. 7.3%, P=0.004). Durante il follow-up, non si sono osservate differenze nell’endpoint primario tra i due sessi sia a 90 giorni (odds ratio [OR] 0.91, 95% confidence interval [CI]: 0.39-2.09, P=0.82) che a 1 anno (OR 1.16, 95% CI 0.65-2.06, P=0.59).

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P2Y12 Inhibitor Monotherapy or Dual Antiplatelet Therapy After Complex Percutaneous Coronary Interventions

Background: It remains unclear whether P2Y12 inhibitor monotherapy preserves ischemic protection, while limiting bleeding risk compared with dual antiplatelet therapy (DAPT) after complex percutaneous coronary intervention (PCI).

Objectives: We sought to assess the effects of P2Y12 inhibitor monotherapy after 1-month to 3-month DAPT vs standard DAPT in relation to PCI complexity.

Methods: We pooled patient-level data from randomized controlled trials comparing P2Y12 inhibitor monotherapy and standard DAPT on centrally adjudicated outcomes after coronary revascularization. Complex PCI was defined as any of 6 criteria: 3 vessels treated, ≥3 stents implanted, ≥3 lesions treated, bifurcation with 2 stents implanted, total stent length >60 mm, or chronic total occlusion. The primary efficacy endpoint was all-cause mortality, myocardial infarction, and stroke. The key safety endpoint was Bleeding Academic Research Consortium (BARC) 3 or 5 bleeding.

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Anticoagulante durante PCI primaria: bivalirudina o eparina?

Gli studi di confronto tra eparina non frazionata (UFH) e bivalirudina (BIVA – un inibitore diretto della trombina con breve emivita), in pazienti STEMI sottoposti a PCI primaria sono stati condizionati da numerosi fattori che hanno contribuito all’esito dei trial. La sequenza degli studi di confronto ha mostrato come UFH debba essere utilizzata in monoterapia, mentre BIVA debba essere somministrata proseguendo l’infusione anche al termine della procedura di PCI.

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Indicazioni alla chirurgia nell’insufficienza mitralica degenerativa: è tempo di un “paradigm shift”?

Le indicazioni di classe I per il trattamento dell’insufficienza mitralica degenerativa raccomandano di considerare, soprattutto, la presenza di sintomi o una riduzione della funzione ventricolare sinistra. É noto, tuttavia, che un aumento delle dimensioni atriali (≥60 mL/m2-LAVI-), della pressione polmonare elevata (≥50 mmHg – PH-), la concomitanza di fibrillazione atriale (AF) e di insufficienza tricuspidalica moderato/severa (MSRT) hanno un peso prognostico rilevante in questi pazienti, anche se non costituiscono elementi che permettano di porre una indicazione chirurgica di classe I. Non è noto se questi marker secondari di outcome condizionino anche la prognosi di questi pazienti dopo l’intervento chirurgico.

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