Dalla letteratura internazionale

Infarto STEMI in pazienti senza fattori modificabili di rischio coronarico: qual è la sua prognosi?

L’infarto miocardico STEMI può verificarsi in assenza di fattori di rischio cardiovascolari noti modificabili (SMuRF), in proporzioni che variano tra l’11% e il 27%. Tali percentuali sarebbero in aumento nelle casistiche più recenti. Inoltre, è stato descritto un aumento della mortalità in questo gruppo di pazienti rispetto agli STEMI che si verificano nei pazienti con SMuRF.

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Infarto miocardico di tipo 2: la prognosi è differente da quella dell’infarto di tipo 1?

L’infarto miocardico di tipo 2 (T2MI), definito in accordo con la quarta Universal Definition of Myocardial Infarction (UDMI) è causato da condizioni cliniche che determinano un “mismatch” tra apporto e consumo di ossigeno, quali tachicardia, ipotensione, crisi ipertensive. Nonostante il quadro fisiopatologico sia ben distinto dall’infarto miocardico di tipo 1 (T1MI), vi sono ancora incertezze riguardo al trattamento e alla prognosi di questa tipologia di infarto miocardico.

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Può una DAPT prolungata oltre l’anno essere utile nei pazienti sottoposti a impianto di stent coronarico?

La durata della doppia terapia antiaggregante (DAPT), dopo impianto di stent, è oggetto di dibattito e di studio. La cardiologia interventistica è in continua evoluzione, sia per il miglioramento dei materiali utilizzati (soprattutto per quanto riguarda la tecnologia degli stent), l’esperienza crescente degli operatori e l’utilizzo, sempre maggiore, di tecniche di imaging che hanno permesso di ridurre il rischio di trombosi dello stent. Applicare i risultati di trial, datati a una realtà dinamica, può comportare errori di valutazione clinica. È necessario, perciò, verificare se i risultati dei trial che hanno esplorato la corretta durata della DAPT siano tuttora applicabili alla popolazione di pazienti che attualmente viene sottoposta a impianto di stent.

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Diagnosticare una fibrillazione atriale attraverso il loop recorder diminuisce il rischio di ictus?

La fibrillazione atriale è un’aritmia a decorso spesso asintomatico, che può complicarsi con la comparsa di ictus, con probabilità 5 volte maggiore rispetto a soggetti senza questa aritmia. Per tale motivo le linee guida della Società Europea di Cardiologia raccomandano metodologie di screening, anche se non ci sono studi che documentino come in questo modo si possa ridurre l’incidenza di ictus.

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Bypass aortocoronarico (CABG) o angioplastica coronarica (PCI) nelle stenosi del tronco comune della coronaria sinistra (LM): per questo annoso problema è possibile raggiungere una soluzione condivisa?

Sono stati condotti quattro studi (SYNTAX LEFT MAIN: 705 pazienti; PRECOMBAT 600 pazienti, NOBLE 1.201 pazienti; EXCEL 1.905 pazienti) per dare una risposta al quesito posto dal titolo. I risultati di questi trial non sono stati tuttavia concordanti e hanno dato vita a un’accesa discussione (se non aspra contesa) tra cardiochirurghi e cardiologi interventisti. Le meta-analisi, sin qui effettuate, hanno utilizzato solo i dati aggregati dei vari trial e non i dati dei singoli pazienti, non hanno distinto tra infarti spontanei e peri-procedurali (questi ultimi peraltro diagnosticati con criteri differenti) e non hanno considerato un periodo di follow-up adeguato (almeno 5 anni).

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Anticoagulanti orali diretti a metà dose dopo chiusura dell’auricola: la scelta vincente?

La terapia antitrombotica standard consigliata dopo chiusura dell’auricola (LAAC) con dispositivo Watchman, consiste nella somministrazione di anticoagulante e ASA per 45 giorni per evitare la trombosi del device (DRT) o fenomeni tromboembolici (TE) precoci, seguita da doppia terapia anti-aggregante con ASA e clopidogrel per 4.5 mesi prima di passare ad ASA in monoterapia. Questa strategia, tuttavia, è ampiamente empirica; da un lato può essere causa di bleeding, dall’altro non considera l’inefficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione di TE. Infatti, la “miopatia atriale”, correlata alla presenza di fibrillazione atriale, può essere causa di TE, indipendentemente dalla concomitanza o meno dell’aritmia. È necessario, perciò, testare nuove strategie di terapia antitrombotica in questi pazienti.

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Qual è la progressione delle ulcere aortiche penetranti asintomatiche?

L’ulcera aortica penetrante (PAU) rappresenta una delle componenti delle sindromi aortiche acute e consiste in un’ulcerazione che, superando l’intima e la lamina elastica, si approfonda nella media. Benchè riconosciuta come entità clinica da oltre 30 anni, la letteratura è scarsa e discordante sulla sua evoluzione e, di conseguenza, sul suo trattamento. Infatti, spesso la presentazione clinica è completamente silente e la diagnosi viene posta incidentalmente in seguito all’esecuzione di una TAC per altri motivi. Non ci sono dati certi sulla storia naturale della PAU asintomatica, una lacuna che dà incertezza anche sulla necessità del suo trattamento interventistico.

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Ticagrelor o clopidogrel nelle sindromi coronariche acute? dati del mondo reale.

La scelta dell’inibitore del recettore P2Y12 da associare all’ASA nei pazienti con sindrome coronarica acuta (ACS), è tuttora oggetto di controversia. Lo studio PLATO, pubblicato nel 2009, ha mostrato che ticagrelor rispetto a clopidogrel ha ridotto gli eventi trombotici e la mortalità cardiovascolare, pur aumentando contemporaneamente le complicanze emorragiche. Tuttavia, studi e analisi successive non hanno confermato tale superiorità. Inoltre, i pazienti inseriti nei trial hanno caratteristiche cliniche e angiografiche differenti da quelli osservati nel mondo reale. Pare perciò necessaria una conferma dei risultati dei trial utilizzando dati osservazionali.

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Associazione tra escrezione urinaria di sodio e potassio e rischio cardiovascolare

Un alto consumo di sodio, causa maggiore di ipertensione, è considerato un fattore alimentare associato ad elevato rischio cardiovascolare. Tuttavia, gli studi in proposito sono stati spesso contrastanti, per errori metodologici quali il dosaggio della sodiuria in un singolo prelievo di urina delle 24 ore o in assenza di concomitante determinazione della kaliuria. Inoltre, molti pazienti fragili o con co-patologie riducono il consumo di sodio prima che si verifichi un evento cardiovascolare, generando l’idea che anche un basso consumo di sodio sia da considerare un fattore di rischio cardiovascolare (“reverse causation bias”).

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Prognosi a lungo termine dopo arresto cardiaco extraospedaliero nei pazienti che sopravvivono alla fase acuta.

La sopravvivenza dei pazienti con arresto cardiaco extraospedaliero (OHCA) è piuttosto modesta e solo circa la metà riesce a superare la fase ospedaliera ed essere dimessa in vita. Tra i fattori che determinano un buon esito, importanti sono la prontezza delle manovre di rianimazione, l’età del paziente, il tipo di ritmo che ha scatenato l’arresto e la cura ospedaliera ricevuta. Mancano informazioni, tuttavia, sia sull’outcome che sui fattori prognostici a lungo termine, in particolare oltre il primo anno di follow-up, nei pazienti che riescono a sopravvivere alla fase acuta.

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