Stefano De Servi, Università degli Studi di Pavia
Inquadramento
L’avanzare dell’età comporta spesso la presenza di condizioni di fragilità, quali multiple comorbilità e alterazioni delle funzioni cognitive, che provocano perdita di indipendenza e disabilità. Quando pazienti fragili si presentano nei nostri ospedali con una sindrome coronarica acuta (ACS), il clinico si trova di fronte al dilemma di quale strategia terapeutica seguire, se essere conservativo e quindi affidarsi al solo trattamento medico oppure essere interventista, come è oggi la prassi per i pazienti che non hanno le limitazioni dei pazienti fragili. Infatti mancano, in questa popolazione vulnerabile, studi randomizzati che possano guidare la strategia terapeutica, anche per le oggettive difficoltà a eseguirli in pazienti con molte limitazioni e problematiche cliniche. Non resta perciò che affidarsi agli studi osservazionali, che tuttavia presentano lacune metodologiche legate soprattutto a bias di selezione e alla causalità inversa.
Lo studio in esame
Lo studio ha raccolto un’ampia casistica di ACS (STEMI, NTEMI, angina instabile) osservate in Inghilterra tra il 1 aprile 2010 e il 31 marzo 2015, utilizzando l’Hospital Episode Statistics (HES), un sistema di archiviazione digitale che riporta i dati dei pazienti ricoverati con le indicazioni nosologiche redatte secondo la codifica ICD-10. La presenza e la classificazione di fragilità (bassa, intermedia, alta) è stata effettuata sulla base delle informazioni presenti nel database HES due anni prima dell’evento ACS indice. Essa si basa su uno score, l’Hospital Frailty Risk Score (HFRS), che include variabili con codifica ICD-10, che comprendono, oltre a varie comorbilità anche la presenza di disturbi cognitivi, incontinenza, cadute o perdita di indipendenza (vedi anche in questo numero di Journal Map l’articolo discusso in “Una Immagine”). Il primary outcome dello studio era la mortalità cardiovascolare. Nei 565.378 pazienti inclusi nell’analisi (bassa fragilità 83.7%; fragilità intermedia 11.6%; fragilità alta 4.7%) è stata stimata la probabilità a 5 anni di libertà da morte cardiovascolare sia nei pazienti rivascolarizzati (PCI o bypass aortocoronarico) che nei non rivascolarizzati, in base a modelli di Cox stratificati per i vari livelli di fragilità, aggiustati per età, sesso, diagnosi, quintili di disagio sociale e comorbilità. Rispetto ai pazienti con fragilità intermedia e bassa, quelli con fragilità elevata avevano un’età mediana più avanzata (84 vs 81 vs 70), prevalenza di sesso femminile (56.9% vs 50.6% vs 36.3%), presentazione come NSTEMI (59.2% vs 13.7% vs 27.1%) e maggiori comorbilità. In essi veniva eseguita, meno frequentemente, una rivascolarizzazione (6.3% prevalentemente PCI) che nei pazienti a fragilità intermedia (15.2%) o bassa (46.6%). La mortalità per ogni causa nei tre gruppi a 1 e 5 anni era significativamente maggiore nei pazienti a fragilità elevata. Essa era, in oltre tre quarti dei casi, di origine cardiovascolare. Una successiva analisi è consistita nel costruire un modello predittivo di rivascolarizzazione in base alle caratteristiche cliniche dei pazienti e di valutare, per ogni area geografica dell’Inghilterra un rapporto tra rivascolarizzazioni osservate e predette. In tal modo si è potuto costruire un “funnel plot” con margini di confidenza del 99.8% e di escludere dall’analisi i centri “outliers” (cioè al di fuori del margine di confidenza) nei quali cioè la decisione di rivascolarizzare o non-rivascolarizzare non appariva giustificata. L’incidenza di rivascolarizzazione delle varie aree geografiche è stata utilizzata come variabile strumentale, cioè una variabile associata al trattamento ricevuto (rivascolarizzazione o non rivascolarizzazione) ma non associata ad altre variabili confondenti, perciò condizionante l’outcome solo attraverso il trattamento ricevuto. Sono stati anche costruiti modelli statistici di confronto tra pazienti rivascolarizzati e non rivascolarizzati, stratificando per livello di fragilità e aggiustando per una serie di variabili confondenti (età, sesso, disagio sociale, scompenso, nefropatia cronica, fibrillazione atriale, diabete, broncopneumopatia, storia di stroke, coronaropatia, PCI, bypass, ipertensione polmonare). In tal modo, si è potuta dimostrare una riduzione significativa della mortalità cardiovascolare nei pazienti rivascolarizzati nei tre gruppi di fragilità (vedi Figura) a 1 anno con differenze assolute rispettivamente di −13% (95% CI −14% a −13%), per i pazienti a fragilità bassa, −22% (95% CI −23% a −21%) per i pazienti a fragilità intermedia e −20% (95% CI−23% a −17%) per i pazienti a fragilità alta. A 5 anni le differenze risultavano invece più evidenti per i pazienti a fragilità bassa (−16% (95% CI−16% a −16% per fragilità bassa), −18% (95% CI −19% a −17% per fragilità intermedia e −10% (95% CI −13% a −6%) per i pazienti a fragilità alta.

