Stefano De Servi

L’infarto miocardico dopo angioplastica coronarica: quale definizione utilizzare?

L’infarto miocardico periprocedurale (PPMI) è una complicanza non infrequente delle procedure di angioplastica coronarica (PCI) che limita l’impatto clinico favorevole della procedura. Ne sono state proposte alcune definizioni che differiscono tra loro, sia per le soglie di incremento postprocedurale della troponina (cTn), che per la presenza o meno di criteri ancillari che indichino il rischio di complicanze angiografiche o di nuova ischemia miocardica. Tuttavia, non c’è consenso su quale definizione utilizzare, anche se si concorda sull’impatto prognostico che una corretta definizione deve avere, in particolare sulla successiva mortalità cardiovascolare. Il problema non è di poco conto, in quanto l’incidenza di PPMI può variare dal 2% al 18% in base alle diverse definizioni, modificando, a seconda di quella utilizzata, il risultato di trial che confrontino la PCI sia con la terapia medica che con il bypass aortocoronarico.

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L’anticoagulazione nei pazienti con COVID-19

Il Covid-19 è caratterizzato da una particolare reattività delle cellule infiammatorie mononucleari, con conseguente rilascio citochinico, e da endotelite multiorgano, condizioni che predispongono a una alta incidenza di fenomeni trombotici arteriosi, venosi che raggiunge il 35% nei pazienti critici. Studi osservazionali e randomizzati hanno verificato se una anticoagulazione a piena dose possa migliorare l’outcome dei pazienti rispetto alla semplice profilassi con eparina, riscontrando, limitatamente ai pazienti che non necessitino di un supporto respiratorio, un possibile beneficio dell’eparina a dosaggio terapeutico, associato tuttavia a un aumento del bleeding. Lo studio internazionale randomizzato FREEDOM COVID (NCT04512079) sta verificando in 3.600 pazienti ospedalizzati per Covid-19 non in fase critica, quale di tre trattamenti (enoxaparina a dose profilattica, enoxaparina a dose terapeutica o apixaban a dose terapeutica) si associ a una riduzione di un outcome composito a 30 giorni che comprende mortalità per ogni causa, peggioramento respiratorio o emodinamico che richieda ricovero in terapia intensiva, tromboembolismo sistemico o polmonare, ictus ischemico. Il completamento dell’arruolamento è stimato per luglio 2022.

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Ten-year outcomes after off-pump and on-pump coronary artery bypass grafting: an inverse probability of treatment weighting comparative study.

L’impatto prognostico della rivascolarizzazione miocardica “off-pump” (OPCAB), rispetto al bypass aorto-coronarico (CABG) tradizionale sugli esiti clinici a lungo termine, è oggetto di intenso dibattito e rappresenta l’obiettivo del presente studio nato da due studi prospettici di coorte. 10.988 pazienti sono stati sottoposti a CABG isolato (di cui il 27.2% sottoposti a OPCAB). La sopravvivenza a lungo termine non aggiustata è risultata significativamente maggiore nei pazienti sottoposti a OPCAB, confermata con modelli di aggiustamento (hazard ratio [HR]: 1.08, 95% intervallo di confidenza [CI]: 1.01-1.14, p=0.01). L’OPCAB è risultato associato a un aumentato rischio di eventi cardiovascolari maggiori a 10 anni (HR aggiustato 1.18, 95% CI: 1.12-1.23, p<0.001), di rivascolarizzazione ripetuta nei primi 6 mesi (HR 2.27, 95% CI 1.39-3.85, p><0.001) e di ictus (HR 1.22, 95% CI: 1.10-1.35, p><0.001). I risultati di questo studio suggeriscono che < <0.001), di rivascolarizzazione ripetuta nei primi 6 mesi (HR 2.27, 95% CI 1.39-3.85, p<0.001) e di ictus (HR 1.22, 95% CI: 1.10-1.35, p<0.001). I risultati di questo studio suggeriscono che l’OPCAB è associato a un rischio maggiore di mortalità, necessità di rivascolarizzazione miocardica ripetuta e ictus a 10 anni rispetto al CABG on-pump.

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L’impianto di pacemaker dopo TAVI influisce sulla prognosi a distanza?

La necessità di impiantare un pacemaker (PM) è la complicanza più frequente delle procedure di TAVI data la vicinanza del tessuto di conduzione all’anello aortico, ed è particolarmente elevata utilizzando valvole autoespandibili, con percentuali riportate tra il 9% e il 26% delle procedure [1]. L’impatto prognostico di tale complicanza tuttavia non è ancora chiaro.

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Efficacia del trattamento delle emorragie in pazienti che assumono anticoagulanti orali diretti.

Sempre maggiore è l’utilizzo dei farmaci anticoagulanti orali diretti (DOAC), ma anche più frequenti sono le urgenze rappresentate dalle emorragie nei pazienti trattati, forse per il maggior ricorso all’anticoagulazione nei pazienti in cui essa è indicata rispetto agli anni in cui solo gli inibitori della vitamina K erano disponibili [1]. È perciò essenziale, per il clinico, avere dati sull’efficacia del trattamento disponibile in questi casi, dal concentrato di complesso protrombinico a 4 fattori (4PCC) all’utilizzo di antidoti specifici come idarucizumab per dabigatran e andexanet alfa per gli inibitori del fattore Xa.

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Revascularization strategies in patients with diabetes and stable ischemic heart disease: a systematic review and meta-analysis of randomized trials.

La strategia di trattamento ottimale (rivascolarizzazione coronarica versus terapia medica ottimale-OMT) nei pazienti con diabete mellito (DM) e cardiopatia ischemica stabile (SIHD) è ancora dibattuta. In questa revisione sistematica della letteratura e meta-analisi, gli Autori hanno analizzato 5.742 pazienti da 4 trial con lo scopo di valutare i risultati clinici a lungo termine della rivascolarizzazione coronarica mediante angioplastica percutanea o bypass aortocoronarico rispetto alla OMT in pazienti con DM e SIHD. La rivascolarizzazione non è risultata associata a una riduzione significativa del rischio di eventi cardiovascolari maggiori rispetto alla OMT [hazard ratio, (intervallo di confidenza al 95%): 0,95 (0.85- 1.05), p=0.31; I2: 0%]. La scelta di procedere alla rivascolarizzazione in questi pazienti dovrebbe tener conto di altri parametri come la sintomatologia, l’anatomia coronarica, il grado di ischemia, la funzione ventricolare sinistra e la presenza di concomitanti comorbidità.

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Quali sono i risultati del trattamento percutaneo con mitraclip XTR dei pazienti con insufficienza tricuspidalica sintomatica?

Il trattamento chirurgico dell’insufficienza tricuspidale (I.T.) isolata ha una alta mortalità, per cui l’utilizzo di dispositivi inseriti percutaneamente è divenuto progressivamente più frequente negli ultimi anni. La riparazione “edge to edge” con MitraClip fornisce risultati soddisfacenti, ma la presenza di un gap di coaptazione setto-laterale (CGS) ampio (>7.2 mm) ha sinora rappresentato un limite tecnico di questa metodica percutanea. Attualmente è a disposizione un modello di MitraClip (MitraClip XTR) con bracci più lunghi (12 mm) che potrebbero ovviare a questa limitazione, ma non ci sono tuttora dati su casistiche relativamente numerose.

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Qual è la proporzione dei pazienti “ischemia like” tra quelli sottoposti attualmente a PCI?

Lo studio ISCHEMIA ha incluso pazienti con coronaropatia stabile (CCS) che avessero documentazione di ischemia almeno moderato/severa a uno stress test e li ha randomizzati a PCI più terapia medica ottimale versus solo terapia medica ottimale, non mostrando differenze sull’outcome a un follow-up mediano di 3.2 anni, in particolare rispetto a mortalità e infarto miocardico. Non è chiaro tuttavia se questo studio rappresenti la popolazione con CCS attualmente sottoposta a PCI oppure un sottogruppo a rischio non elevato.

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