Take home message
Gli Autori concludono che, nei pazienti anziani con ACS, la rivascolarizzazione è associata a un beneficio in termini di sopravvivenza sia a breve che a lungo termine, anche in presenza di una fragilità di grado intermedio o alto.
Interpretazione dei dati
L’aspetto più interessante dello studio è quello di aver caratterizzato i pazienti ACS inclusi nel database HES in base alla presenza di fragilità, una condizione abbastanza frequente nella popolazione anziana, la cui presenza determina tuttora nel cardiologo clinico un atteggiamento estremamente prudente, soprattutto nelle ACS NSTEMI e angina instabile, caratterizzato dalla scelta iniziale di una strategia conservativa, riservando un approccio interventistico alle situazioni non controllabili dalla sola terapia medica. Gli studi di confronto tra strategia conservativa e interventistica nel paziente anziano con ACS NSTEMI non hanno generalmente incluso i pazienti fragili e quindi la condotta da seguire in questa popolazione rimane ancora un “unmet clinical need”[1]Morici N, De Servi S, De Luca L, et al. Management of acute coronary syndromes in older adults. Eur Heart J. 2022;43:1542–1553.. In realtà, il recente studio SENIOR RITA[2]Kunadian V, Mossop H, Shields C, et al. Invasive treatment strategy for older patients with myocardial infarction. N Engl J Med. 2024;391:1673–1684. ha arruolato anche questa tipologia di pazienti (anche quelli con deficit cognitivo) mostrando un beneficio della strategia interventistica soprattutto in termini di riduzione di infarto miocardico e di necessità di rivascolarizzazione urgente, del tutto simile a quanto osservato nella metanalisi[3]Kotanidis CP, Mills GB, Bendz B, et al. Invasive vs. conservative management of older patients with non-ST-elevation acute coronary syndrome: individual patient data meta-analysis. Eur Heart J … Continua a leggere che ha raccolto tutti i precedenti trial di confronto tra strategia conservativa e interventistica (e che non avevano caratterizzato i pazienti in base alla fragilità). La novità portata dallo studio qui presentato consiste nell’aver esteso tale beneficio alla riduzione della mortalità cardiovascolare, un obbiettivo che non era stato raggiunto dagli studi randomizzati precedenti, incluso il SENIOR RITA. Per quanto lo studio di Romam cerchi di superare alcune limitazioni degli studi osservazionali introducendo l’utilizzo della variabile strumentale, individuata nell’incidenza regionale di rivascolarizzazione, va tuttavia osservato che i risultati sono dipendenti dalla qualità dei dati da cui sono stati derivati. Un database basato su informazioni di codifiche ICD-10 potrebbe essere lacunoso o impreciso riguardo alla presenza o meno di co-patologie, ed è sempre dipendente dall’input dell’operatore. La stessa definizione di fragilità è stata ottenuta a posteriori, sulla base delle informazioni contenute nell’archivio HES. Anche per questo parametro valgono le obiezioni sulla completezza di dati che un database può offrire.
Bibliografia[+]
↑1 | Morici N, De Servi S, De Luca L, et al. Management of acute coronary syndromes in older adults. Eur Heart J. 2022;43:1542–1553. |
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↑2 | Kunadian V, Mossop H, Shields C, et al. Invasive treatment strategy for older patients with myocardial infarction. N Engl J Med. 2024;391:1673–1684. |
↑3 | Kotanidis CP, Mills GB, Bendz B, et al. Invasive vs. conservative management of older patients with non-ST-elevation acute coronary syndrome: individual patient data meta-analysis. Eur Heart J 2024;45:2052-62. |
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